indie-gestione

venerdì, 14 11 2008

New Foxes Old Foxes

Tra qualche ora il sottoscritto è in partenza alla volta di Milano, dove trascorrerà il weekend per incrociare un po’ di amici in occasione dell’imperdibile concerto dei Fleet Foxes (sabato 15 novembre, ai Magazzini Generali). Pare che tra il pubblico saranno presenti addirittura cinque tra gli autori di questo blog.

Dei Fleet Foxes, qualche mese fa, scrivevo:

A qualcuno ricordano il sound senza tempo dei Midlake, ad altri il folk americano elegante dei My morning Jacket, a qualcuno anche gli Animal Collective o gli Hidden Cameras, per la vena psichedelica e l’abbondante uso di cori; c’è chi ci sente un sacco di cose anni ’60 un po’ desuete (tipo i Byrds, gli Eagles o Crosby, Stills e Nash) e chi i recenti indie-heroes Band of Horses, loro concittadini e compagni di etichetta. Quando gli ascoltatori non riescono a mettersi d’accordo su quali siano le tue vere influenze, e quando il mondo musicale comincia a incensarti (9.0 su Pitchfork, Disco del mese su Mojo) anche se la tua band è interamente composta di giovani barbuti che indossano camicie di flanella, e il tuo disco d’esordio ha in copertina non una foto cool ma un dipinto di Pieter Bruegel il Vecchio, allora vuol dire che sta succedendo qualcosa di grosso. E infatti i Fleet Foxes sono qualcosa di grosso.

 

Le vie dell’hype sono strane e impredicibili, si sa. Ma la band capitanata da Robin Peckold non concede davvero niente alle mode ed ha attirato tanta attenzione su di sè solo ed esclusivamente grazie alle sue capacità. Canzoni splendide e senza tempo (la mia preferita, come sa chi ha ascoltato la fine della stagione di Get Black è il singolo White Winter Hymnal, una nenia che ti si incolla alle orecchie e che sembra qualche remoto classico dei Beach Boys cantato da un coro di monaci gregoriani), arrangiamenti antichissimi eppure modernissimi, e dei live -pare- straordinari (saranno in Italia il 15 Novembre, per una data unica a Milano).
Ma, soprattutto, la tranquillità e la classe di chi non deve dimostrare niente a nessuno, perchè è come se fosse sempre stato qui. [#]

 

Del loro live Matte, che li ha visti a New York a Luglio e, sull’onda dell’eccitazione, è tornato a vederli di nuovo il giorno seguente, scriveva:

Il concerto dei Fleet Foxes a cui ho appena assistito e’ stato semplicemente strepitoso, uno dei migliori (se non il migliore) dell’anno, senz’altro il piu’ emozionante. [#]

E se lo dice lui, che vede decine di concerti al mese nella città in cui passano tutti, c’è da fidarsi.

Se non bastasse, proprio ieri La Blogotheque ha pubblicato uno dei suoi concerts à emporter che ha come protagonista (di nuovo) la band di Seattle, che regala una splendida versione di Blue Ridge Mountain (aperta da Sun Giant) cantata e suonata all’interno di un’ala abbandonata del Grand Palais. Se non vi fidate di me o di Matte, fidatevi delle vostre orecchie.

 

 

 

Fleet Foxes – Mykonos (MP3)  (ALT)

Fleet Foxes – He doesn’t know why (MP3) (ALT)

 

lunedì, 10 11 2008

Reach the stars, fly a fantasy

di

"Lives that keep their secrets will unfold behind the clouds,
there upon the rainbow is the answer to a never ending story"

Quale che sia il valore di un film come La storia infinita o il ricordo che la nostra incasinata generazione ne può avere, certo è che il film di Wolfgang Petersen si porta dietro una delle eredità più pesanti del cinema europeo. Per la pletora di ragazzini che negli anni ’80 finirono sbattuti dentro cassonetti dai loro compagni di classe. Per lo sdoganamento del capezzolo: chi non ricorda i turbamenti vissuti di fronte alle ambigue Sfingi? Ma se escludiamo leggendari personaggi come il Fortunadrago, G’mork e Atreyu (a proposito, lo sapete che fine ha fatto Noah Hathaway?) la colonna sonora è di sicuro la cosa che più facilmente ci porteremo sul letto di morte. Stai per morire e, tac, look at what you seeeeee.

Dopo aver prodotto una compilation-tributo agli anni ’80 intitolata Rewind, il sito spagnolo Buffetlibre ha organizzato una "parte seconda" alla quale hanno partecipato nomi come Au Revoir Simone, Amiina e Setting Sun. E gli italianissimi Canadians. Che hanno scelto, appunto, di eseguire The Neverending Story, con l’apporto vocale di Cherielynn Westrich, ex cantante e tastierista dei Rentals.

Il risultato è davvero notevole: la canzone si può sentire sul profilo myspace del gruppo veronese, oppure scaricare da qui. Grida il mio nome, Bastian.

Neverending story – Canadians feat. Cherielynn Westrich (mp3)

martedì, 04 11 2008

«Toh, al Covo è appena entrato Erlend Øye»

 

Sabato, mentre io e Arturo mettevamo i dischi al Covo, è entrato Erlend Øye.

 

Così: in un non brillantissimo sabato sera post-festivo (peraltro più affollato di quanto l’infelice collocazione da day after di Halloween facesse presagire), mentre stavo passando un po’ di classici della cassa dritta, lo smilzo e poliedrico musicista norvegese (noto per essere la metà occhialuta dei Kings of Convenience, tra le altre cose) è entrato dalla porta del club di Viale Zagabria come un avventore qualsiasi. Si è messo in coda coi suoi amici, ha pagato, ha ordinato da bere, e si è messo a ballare. Io, da grandissimo fan del duo norvegese, ho rischiato di svenire, e ho continuato a mettere i dischi con il cuore a mille e l’ansia da prestazione di chi si trova davanti a uno dei suoi piccoli idoli.

 

Avevo sempre saputo che portarmi nella valigetta una copia del tendenzialmente imballabile Riot on an empty street prima o poi sarebbe servito a qualcosa; così, quando abbiamo fatto partire I’d rather dance with you than talk to you, Erlend ha reagito con lo stile tranquillo e sportivo che gli si confà: ha alzato le dita in segno di vittoria, e si è messo a ballare la sua stessa canzone, in mezzo agli amici che ridevano. Ha fatto un paio di richieste, subito accontentate (gli Smiths e «qualcosa di italiano»; abbiamo messo Il Genio e i My awesome Mixtape, e pare aver gradito), e alle tre passate, sulle note di Young Folks dei suoi (quasi)connazionali Peter, Bjorn and John, ha lasciato il locale.

 

Così.

 

 

Kings of Convenience – I’d rather dance with you than talk to you (MP3) (ALT)

 

Bonus:

Erlend Øye – A sudden Rush (MP3) (ALT)

 

lunedì, 03 11 2008

Lo vuoi un palloncino colorato?

Inkiostro mi ha chiesto di remixare gli I’m From Barcelona, con la stessa leggerezza di uno che chiede a Troy McLure di tenergli d’occhio l’acquario (tutte le altre similitudini che mi vengono in mente sono più fiche, ma probabilmente poco adatte a un pubblico facilmente impressionabile). Io però non avevo ancora sentito il pezzo originale e allora ho deciso di accettare a scatola chiusa. L’ascolto delle singole parti vocali e strumentali si è subito tradotto nell’entusiasmo di poter tradurre i cori di chiesa in una disperazione industriale alla Radiohead trattata con tecniche di produzione alla Burial o alla Four Tet. Il pezzo originale invece era più dalle parti di un cartone animato degli Arcade Fire, con lieto fine. Nel mio caso invece la trama è che c’è un serial killer vestito da cantante degli I’m From Barcelona che testa l’età mentale degli indie-kid col Nintendo DS e il giochino della Kidman e se uno dimostra meno della metà dell’età fisica lo fa a fette. Ovviamente il lieto fine ce l’ho anch’io: il serial killer non uccide le indie-kid e canta con loro il coro finale sul tetto dell’Hana-bi.

it-pennywise-basement

domenica, 02 11 2008

Endorsement

In Yow We Trust

David Yow by Kris Mestdag

I can swim, I can’t swim, I can swim, I can’t swim
I can swim, I can’t swim, I can swim, I can’t swim
Well here’s a notion, a single idea
Swing by the ocean, because
I can’t swim, I can swim, I can’t swim, I can swim
I can’t swim, I can swim, I can swim, I can swim
Hang by a maritime, marine at nighttime, waiting waterlogged down by the high sea
Waiting (wading) waterlogged, for that guy to arrive
Oh he don’t know that
I can swim, I can’t swim, I can’t swim, I can swim
If there was even one chance, that he would come along
If there was even one chance, that he would come alone
If there was even one chance, that he would come along
If there was even one chance, and take a drink by the drink
Fucked up in the flood, stoned
And get soused by the sea
And take a dip, in the briny deep
Hang by the maritime, marine at nighttime
Waiting waterlogged, down by the high sea
Wading waterlogged, for that guy to arrive
Well he don’t know that
I can swim, I can’t swim, I can’t swim, I can swim
I can’t swim, I can swim, I can’t swim, I can swim

We Can Swim

The Jesus Lizard – Seasick

[photo by Kris Mestdag]

venerdì, 31 10 2008

Wild Wild Zen

Non c’è niente di meglio del nuovo video degli Zen Circus (in anteprima assoluta su questo blog) per fare una pernacchia ad Halloween. Wild Wild Life è una cover dei Talking Heads, ed è il terzo singolo estratto dal brillante Villa Inferno, sottovalutato opus magnus della band pisana composto e suonato insieme a Brian Ritchie dei Violent Femmes e pubblicato da Unhip Records. Il video è diretto da Filippo Francione e prodotto da zimbrAVideo.

 

Che c’entra Halloween? Con la canzone e il video, poco o niente. Gli Zen Circus, però, torneranno a calcare il palco del Covo domani sera, il giorno dopo Halloween, per un’ingombrante serata post-festiva in cui probabilmente buona parte del pubblico che normalmente affolla il club di Viale Zagabria sarà a casa impegnata a smaltire la sbronza della sera prima.

Io invece me ne frego di Halloween, stasera sto a casa o vado a bere una birra tranquilla in centro, e tengo le energie per domani sera; visti i travolgenti live set a cui ci ha abituato la band toscana (forte di un repertorio assai vasto e di una innata capacità di tenere il palco rarissima in Italia) ce ne sarà bisogno. A seguire, in pista grande, il sottoscritto mette un po’ di dischi insieme ad Art Compagnoni. Boicotta Halloween, vota Zen Circus.
[o almeno fatti entrambe le serate]

 

The Zen Circus – Wild Wild Life (MP3)

 

giovedì, 30 10 2008

Matte’s CMJ Marathon report / 1

di

Tempo fa, Ink mi invito’ a collaborare sul blog che state leggendo. Dopo circa tre mesi persi a scegliere un nickname su splinder e altri quattro a trovare qualcosa da dire, ecco finalmente il pretesto: la CMJ Music Marathon che si e’ svolta a NY la settimana scorsa.
Nata nel 1980, la CMJ e’ una rassegna in cui oltre un migliaio di artisti piu’ o meno emergenti presentano il proprio materiale a un’itinerante massa di fan, musicofili, giornalisti, bloggers, poseurs e presenzialisti vari, che per cinque giorni zompettano da un posto all’altro di Lower Manhattan e Brooklyn (clubs, bars, cafes, negozi, open spaces, case, cantine, giardini e parchi) alla ricerca disperata della next big thing. Quello che segue e’ un resoconto dei miei cinque giorni di poco sonno, molto alcol e tanta musica.

 

 

 

Martedì

Parto col primo dei tre showcases di BrooklynVegan alla Music Hall of Williamsburg dove vedo The Sammies, Shearwater, Ponytail e Passion Pit. I Sammies dal vivo sono piacevoli, anche perche’ a tratti paiono una tribute band dei Replacements, ma a risentirle le canzoni scivolano via un po’ anonime. Gli Shearwater, altra faccia degli Okkervil River, mi sono piaciuti parecchio, molto di piu’ che su disco, dove non mi pare riescano a catturare alla perfezione l’intensita’ del cantato di Jonathan Meiburg e la ricchezza dei suoni (avro’ visto almeno dodici strumenti diversi, ad alcuni dei quali non sono nemmeno in grado di dare un nome). Incuriosito dal disco e dal chiacchericcio di tutti quanti, i Ponytail mi sono parsi buoni nel complesso, a tratti pure ottimi (mutuando da Morrissey, ma in un’ottica del bicchiere mezzo pieno, some songs are better than others). Quanto a presenza scenica, mentre alcuni hanno trovato gli art-rockers di Baltimore efficaci, a me sono invece sembrati un po’ fiacchi. Infine, i prossimi-ospiti-fissi-di-Gossip-Girl Passion Pit come da attese fanno scatenare le ragazze, il che e’ sempre una cosa che come minimo mette di buon umore. Non so se e’ un azzardo parlare di incrocio tra Cold War Kids e Hot Chip, ma questa e’ l’impressione che ne ho avuto. Il falsetto del cantante era molto fastidioso comunque. Peccato non essere potuto restare fino alla fine, che mi sarei visto pure Jens Lekman, in versione singing dj.

 

(Shearwater)

 

 

Mercoledì

Si parte alla Lit Lounge con gli italiani Tiger! Shit! Tiger! Tiger! (lo so, il nome e’ un capolavoro, al tempo stesso il migliore e il peggiore della rassegna…). Anche per loro vale la massima morriseyana di cui sopra. Alcuni pezzi interessanti, anche se un po’ di tempo in piu’ in sala prove non avrebbe guastato. Ricordano un po’ i Rapture pre-Murphy therapy, ruvidi e spigolosi. Certo, fossimo nel 2000-2001 sarebbero una delle cose piu’ interessanti in giro. Lasciati i connazionali, mi reco al 205 a vedere il duo indie-pop australiano An Horse. Il lui e la lei suonano bene, sono carucci e potenzialmente potrebbero divenire i nuovi beniamini di quelli con appetito fashionista. Alla quarta canzone inizio un po’ ad annoiarmi e a guardarmi in giro pero’.

 

(An Horse)

 

 

An Horse – Postcards (HYPEM link)

 

 

Fortuna che al Cake Shop mi aspetta lo showcase dell’etichetta olandese Subbacultcha! (primo dei momenti Trompe Le Monde di questa CMJ, v. sabato). Arrivo e faccio in tempo a beccarmi gli ultimi due tiratissimi pezzi dei tetri e sperimentali Bonne Aparte. Buoni a tal punto che mi prendo pure il disco (che ora ascolto solo quando fuori c’e’ il sole e sono di buon umore, che senno’ nella migliore delle ipotesi o mi spavento o mi deprimo). Di seguito assisto a una delle performances migliori della settimana, quella del duo chitarra-batteria The Moi Non Plus. Molto bravi e spettacolari: vedere un batterista spaccare un ride da quanto pesta e’ sempre cosa che rida’ fiducia nel genere umano. TMNP sono leggermente piu’ accessibili dei Bonne Aparte con tante influenze che pescano dritto tra i miei artisti preferiti: Fugazi, Cop Shoot Cop, Sonic Youth di Sister (e tutti i loro derivati, vedi Ikara Colt…), tra i vari. Preso anche il loro di cd (ho fugato ogni dubbio quando ho sentito che una canzone, peraltro molto bella, si intitola Jil Sander Makes Your Eyes Black). Dopodiche’, complice l’open bar, inizio a essere un poco sbronzo e a dare appuntamenti nell’asse Orchard/Ludlow a circa tutta la mia rubrica di contatti. Nell’affannoso tentativo di incrociare amici, faccio un paio di blitz all’Annex dove, come ogni mercoledi’, c’e’ la solita sfilza di gruppi targati NME-rde. Posto strapieno (di giovanissimi soprattutto), intravisti i tanto celebrati astri nascenti d’oltre manica Friendly Fires (catchy, certo, ma sondati troppo di sfuggita e troppo poco sobrio per poter esprimere un giudizio, il disco e’ la tipica cosa che, conoscendomi, amero’ i primi quindici giorni e poi odiero’, assieme ai relativi fans, per il resto della mia vita – Killers/MGMT anyone?). Visto qualche altro gruppo che faceva del goffo brit-pop. Dopo essermi finalmente beccato con alcuni amici, si finisce la serata a far caciara al dive bar Motorcity con un bel sottofondo 60s/garage/punk.

 

 

(The Moi Non Plus)

 

 

The Moi Non Plus – I Lie (MP3)

 

 

 

Giovedì

Nel pomeriggio c’e’ il secondo showcase di BrooklynVegan, da Pianos qesta volta. Il primo gruppo che vedo sono i Crystal Antlers da Long Beach, Ca., autori di un’eccellente EP di esordio in cui mischiano psichedelia, post-hardcore, 70s rock, noise, etc, etc. Gia’ visti qualche mese prima, ne rimango ancora una volta impressionato. Dal vivo questi sono una bomba. Il bassista/cantante Jonny Bell (la cui voce a tratti mi ricorda pure Mike Patton) si dimena cosi’ tanto che temo sempre faccia finire un qualche bandmate all’ospedale per via di una palettata del fighissimo e vintagissimo Precision Bass. Il batterista e’ bravo e molto scenografico. Certo, nessuno riesce ad emulare la coolness del percussionista afroamericano Damian Edwards, che pare uscito da una scena di Serpico: il suo segno distintivo e’ suonare con la t-shirt arrotolata sul torace, giusto per mettere in evidenza una prodigiosa pancia da birra (vedere per credere).

 

(Crystal Antlers)

 

 

Poi mi tocca assistere a una pallosissima performance di Sebastien Grainger & The Mountains. L’ex Death From Above 1979 si cimenta senza troppo profitto in un classic rock abbastanza insipido, dove l’unica canzone degna di nota plagia Common People. Stufatomi dopo poche canzoni, decido di andare al piano di sopra dove vedo i bei live sets di Wye Oak e Phosphorescent. I primi sono un duo della (oramai imperante) scena di Baltimore, con disco uscito la scorsa primavera per Merge (e una data l’11 novembre alla Casa 139 di Milano in supporto ai Dr. Dog). Cantano sia lei (chitarra) sia lui (batteria). Il timbro di lei e’ molto bello, ricorda un po’ S. Vega e un po’ C. Love. Il live crea un’atmosfera pre-serale fantastica. Le canzoni riescono miracolosamente a conciliare chitarre anche spigolose e rumorose (sembra a tratti di sentire la PJ Harvey di Dry) con un cantato parecchio dreamy e soave. Da tenere a bada. Di Phosphorescent, che tutti spacciano per il nuovo Bon Iver e che fa un set interamente acustico, ne parlero’ poi (venerdi’ suonera’ con tutta la band).
Dopo una veloce sosta a casa per un boccone al volo e una mini scorta di redbull, me ne vado alla Music Hall of Williamsburg a vedermi i concerti di Jay Reatard (visto anche venerdi’, ne parlero’ poi), The Dutchess & The Duke, King Khan and the BBQ Show e Mission of Burma (un sincero plauso a chi ha messo insieme la bill). Di Seattle, The Dutchess and the Duke sono un lui e una lei che cantano e suonano la chitarra acustica accompagnati da un tizio alle percussioni che sembra abbia addosso the cheapest John Lennon Halloween costume ever… or Liam Gallagher, can’t decide (v. qui). Visti per la seconda volta dopo che fecero spalla per il Fleet Foxes a luglio. Anche qui confermo il giudizio positivo. Sara’ per una mia malsana passione per ogni tipo di tributo alla British Invasion, ma trovo il loro songwriting ottimo.

 

 

The Dutchess & The Duke – Reservoir Park (MP3)

 

 

E che dire di King Khan? Presentatosi come al solito con un costume improponibile (abitino d’oro cortissimo, gambe nude, pezzo sotto di un bikini e parrucca alla Stevie Wonder), il re del revival garage/soul fa ancora una volta divertire tutti. Certo, gli Shrines, la sua altra band, sono tutta un’altra roba, anche se il combo ridotto del BBQ Show gli permette molta piu’ improvvisazione e di fare, se possibile, ancora di piu’ il cazzone. Dopo pochi secondi tutta la sala si dimena a ballare rapita dalle diavolerie di uno dei migliori frontmen in circolazione. Se capita dalle vostre parti andatelo a vedere anche senza conoscere una mezza canzone. Chiudono i leggendari Mission of Burma. Che concerto, mamma mia: mi aspettavo sapessero suonare parecchio bene, ma non cosi’ bene! Tiratissimo, adrenalina a gogo e loro che non sbagliano nemmeno un accento. Due serie di bis da tre pezzi, pescati tra i pezzi storici del repertorio. Peccato suonino cosi’ tardi, ma per fortuna che l’open bar di Beck’s tiene il morale di tutti parecchio su di giri. Torno a casa alle due e mezza che sono uno straccio, come faro’ domani?

 

(Mission of Burma)

 

 

 

(Continua)

 

 

mercoledì, 29 10 2008

Italia Brasile New York una fazza una razza

Nessuno dei Brazilian Girls è brasiliano, e solo uno è una ragazza; la prima volta che parli di loro non puoi fare a meno di cominciare così.

 

La loro leader, Sabina Sciubba, è nata in Italia e cresciuta a Monaco e a Nizza. Ora vive a New York City, dove la band si è formata nel 2003 durante una jam session improvvisata in un locale dell’East Village. I Brazilian Girls cantano in (almeno) 5 lingue, spesso usate all’interno della stessa canzone (e a volte della stessa frase), e pubblicano per la Verve, leggendaria etichetta jazz. Ovviamente non suonano jazz neanche per sbaglio, ma un caleidoscopico e incategorizzabile pop cosmopolita che flirta con certa elettronica europea da club, con la samba, con il downtempo, col melò di Kurt Weill, con le colonne sonore di Morricone e con un sacco di altra roba che se continuo a elencarla non faccio altro che confondervi ancora di più.

 

Il loro ultimo disco, eloquentemente intitolato New York City, è uscito a inizio Agosto ed è stato l’inevitabile colonna sonora della seconda metà della mia Estate; su queste pagine non ve ne avevo parlato, e mi sembra appropriato farlo adesso, ora che l’Autunno si fa più rigido e le giornate più corte. Non so bene perchè.

I just want good time. Tortelloni.

 

 

Brazilian Girls – St. Petersburg (MP3) (ALT)

Brazilian Girls – Noveau Americain (MP3) (ALT)

 

lunedì, 27 10 2008

If that really is your name – Part two

di
"Oh Valerie Plame, if that really is your name, I will shout the same from on high.
Dear Valerie Plame, I’ll look for that long exchange, outside of the bureau de change in Shanghai.
I was just some stupid boy on a bus when your nom de guerre was code name Caroline.
So my Vespa became your chariot From the green zone Marriott to be etched upon my mind."

Valerie Plame è la canzone dei Decemberists che apre il bellissimo Always the bridesmaid, trio di singoli pubblicati dalla band di Portland. Una dolce attesa prima del loro quinto album Hazards of love, in uscita ad Aprile, per la seconda volta sotto l’egida della Capitol. Sei canzoni che segnano un ritorno alle sonorità di Picaresque, dicono alcuni – o addirittura dei due primi album. Staremo a vedere. Per quanto mi riguarda, personalmente, Meloy e soci hanno raggiunto risultati tali che ogni delusione non sarebbe che relativa, all’interno di un amore cieco e incondizionato. Ma è un problema mio.

 

Nel frattempo, tutti si chiedono, chi è Valerie Plame?

 

 

Valerie Plame: ma è davvero quello il suo nome? Se proprio vogliamo metterla giù dura, il nome esatto della bella signora bionda nella fotografia è Valerie Elis Plame Wilson, tenendo conto del cognome del marito Joseph C. Wilson, l’ex ambasciatore del Gabon e di São Tomé. E costei è la protagonista di una tra le vicende politiche più note del decennio negli states: il cosiddetto Plame affair o Plamegate.

 

Per farla breve (ché è una faccenda lunga e complicata) nel Luglio del 2003 Wilson scrive un corsivo nel New York Times intitolato "What I didn’t find in Africa". Il succo dell’articolo è: le dichiarazioni dell’amministrazione Bush riguardo ai rapporti "plutonici" tra Niger e Iraq, tra le principali giustificazioni dell’intervento militare nel paese asiatico, erano semplicemente esagerate e inaffidabili. Qualche giorno dopo, il noto giornalista conservatore Robert Novak scrive un articolo nel Washington Post in cui, rispondendo alle precedenti accuse di Wilson, diceva, tra le altre cose, che Valerie Plame, la moglie di Wilson, era un’agente della CIA sotto copertura.

 

Oops.

 

Come l’informazione fosse arrivata a Novak, e di seguito al pubblico dominio, è successivamente al centro di uno degli scandali di spionaggio più imponenti della storia americana. Che portò alla condanna di Irve Lewis Libby, detto Scooter. Giuro. Scooter: chi era costui? Non altro che il capo delo staff di Dick Cheney. Ah, ecco. Ostruzione della giustizia, spergiuro, falsa testimonianza ad agenti federali. Uno dice, in galera e buttano via la chiave. Nah. Due anni di condanna. Che divennero due anni di libertà condizionata e una notevole multa in denaro. Toh, guarda.

 

Tre anni più tardi, nel Luglio del 2006, Joseph Wilson e Valerie Plame (la cui carriera nella CIA era ovviamente terminata nel momento in cui la sua copertura era stata sputtanata) sporsero una denuncia civile nei confronti di Scooter, del vicepresidente Dick Cheney, e dell’allora vice capo dello staff di Bush, il rubicondo e viscido Karl Rove, per il loro ruolo nello sputtanamento in questione. Il giudice incaricato archiviò la causa. Per capirci, a Robert Novak non hanno nemmeno detto bif, anche se ora sta morendo per un cancro al cervello.

 

Tutto qui? E Valerie? La nostra cara Valerie Plame? Ha scritto un libro, è uscito un anno esatto fa, e si intitola Fair Game: My Life as a Spy, My Betrayal by the White House. E visto che in America l’occasione fa l’uomo ladro, pur essendo un paese dove possono far saltare la copertura di un agente della CIA per vendetta politica senza che nessuno si faccia un giorno di carcere, qualche tempo fa i coniugi Wilson hanno annunciato la loro collaborazione come consulenti a una sceneggiatura di un film tratto dal libro.

 

E dicono che Valerie Plame sarà interpretata da Nicole Kidman.

If that really is her name. Oh, yes, it is.

 

 

The Decemberists – Valerie Plame (MP3)

The Decemberists –
Valerie Plame (live @ Daily Show with Jon Stewart)
(video streaming)

 

venerdì, 24 10 2008

Il primo videoclip al mondo in formato Excel

Una cosa talmente figa da ridefinire il concetto stesso di ‘figo’: via Giavasan il primo videoclip al mondo in formato Excel. Andate sul sito degli AC/DC e scaricate il file .XLS. (ovviamente dovete avere la macro abilitate).

 

Io ho provato su un paio di computer (un PC con OpenOffice Calc e un Mac con Excel) e non mi funziona, ma immagino che un’installazione classica su Windows con Excel non fallisca. Altrimenti si può vedere su YouTube, qua sotto. Una vera meraviglia

 

 

venerdì, 24 10 2008

Mimì Clementi stasera a Get Black! (con Simon Reynolds)

di

Questa sera, alle 21.00, a Get Black! (per chi è a Bologna, sui 103.1 di Radio Città Fujiko, per chi è fuori sede in streaming da qui):

 

 

_ Per i "Ferri del Mestiere" avremo in diretta Emidio — Mimì — Clementi, anima, parole e voce dei Massimo Volume che ci racconterà la storia di una reunion in cui tutti noi trentaequalcosa enni abbiamo sperato da quando eravamo venticinqueequalcosa enni. Chi li ha sentiti suonare quest’estate, ad esempio a Frequenze Disturbate, ne ha scritto così.

 

 

_ Al Quiz Black regaleremo "Hip-Hop-Rock" di Simon Reynolds (celebrato e celeberrimo autore di "Post-Punk"). Il nuovo volume raccoglie, in 452 pagine targate ISBN edizioni, gli articoli, i saggi e le recensioni che il più grande critico musicale vivente ha scritto dal 1985 al 2008, raccontando il confine, dice Reynolds, mobile, labile e alle volte impercettibile, tra musica "nera" e musica "bianca", tra il rock underground dei Sonic Youth e il rap dei ghetti alla 50 Cent.
Reynolds, per chi non lo sapesse, è un bastardo. E’ un bastardo geniale e stronzissimo, uno che con la faccia da culo che tu metteresti su per andare a trovare a Natale una lontana zia di tua madre scrive:

"Morissey elabora e interpreta il flusso dell’adolescenza: il tentennamento tra agorafobia e claustrofobia, possibilità e vincoli, la sensazione che il corpo e i significati culturali ad esso attribuiti siano una gabbia. Morissey cristallizza questo flusso, lo plasma in distici, giochi di parole, aforismi, guizzi introspettivi, una sapienza che ci rassicura. […] Gli Smiths sono una sinossi del dolore."

Un bastardo, appunto. Perché tu leggi una cosa così e sai che non potrai mai più parlare degli Smiths nella tua vita senza che ti rimbombi in testa quella "sinossi del dolore".
Ma a Get Black! non guardiamo in faccia nessuno, neanche quando la faccia è quella di Reynolds. Il quiz black di questa settimana riguarderà gli Smiths, quindi siate preparati.

 

 

_ Parleremo in diretta con Stefano Brugnara, dell’Arci Emilia Romagna, che insieme a Homesleep Music e agli Yuppie Flu ha organizzato Colla+eral 2008, la rassegna musicale volta a valorizzare le collaborazioni artistiche e sinestetiche, i progetti paralleli, insoliti ed inusuali. Colla+eral è iniziato ieri sera, al Maffia di Reggio Emilia, con il concerto dei riuniti Massimo Volume e procederà con una scaletta eccezionale che toccherà molti fra i più importanti circoli Arci della Regione (tutte le informazioni qui)

Siateci tutti.

 

 

Bonus Tracks:

The Smiths –
Girl Afraid (live) (MP3)

Massimo Volume – Atto Definitivo (MP3)

 

giovedì, 23 10 2008

Indies Go Green!

Mentre un sondaggio rivela che gli inglesi sono i più propensi in Europa a condividere docce e bagni per ridurre sprechi e risparmiare sull’elettricità, il Governo Italiano minaccia di bloccare l’attuazione del protocollo di Kyoto in Europa per la riduzione delle emissioni di CO2 nell’atmosfera.

 

Per non essere sempre l’ultima ruota del carro, ecco un decalogo semi-serio ad uso e consumo di musictecnologicofili eco-sostenibili:

 

1. Raccogli i mozziconi delle tue sigarette (+1 punto per sigaretta)

 

2. Se compri birra in bottiglia, recupera il vetro! (+2 punti per bottiglia). Se puoi, preferisci la spina! (+ 2 punti)

 

3. Quando vai ai concerti, dividi il viaggio in auto con gli amici* (o vacci in bicicletta = +3 punti)
*se sei di Bologna chiedi un passaggio al titolare di questi blog per andare al Covo, che lui è ben contento di fare il tassì – specie da quando c’è una pattuglia ogni tre metri fornita di alcooltest (su consiglio del dottorGola).

 

4. Quando puoi, lava a freddo (e le tue magliette a righe non si rovineranno, magicamente) (+3 punti)

 

5. In casa d’inverno non superare i 20°: il look emaciato è un classico mai fuori moda…(+3 punti)

 

6. Dopo ore al tuo pc o mac, centinaia di ore ad ascoltare l’ipod, millenni al cellulare, forse è il momento di comprare un caricabatterie solare (su Eco Geek Living e Select Solar ce ne sono moltissimi). (+3 punti).

 

7. Scegli i concerti giusti. I Radiohead hanno fatto solo il primo passo: (qui e qui). (+3 punti a concerto).

 

8. Scegli il vintage! Vecchi cappotti, vecchi maglioni e jeans, niente è più a zero emission. Alternativamente puoi scegliere abiti alla cannabis  (+2 punti a capo).

 

9. Prova un modo di rendere ecologica la tua vita in camera da letto… (+ 2 punti)

 

10. Costruisci un’ecogym nel tuo cortile.

 

 

Poi, volendo essere pignoli, si potrebbe dire che sarebbe cosa buona scegliersi dei governanti che si preoccupano per l’ambiente. Ma questa, temo, è tutta un’altra storia.

 

 

Foto | www.thegeekweekly.com

 

martedì, 21 10 2008

Terra Nostra

Il viaggio di Inkiostro/Batteria Ricaricabile negli episodi-pilota in musica delle serie più trascurate dalla maggioranza modaiola continua con Terra Nostra. Sfortunata nella collocazione iniziale su una rete secondaria, la storia degli emigranti italiani in Brasile ha saputo più che raddoppiare i suoi fedelissimi nel tempo. Per raccontarla sono qui con noi Kanye, sedici cavalli di potenza, la delocalizzazione del gospel, un Mark Lanegan dolente come un Johnny Cash della techno, la terra promessa, gli Eurythmics, il Brasile.

terra_nostra

venerdì, 17 10 2008

Amico Fuoco

Finalmente ti raggiungo al bar ti vedo,
sei tu "mon amour"
le tue gambe allucinanti
"me rendent fou, me rendent jaloux"

Questo post è un remix

Non c’è più l’hype di una volta. E’ un gruppo di cui molti tessono le lodi già da mesi, e che – eppure – misteriosamente non è già famosissimo. Diskoinkiostro li segnalava già a giugno anche se li sentiva già da prima, e prima che esca il loro disco d’esordio (sennò che hype è?) non posso che dare inizio al coro, e magnificare le grazie degli Aeroplane, qui alle prese con una rilettura dei Friendly Fires.

Il singolone Paris diventa disco-dream-pop dolceamaro (con una proporzione 33,33%/33,33%/33,33% tra i tre generi) imbevuto di synth trattenuti, viulini svolazzanti e una voce di donna spacca la pista a colpi di spleen sognante. Come una versione disco dei Delgados, degli Stars più europei ed elettronici, oppure dei Phoenix che decidono di vendere la cowbell di prima e indossare una parrucca buffa alla Farah Fawcett.
Una bella scoperta (o, se preferite, conferma). A fine Novembre suonano a Verona, qualcuno li porti anche a Bari, dai. Buttate via i vostri trench e compratevi un eskimo.

remix

 Friendly FiresParis (Aeroplane Remix)

giovedì, 16 10 2008

Wombat rock

Che i Wombats fossero degli adorabili cazzoni si era capito già da un po’. Una band che nel suo secondo singolo cita Bridget Jones e nel terzo invita a trovare il lato divertente delle canzoni dei Joy Division -blasfemia!- fa capire da subito che non gioca neanche nello stesso campionato della massa di fighetti pieni di sè che in media compone le giovani band della terra di Albione, e non può che stare subito simpatica.

 

E infatti il trio di Liverpool è tra le mie band favorite della sua generazione (ne ho già parlato qui, qui e qui); grazie anche all’ottimo esordio che contiene (almeno) tre singoli che ancora riempono la pista degli indie-dancefloor, ai loro live carichi, entusiasti e scatenati, e alle cover di canzoni bislacche che talora si divertono ad inserire nei loro set (sentite qua sotto).

 

Le ultime news li danno candidati agli Mtv Europe Music Awards come Best UK Act (sono contro corazzate come i Ting Tings, Duffy, Adele e Leona Lewis; non hanno speranze), e pronti a uscire a dicembre e a Febbraio con due nuovi singoli. Capace che fanno pure un bel secondo disco. Le carte ci sono.

 

[i Wombats suonano stasera all’Estragon di Bologna. Se vi interessavano le date di Milano, Roma o Treviso, beh, ve le siete perse]

 

 

The Wombats – Bleeding Love (Leona Lewis cover) (MP3)  [ALT]

The Wombats – Everything I do (Bryan Adams cover) (MP3)  [ALT]

The Wombats – Patience (Take that cover) (MP3)  [ALT]

The Wombats – There she goes (The La’s cover) (MP3)  [ALT]

 

martedì, 14 10 2008

Cascate

Del disco di Arnoux  mi sono innamorato perdutamente una sera in cui pioveva.
Il che, per un disco che si chiama Cascades e che è evidentemente acquatico fin dalla sua copertina, è talmente perfetto da essere quasi troppo scontato.

 

Ero uscito dal lavoro tardi, che era già buio, ero stanco e mi trascinavo verso casa lentamente con il suo disco in cuffia. La consonanza emotiva tra la mia condizione psicofisica e i suoi pezzi circolari, in larga parte costruiti su loop di chitarra arpeggiata o pianoforti pigri, con aperture quasi indietroniche, uno xilofono più virtuoso di quanto non sembri e un paio di voci che giocano a nascondersi, è stata così perfetta che l’ho ascoltato per tre volte di fila, e alla fine le sue atmosfere ambientali (che a volte ricordano certe cose degli Hood o dei Mice Parade) mi avevano completamente conquistato.

 

Arnoux è il progetto solista di Fabio Arnosti (già bassista dei Ten thousand bees), è pubblicato dalla Knifeville e costa solo 10 euro, spese di spedizione incluse. E’ davvero bello.

 

 

Arnoux – Fishing bottles in the middle of a lake, Akko, Israel (MP3)

Arnoux – Today, a rainy day (MP3)

 

 

 

E poi c’è il live in the tracking room, una serie di video registrati e messi online da Atracoustic, con micro-intervista iniziale e live dall’altissima qualità e dalla cura eccezionale (la loro realizzazione potrebbe competere con celebri serie di live come quelle di PitchforkTV o della Blogotheque), che mi ha confermato che in questo caso ci troviamo davvero di fronte a qualcosa di piccolo ma grandioso. Che fa rumore come una goccia che cade ma in realtà, dentro, è fragoroso come una cascata.

 

 

venerdì, 10 10 2008

Lov Lov Lov

Non è la prima che questo blog professa il suo esagerato amore nei confronti di Sara Lov e dei suoi Devics. Successe nel 2006, in occasione dell’uscita dell’ultimo disco della band, ma anche l’anno dopo, quando la cantante californiana iniziò a diffondere il suo materiale solista, poi pubblicato in un EP autoprodotto (un oggetto bellissimo) e presentato in anteprima mondiale sulla spieggia dell’Hana-bi in un concerto memorabile (da cui proviene la foto qui sopra, scattata dal Paso e ospitata dalla Ele insieme ad altri begli scatti).

 

Non è la prima volta, e non sarà l’ultima, perchè Sara Lov ha da poco annunciato di aver firmato per la Nettwerk, che pubblicherà a Gennaio The Young Eyes EP e ad Aprile un disco intero, intitolato Seasoned eyes were beaming. L’EP è già disponibile in forma digitale, e oltre a contenere la già classica New York e una versione alternativa della title track del disco, contiene anche due cover: una del recente singolo di Beck Timebomb, l’altra di My body is a cage degli Arcade Fire (che trovate qua sotto, in qualità non proprio perfetta ma vabbè). Online circolano già alcune tracce del disco, come la spettacolare Animals (in duetto con Alex Church, già cantante dei Sea Wolf ) e Fountain, entrambi eccellenti esempi del cantautorato crepuscolare e melanconico della cantante e songwriter losangelina. Classe da vendere, cuore che sanguina.

 

Sara Lov – My body is a cage (Arcade Fire cover) (MP3)  (ALT)

 

Sara Lov (feat. Alex Church) – Animals (MP3)  (ALT)

Sara Lov – Fountain (MP3)  (ALT)

 

mercoledì, 08 10 2008

If that really is your name – Part one

di

Sentire un nome in una canzone, soprattutto quando è il nome di una persona realmente esistita, mi fa sempre un certo effetto. Non so bene nemmeno io perché. Forse perché mi ricorda un pezzo di Billy Joel per cui andava matta mia madre circa una ventina di anni fa, che si chiamava We didn’t start the fire. Fu proprio lei a spiegarmi che il testo della canzone, che a me sembrava fatto di parole confuse di una lingua a me ancora sconosciuta, era composto unicamente da eventi di quarant’anni di storia. La maggior parte dei quali erano nomi e/o cognomi di celebri americani. "Senti, che in questo punto dice joe-di-mag-gi-o?". Quel giorno, scoprii chi era Joe di Maggio.

Allo stesso modo, mi ha fatto effetto sentire come Knickerbocker, la canzone che apre Lightbulbs, il terzo disco di Fujiya & Miyagi – e il loro lavoro migliore, a mio avviso – sia basata sulla ripetizione della frase "Vanilla, strawberry, knickbocker glory, I saw the ghost of Lena Zavaroni". Anche perché, al di là della vaniglia e della fragola, io non lo sapevo, chi fosse questa Lena Zavaroni. Adesso lo so.

Chi era Lena Zavaroni?

Lena Zavaroni era una cantante. O meglio: una bambina-prodigio. A tutt’oggi, la più giovane artista ad aver mai conquistato la top10 nel Regno Unito. Scozzese, classe 1963, Lena pubblicò infatti il suo primo album nel 1974. Uno di quei piccoli mostri che ogni tanto spuntano fuori, e diventano famosissimi, e tutti a dire ma quanto è pucci Lena, e quanto talento la piccola Lena, ma guarda come canta Lena, cielo, e poi purtroppo Lena diventa adulta, e muore.

Lena Zavaroni è scomparsa nel 1999 a causa di un’anoressia nervosa che le aveva reso la vita impossibile fin dall’età di 13 anni, peggiorata dalla morte della madre per overdose di tranquillanti, un matrimonio fallito dopo un anno e mezzo, una denuncia per furto per aver rubato un pacchetto di caramelle all’età di 35 anni, diverse overdose, diversi tentativi di suicidio, diversi elettroshock, e un’operazione psicochirurgica definitiva che invece di guarirla le provocò una polmonite, uccidendola. Alla sua morte, Lena Zavaroni pesava 32 chili.

Flashback. 1974. Lena Zavaroni ha di nuovo 10 anni. Ed è ospite di Johnny Carson, al Tonight Show.

Mi è sembrato di vedere un fantasma. A voi no?

Billy JoelWe Didn’t Start the Fire (mp3)
Fujiya & Miyagi Knickerbocker (mp3)

(Fujiya & Miyagi saranno in Italia nei prossimi giorni: a Milano al Rocket il 9 ottobre, il giorno dopo a Bologna al Covo Club, e l’11 a Roma al Circolo degli Artisti)

 

 

[Update by ink: pare che un membro della band abbia appena perso il passaporto e che sateranno quasi sicuramente la data di Milano e probabilmente anche Bologna e Roma. La notizia non è ancora confermata ufficialmente, quindi rimanete sintonizzati per aggiornamenti (e incrociate le dita). (via e via)]

 

 

[Update all’update by ink: E’ confermato: il tour italiano di Fujiya e Miyagi è rimandato al 4-5-6 dicembre. (via)]

 

 

mercoledì, 08 10 2008

Troublemaker

Ok, lo ammettiamo: da queste parti (quasi) tutti amiamo senza se e senza ma i Weezer, nonostante l’ultimo bel disco della band risalga più o meno a un decennio fa.
Già a Maggio Valido aveva linkato il paraculissimo video dell’apripista del nuovo disco Pork and Beans, che sopperisce alla povertà del suo pop chitarristico senza pretese con la partecipazione dello YouTube-All-Stars al gran completo. Ora la band di Rivers Cuomo torna con un nuovo singolo (Troublemaker, probabilmente il pezzo migliore del red album), e stavolta a illustrare il suo pop chitarristico senza pretese c’è un delirio visivo che mischia tutto e il contrario di tutto il cui scopo è, forse, esattamente quello di buttare fumo (colorato) negli occhi di chi guarda. E secondo me funziona.

Il video forse è mostruoso, forse è bellissimo, non lo so. Durante le sue riprese sono stati compiuti alcuni record per il Guiness dei primati (tra gli altri: più numeroso ensamble di air guitar, più grande partita di palla avvelenata, più lunga maratona di Guitar Hero World Tour e più grande battaglia a torte in faccia), per buona parte del video c’è uno spudorato e imbarazzantemente evidente product placement dell’N85 dela Nokia, e Rivers Cuomo è conciato come un Mike Patton più grottesco e senza senso dell’umorismo. Insomma, un delirio. Mi piace un sacco, anche se fa schifo.

 

martedì, 07 10 2008

Primo gelo

Era notiza di questo weekend: da qualche parti sulle Alpi negli scorsi giorni è già caduta la prima neve. Da noi in città di giorno si sta ancora bene ed è difficile trovarsi a pensare con tanto anticipo all’inverno; se recentemente vi è capitato di svegliarvi molto presto, però, avrete sicuramente sentito il freddo pungente di quelle ore, e l’aria gelida e pura non avrà potuto non farvi venire in mente con un brivido che all’inverno non manca poi tanto.

 

Un clima del genere sembra perfetto per l’uscita di un disco che si chiama First Frost, «Primo Gelo». Curioso però che a pubblicarlo sia una band australiana, originaria di una terra dove, come intuirete, per quest’anno il freddo è ormai alle spalle e si appresta ad arrivare la bella stagione. The Lucksmiths, però, sono sempre bravissimi a prenderci in contropiede sulle stagioni della nostra vita, a mostrarci l’aspetto reale delle cose che tutti i giorni sono sotto i nostri occhi, e a condurci in un nuovo viaggio che stavolta tematicamente pare portare lontano da quegli angoli tiepidi del loro capolavoro di tre anni fa.

 

Il loro penultimo disco Warmer Corners, infatti, è stato il mio disco dell’anno nel 2005, ed ogni volta che l’ascolto non riesco quasi a capacitarmi tanto della bellezza del suo pop semplice e cristallino quanto della sua capacità di descrivere alla perfezione buona parte della mia vita nell’anno domini 2005. Non ho idea di cosa riuscirà a raccontarmi First Frost, che esce a Novembre per Matinée/Fortuna Pop (poco temo, visto che al momento c’è ben poco da raccontare), ma visti i primi tre brani diffusi sul Myspace (altri frammenti sul sito della Matinée) sono fiducioso. Il primo gelo in arrivo non mi è mai sembrato così bello.

 

 

The Lucksmiths – Good Light (MP3)

The Lucksmiths – Sobering thought (Just When One Was Needed) (MP3)

The Lucksmiths – The town and the hills (MP3)

 

venerdì, 03 10 2008

Lost in the post

[dei link che probabilmente avete già visto e in più un po’ di cazzi miei]

 

 

_Se scrivi un post per punti bla bla bla.

 

 

_Band italiane: prendere appunti. Remix dei TV on the radio, duetto live benefico tra Fleet Foxes e Wilco su classico di Dylan, inedito dei Vampire Weekend, cover dei Talk Talk più mini-live di Bon Iver. E ancora: video live dei TV on the radio da Letterman (in esterna), Bon Iver e Lykke Li insieme per una bella versione live di Dance Dance Dance, il video di Reckoner dei Radiohead che ha vinto il contest user-generated, il video di Ventrale degli Offlaga Disco Pax, il nuovo video dei Fleet Foxes: gli autori dei dischi dell’anno sanno come tener viva l’attenzione della rete su di loro.

 

 

_Random WTF of the day. Esilarante.

 

 

_Nooooo future. Johnny Rotten ha appena fatto lo spot per una marca inglese di burro. Fermate il mondo, voglio scendere.

 

 

_RapidDeath. Scaricatori di tutto il mondo, preparatevi al peggio: le autorità hanno intimato al colosso tedesco del direct link download Rapidshare di controllare preventivamente la liceità dei file uploadati dagli utenti prima di renderli disponibili. Praticamente, la sua morte. Contando che questo tipo di servizi al momento è responsabile di più o meno 30% del traffico complessivo della rete, c’era da aspettarselo. (come se cambiasse qualcosa)

 

 

_Get Black. Come avrete già letto nel post precedente, stasera in radio riprende Get Black. La nuova stagione avrà un sacco di novità, esclusive e regali (stasera il disco di Styrofoam), la prima delle quali è che sentirete molto raramente la voce del sottoscritto, e che la guida dello show passa interamente nelle mani di Fabio e Francesca, con OfflagaDiscoMax a fare sempre da battitore libero e qualche new entry. Scoprite tutto alle 21 stasera sui 103.1 MHz FM a Bologna e dintorni, o in streaming (e da domani, in podcast).

 

 

_Shameless self promotion. E a proposito di Styrofoam e di Offlaga Disco Pax, il sottoscritto questo weekend fa la doppietta, e mette i dischi stasera al (brand blue) Covo (con tessera!) dopo il concerto del genietto belga dell’indietronica pop (al Gate 2, con George aka Y:DK) e domani è ospite di Mingo all’Estragon dopo lo show (gratuito) dei nostri beniamini reggiani. Non oso immaginare in che condizioni sarò domenica mattina.

 

 

_Farsene una ragione è un’altra cosa, ma un pochino aiuta. Lookeyinside traduce sul suo blog uno degli ultimi racconti scritti da David Foster Wallace, mentre Salon ci presenta uno squarcio vivido e doloroso sugli ultimi giorni di vita dello scrittore. Non risponde alla domanda che ci siamo fatti tutti («Perchè?»), ma è già qualcosa.

 

 

_ Quando interviene lui, non ce n’è più per nessuno. Leonardo dice la sua sua sulla discussione in tre parti (uno, due, tre) sugli Hipster che c’è stata in questi giorni su queste pagine.

 

 

_Se vi servisse una guida. Bubble flow chart of things to say during sex.

 

 

_La solita utile guida sulla follia orientale. Lunchbox che riproducono col cibo le copertine dei dischi. Bleah.

 

 

_Titty strikes back. Oggi è uscito il nuovo singolo di Tizianone Ferro, Alla mia età. Ne dice bene Simona, qua (e io sono d’accordo).

 

 

_Soul meets body? Qual è l’identità sessuale della vostra mente? Io l’ho scampata, ma non è scontato.

 

 

_And I finish up my coffee and it’s time to catch the train. Oltre a essere un’ecezionale e sottovalutata folksinger, Suzanne Vega (vista dal vivo sabato scorso al Festival della poesia della provincia di Modena, nel solito spettacolare set acustico che non mi stancherò mai di rivedere) è anche un’ottima blogger. Leggere il Tom’s essay, pubblicato 10 giorni fa sul blog del New York Times sul songwriting e dedicato alla composizione del suo strafamoso capolavoro Tom’s diner, per credere.
[e se volete un recente live intero con la band, lo trovate qui e qui – pass HAVEDAT]

 

venerdì, 03 10 2008

Cinque ragioni per esserci stasera

di

_perché stasera alle 21.00 ricomincia Get Black!, la trasmissione in onda tutti i venerdì sui 103.1 di Radio Città Fujiko a Bologna (e in streaming, per i fuori sede, da qui).

_perché stasera scoprirete la notizia di cui si parlerà in tutta la blogosfera per i prossimi 10 giorni. La vignetta di Biani? Cazzate. Il fidanzato della Lucarelli? N-i-e-n-t-e. La nuova serie di Gossip Girl? Sciocchezze da bambini. Siateci, stasera, così domani potrete parlarne a ragion sentita.

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mercoledì, 01 10 2008

Dagli yuppie agli hipsters (corollario del corollario)

di
Once we had a name for them, we suddenly realized that they were everywhere, like the pod people of Invasion of the Body Snatchers-especially here in New York, the urbanest place of all. We might have even recognized them as us.
From the beginning, there was a certain subject/object confusion associated with the yuppie concept, a certain “we have met the enemy and he is us” self-reflexivity to the phenomenon. [#]

Mentre Repubblica tracciava un identikit dell’hipster un po’ superficiale ma sicuramente meno impreciso e irritante di quanto personalmente mi aspetti da quel tipo di testata; mentre i lettori di questo blog si scaldavano nei commenti, probabilmente galvanizzati dalla scottante problematica; dicevo, mentre qua da noi accadevano, si fa per dire, questi non-fatti del tutto trascurabili e quindi fondamentali, uno dei miei maestri di vita, il mio amico (anche se lui non lo sa) Jay McInerney, scriveva un articolo da par suo praticamente sul medesimo tema; partendo e occupandosi però principalmente del concetto di "yuppie", al nostro più che ben noto.
Lo scritto merita a mio parere la lettura per l’eccezionale fluidità che lo contraddistingue e per i succulenti riferimenti che contiene; a cominciare da una "colazione" post sbronza datata 1983 al ristorante ucraino dove mi fregio di aver visto inkiostro affrontare con coraggio un Pierogi (cfr. punto 8); e inoltre, chi lo sapeva poi che l’Iguana avesse preso casa a un metro dal mio compare di blog newyorchese Matte? e poi la citazione dell'amato Michael J. Fox di Alex Keaton (per nulla casuale…); in più l’inizio della diffusione delle palestre, presenza urbana che oggi diamo per scontata; la coca; etc.
E poi la chiosa, questa sì sugli hipsters moderni.

In the meantime, the yuppie family tree has thrown off another branch, the hipster. Hipsters believed they were the ultimate anti-yuppies. Unlike their forebears, they wanted to be known not by their job or ambition but by their self-conscious disregard for either. If anything, the cult of connoisseurship was even more exaggerated in this subgroup. Their code, enshrined in Robert Lanham’s hyperironic 2003 Hipster Handbook, was inherently elitist, defining itself in opposition to the mainstream. Hipster consumerism championed the notions of alternative and independent, rejecting the yuppie embrace of certain consumer brands in favor of their own. So it was vintage T-shirts rather than Turnbull & Asser dress shirts with spread collars, Pabst Blue Ribbon over Chardonnay. But ultimately, whether you love Starbucks or loathe it, a world in which we are defined by our choice of blue jeans and coffee beans owes more to Alex Keaton than to Abbie Hoffman. And as if to prove that the hipster and the yuppie are brothers under the skin, borough-bred columnists like Denis Hamill and Jimmy Breslin still find the yuppie label useful for bashing a certain breed of interloping effete New Yorker, the kinds of people who may in fact identify themselves as hipsters. [#]

Le luci si saranno pure spente, ma Jay rimane ancora luminoso; e partecipa al primo episodio della seconda stagione di Gossip Girl, il che, oltre ad avermi fatto pensare a una marchetta per finanziare i suoi soldatini boliviani, lo rende ai miei occhi ancora più grande, perché significa che è rimasto anche la solita puttana mondana di sempre.

martedì, 30 09 2008

Hipsteria (corollario)


Se anche un mezzo generalista, con tutta la sua naïveté, riesce a fornire una descrizione accettabilmente accurata di una tendenza, e le varie parodie, più o meno graffianti, sono sempre più diffuse e sempre meno grossolane, spesso quella tendenza sta vivendo la fase di maggiore diffusione (non mediata e non meditata ma accettata perché in auge), ed è prossima alla fine, fino alla prossima palingenesi, da nicchia a tendenza e così via.

Quando li cattura una definizione/il mondo passa a una nuova generazione.

lunedì, 29 09 2008

Hipsteria

C'è arrivata persino Repubblica, quindi -come ampiamente previsto- ora il fenomeno è inequivocabilmente mainstream anche da noi. Non piangete, immagino ce ne faremo una ragione.

 

Hipster, essere fashion col peggio della moda è un profilo meritatamente superficiale ma piuttosto accurato del popolo frangettato, che non si concentra sulla vera caratteristica distintiva dell'hipster (la smodata ricerca della novità a tutti i costi, per raggiungere la sensazione di far parte di un'elite all'avanguardia e super-cool) per concentrarsi di più sull'aspetto estetico e modaiolo:

 

Secondo lo Urban Dictionary, il più autorevole vocabolario online di linguaggio urbano, hipster, che deriva dal termine slang hip ovvero "informato sulle ultime mode", è una sottocultura di persone tra i 20 e i 30 anni che crede nel pensiero indipendente, nell'anticonformismo, nella creatività, nell'arte e nella musica indie. Nato intorno all'inizio del 2000 nel quartiere di Williamsburg, New York, e poi diffusosi in tutto il mondo, l'hipsterism raccoglie intorno a sé giovani istruiti che spesso lavorano nel mondo dell'arte, della musica e della moda e rifiutano i canoni estetici della cultura Usa. E anche la sessualità predefinita.

 

Non sono radical chic, né bohemien o neo-liberal. Quello che li differenzia da questi gruppi è la mancanza di intenti politici. Non rivendicano alcuna appartenenza politica, perché volutamente indipendenti da ogni regola. Non vogliono essere catalogati e eludono l'attualità: tranne, ovviamente, per quel che riguarda musica e moda. L'unica religione che tutti gli hipster riconoscono come tale sono i pantaloni attillati: le donne indossano quelli super slim, stretti fino al polpaccio e gli uomini – per risultare ancora più insaccati – si infilano a fatica nei modelli femminili. […]

 

Così conciati, e alla disperata ricerca di uno stile di vita indie, gli hipster sono purtroppo caduti nel nemico da loro più temuto: il conformismo e la catalogazione. Divenuti una delle tante espressioni della creatività giovanile, proprio come i punk o gli emo, musica, moda e società li hanno ingabbiati in numerose definizioni. C'è l'hipster rap, l'hipster hop e l'hipster funk. Ci sono gli hipster-genitori, preferibilmente coppie multiculturali che portano i loro hipster-figli a concerti e mostre, e le hipstermobile, biciclette a ruota fissa senza freni né cambio. Si potrebbe continuare ancora per molto. Fino all'hipsteria. [#]

 

[H•I•P•S•T•E•R•S è un'idea del sempre fondamentale Hipster Runoff]

 

 

Random hipster-themed song:
(che gli hipster, che hanno un sacco di senso dell'ironia, sono costretti ad apprezzare)

 

Oh snap! – I'm too fat to be a hipster (MP3)