indie-gestione

martedì, 06 08 2013

The O.C. e la gentrificazione dell’indie-rock (e di questo blog)

Fino a qualche anno fa avrei segnalato lo spendidio post di Chris DeVille su Stereogum Deconstructing: The O.C. And Indie Rock Gentrification pochi minuti dopo la sua pubblicazione, e l’avrei probabilmente integrato con le mie riflessioni sul non-genere musicale a cui abbiamo dedicato parte della nostra gioventù. Ora invece, incastrato tra gli impegni di lavoro della mia società e quelli della vita personale, distratto dalla pianificazione di una vacanza in un posto esotico e senza neanche fare più finta di aver voglia di ascoltare dischi nuovi, lo linko con una buona giornata di ritardo e mi limito a un pigro copiaincolla. Come dice il finale, «For better or worse, indie rock has settled down into a comfortable life of luxury, nostalgia and privilege. Seth Cohen is all grown up, and he looks a lot like his parents.», che è in parte vero e in parte no. Ma non ho neanche più voglia di spiegarvi perchè in parte no, quindi facciamo che sì.

 

Ten years ago today, five words forever changed the nebulous concept known as indie rock: “Welcome to the O.C., bitch.” That dialogue was in the pilot of Fox’s teen soap opera The O.C., but you already knew that. The fact that it’s virtually impossible to imagine a reader of this website who isn’t aware of the show underlines the notion that it played a huge part in the genre’s trajectory this past decade — and in tastemakers’ retreat from it.

 

Let’s not belabor the whole “What does indie rock even mean?” thing. Yeah, “indie” is short for independent, and somewhere along the line it shifted from a description of a business model to a description of a musical style, at which point it was distended, like “grunge” and “alternative” and “new wave” and “punk” and “metal” and “rock” before it, beyond coherence. The O.C. played a pivotal role in that process. Still, even at this late date, you know indie rock when you hear it, whether in classicist forms like Parquet Courts and Cloud Nothings or modernized festival tentpoles like TV On The Radio and Spoon and Yeah Yeah Yeahs. It’s intangible but unmistakable — a designation you’d assign to Liz Phair’s shambolic underground smash Exile In Guyville but never her radio-baiting Liz Phair.

 

Back in June, I argued that a move like Phair’s much-maligned pop crossover attempt in 2003 never would have provoked so much outrage in 2013. The thesis was basically that “poptimism” — the unapologetic embrace of pop music once deemed distasteful by critical elites — had been internalized to the point that your average straw-hipster is more likely to fawn over Justin Timberlake or Beyonce than the Walkmen or the National, and that becoming a superstar, even “selling out” to become a superstar, is now applauded rather than shunned. It ended like so: “In 2013, poptimism is the air we breathe. Why that happened is a complicated argument for another essay.” If there was ever an occasion for that essay, it’s the tenth anniversary of The O.C., a major player in the gentrification that helped drive away the kind of people who think of themselves as cutting-edge. [#]

| # | indie-gestione, tv series | I Commenti sono chiusi

mercoledì, 19 06 2013

Evolution of Get Lucky

[chevvelodicoaffà]

 

| # | indie-gestione, suoni | I Commenti sono chiusi

lunedì, 03 06 2013

Ma la cover ska di Such great heights dei Postal Service l’avevate sentita?

Io no. Avevo sentito quella screamo e ovviamente quella acustica di Iron and wine, ma questa mi mancava. Non so bene come sia possibile, ma non mi dispiace neanche.

 

[e se non vi basta, per celebrare la reunion della band e le date europee di questi giorni – io li ho visti al Primavera Sound di Barcellona, e il loro live è stato esattamente come me l’aspettavo: mi sono divertito – qui ci sono 14 Postal Service Covers To Hold You Over Until The Reunion Tour]

sabato, 01 06 2013

Velleità perturbate (Perturbazione VS I cani)

Non ho (ancora) scritto niente di Musica X, il nuovo disco dei Perturbazione, che a fronte della ‘svolta’ pop (elettronico) è una creatura musicale ben complessa che non ho inquadrato per bene. Non posso però farmi sfuggire la segnalazione di questa notevole cover due-chitarre-acustiche-e-un-sacchetto-in-testa di Velleità, singolone de I Cani che un paio di primavere fa ha monopolizzato i nostri stereo. Non a caso all’interno del disco dei Perturbazione c’è anche una canzone (Questa è Sparta) che vede alla voce proprio Niccolò de I Cani. Generazioni di gente che sa scrivere canzoni a confronto, e vincono tutti.

| # | indie-gestione, suoni | I Commenti sono chiusi

martedì, 21 05 2013

Brassft punk

Non so se è successa la stessa cosa anche a voi, ma nonostante il mio lettore ultimamente abbia visto un’impressionante infilata di dischi nuovi di nomi a me molto cari (da Nick Cave ai The National, dai The Knife a James Blake, dai Perturbazione ai Vampire Weekend, dagli Strokes ai Phoenix), credo di aver accumulato più ascolti di Random Access Memories dei Daft Punk nell’ultima settimana che di tutti i dischi sopra citati nei due mesi precedenti. Non è un disco perfetto (per certi versi è persino pigro), ma a quanto pare era esattamente quello di cui avevo bisogno in questo momento.

Mentre sono occupato ad ascoltare Giorgio by Moroder col repeat (l’ho fatto) e poi a recuperare i dischi di cui sopra (perchè lo farò), voi ascoltatevi i Brassft Punk, una brass band di New Orleans che ha messo online questo clamoroso EP che contiene 4 grandi classici del duo francese interamente rifatti a base di fiati. Lo amerete.

 

mercoledì, 15 05 2013

E’ Primavera

Eggià, è tornato quel momento dell'anno in cui la stagione si scrive con la lettera maiuscola, perchè non si riferisce a un periodo dell'anno ma al Primavera Sound, il miglior festival musicale d'Europa (gli altri ormai neanche ci provano più) che tra meno di una decina di giorni sarà di scena come al solito al Parc del Fòrum di Barcellona. L'ultima volta che ci sono stato mi ero ripromesso di non tornarci a breve (non perchè sia brutto, anzi) e di provare a esplorare anche altri festival; poi però qualche mese fa è uscita la line-up (presentata con un video spettacolare) e davanti a nomi come Blur, Nick Cave & the bad seeds, Phoenix, Postal Service, The Jesus & Mary Chain, The Knife, James Blake, My Bloody Valentine, Tame Impala, Grizzly Bear (e potrei continuare) non ho saputo resistere e mi sono assicurato un biglietto per la tre giorni catalana.

 

Quest'anno ho idea che la quantità di italiani tra il pubblico sarà ancora superiore al solito, quindi saremo in tanti ad avere l'annoso problema degli incastri nella composizione della propria time-table personale. Come sempre le pagine sul sito ufficiale non aiutano, e sono più utili questa versione aggiornata della time-table su Clashfinder (che è possibile personalizzare per creare il proprio percorso. Il mio è qui: in verde le cose imperdibili, in blu le alternative), o quelle stampabili (come questa in excel o questa in PDF) create dagli utenti del forum. E non dimenticate di studiarvi la mappa, in cui potrete scoprire che quest'anno il palco principale (l'Heineken Stage) è quello più lontano all'ingresso (quello che due anni fa si chiamava Llevant e l'anno scorso Mini) e che quindi per seguire i nomi più grossi e alternarsi tra quello e il Primavera Stage ci sarà da pedalare. Un buon modo per smaltire la birra, no?

| # | faccio cose vedo gente, indie-gestione, suoni | I Commenti sono chiusi

mercoledì, 24 04 2013

Quella volta che ho partecipato a un videoclip col cursore del mio mouse

Si definisce un «crowd-sourced music video», e all'inizio quel «please note that we are recording your pointer» suona come una sciocchezza. Poi partono le istruzioni (un po' videogame, un po' sondaggio, un po' videoarte, ma diverso dai video interattivi che si erano visti finora), e scopri che sei arrivato fino alla fine della canzone anche se il gruppo non l'avevi mai sentito nominare. Per la cronanca, si chiamano Light Light e hanno avuto una bella idea per il video del loro pezzo Kilo. Che peraltro non è neanche male.

 

 

| # | indie-gestione, oh my geekness, suoni | I Commenti sono chiusi

lunedì, 22 04 2013

Metti i Kings of Convenience una sera in piazza

La liason tra i Kings of Convenience e il Bel Paese è cosa nota (vedi puntate precedenti: la cover di E la luna bussò al Not.fest, il video per difendere La Pillirina di Siracusa, Erlend che entra al Covo mentre sto mettendo i dischi), quindi stupisce poco che il beneamato due norvegese in questi giorni sia di nuovo in Italia (magari per lavorare al nuovo disco?) e di nuovo dalle parti di Siracusa (dove Erlend ha una casa). Ma ciò non ci rende meno lieti di scoprire questa spettacolare cover di Una ragazza in due, classico portato al successo da I Giganti nel 1965 (che poi è la versione italiana della ballad americana Down came the rain), cantata in italiano senza amplificazione una notte dalle sedie di un bar in Piazza Duomo a Siracusa. Wow.

 

| # | indie-gestione, suoni | I Commenti sono chiusi

domenica, 24 03 2013

«What did we do to deserve Pitchfork?»

Una lettura perfetta per il pomeriggio di una piovosa domenica di fine inverno: 5.4 – Pitchfork, 1995 – present. Risale a un paio di mesi fa, ma l'ho incrociata solo oggi (grazie a Pop Topoi), e del resto solo oggi avrei avuto il tempo di leggere le sue quasi 60mila battute. Inizia ripercorrendo la storia del sito musicale più famoso e controverso della rete e finisce come un saggio di sociologia del consumo; non sono completamente d'accordo col suo punto di vista, ma contiene alcune riflessioni notevoli e un livello di approfondimento abbastanza raro.

That project—an ever evolving, uncontroversial portrait of contemporary tastes in popular music—addressed one problem surrounding music in the file-sharing era to the exclusion of all others. Faced with readers who wanted to know how to be fans in the internet age, Pitchfork’s writers became the greatest, most pedantic fans of all, reconfiguring criticism as an exercise in perfect cultural consumption. Pitchfork’s endless “Best Of” lists should not be read as acts of criticism, but as fantasy versions of the Billboard sales charts. Over the years, these lists have (ominously) expanded, from fifty songs to 100 or 200, and in 2008 the site published a book called The Pitchfork 500: Our Guide to the Greatest Songs from Punk to the Present. Similarly, Pitchfork’s obsession with identifying bands’ influences seems historical, but isn’t. When a pop critic talks about influences, he’s almost never talking about the historical development of musical forms. Instead, he’s talking about his record collection, his CD-filled binders, his external hard drive—he is congratulating himself, like James Murphy in “Losing My Edge,” on being a good fan. While Pitchfork may be invaluable as an archive, it is worse than useless as a forum for insight and argument. [#]

mercoledì, 06 02 2013

Introducing Bowmont

E in un mondo in cui chi ha una vita non può sperare neanche lontanamente di arrivare per primo su un nuovo nome o progetto musicale perchè c'è sempre qualcuno che ha già scoperto, divorato e digerito qualunque cosa minuti dopo che viene messa per la prima volta online, è una strana sensazione quella di incrociare una band eccezionale e scoprire che in giro non ne ha ancora parlato quasi nessuno. Loro si chiamano Bowmont, vengono da Brooklyn e sono la creatura del cantante e poli-strumentista Emil Bovbjerg e del fonico e produttore (ha vinto pure un Grammy, pare) Jeremy Loucas. Escono tra una decina di giorni con l'Ep d'esordio Euphorian Age, ma il bellissimo pezzo di apertura Ruphmiup (che sta per «Rough me up») è già online da quasi un anno nel silenzio generale. E non me ne capacito: pattern vocali notevolissimi (vengono in mente i Grizzly Bear, ma la tonalità è tutta diversa) in una elegante cornice elettro-pop (può ricordare le cose meno spudorate di Twin Shadow), con una trasversalità che può piacere tanto al fan dell'indie quanto agli ascoltatori di una radio FM. Roba di quelle che partono come un piccolo fenomeno e poi magari vanno in cima alle classifiche.

 

A segnalarci i Bowmont è il nostro inviato nell'East side Matte, che nelle vesti di Plastic Health, come musicista e remixer, avete già incontrato su queste pagine. Proprio Ruphmiup è caduta sotto le sue grinfie, e a forza di congas e loop il nostro è riuscito ad aumentare il suo già alto potenziale da aperitivo (e un po' pure quello danzereccio) senza fagli perdere un briciolo della sua eleganza. Mica roba da tutti.

 

 

lunedì, 14 01 2013

Non fingo di essere un nerd

Non so nulla di questi Maddai e non so neanche come abbia finito per imbattermi nel loro videoclip d'esordio Fingo di essere un nerd; so solo che a occhio l'operazione di giocare sagacemente con gli stereotipi dell'hipster nostrano non mi sembra esattamente riuscita. Ma ditemi anche voi: si sa che noi veri nerd su queste cose tendiamo a essere un po' esigenti.

 

| # | indie-gestione, suoni | I Commenti sono chiusi

mercoledì, 09 01 2013

Non sono scrupoloso al riguardo di Dio, è a nostra immagine e somiglianza

Ammetto di aver cliccato Play sul video La svolta – Storie di conversioni al cristianesimo dedicato da Giovanni Lindo Ferretti postato dal Many su Piste più in cerca di qualche nuovo aneddoto sulla tarda svolta religiosa dell'ex leader dei CCCP e CSI (ricordiamo quando circa 3 anni fa invitava a votare Lega Nord) che con una vera intenzione di guardare tutti i suoi 28 minuti.

Invece devo dire che ho trovato un ritratto molto ben fatto di un uomo che non cessa di essere uno straordinario affabulatore e un completo alieno, e ho finito per guardare tutto il video. Checchè si pensi del suo percorso (che qui sembra un po' meno fondamentalista di quanto è più volte parso in passato; ma io non mi illuderei), un personaggio che continua a rimanere completamente fuori dagli schemi.

 

 

| # | indie-gestione, suoni | I Commenti sono chiusi

giovedì, 27 12 2012

Polpa di LCD Soundsystem

Ieri sera, non so bene perchè, l'ho dedicata tutta agli LCD Soundsystem. O meglio, in realtà lo so perchè: su Stereogum mi sono imbattuto nella riflessione Filling the LCD Soundsystem void e, anche se la parole di Chris DeVille non mi hanno soddisfatto, ho pensato che si contano sulle dita di una mano le band per cui qualcuno si dà la briga di ragionare in termini di astinenza e vuoto da riempire.

Pochi giorni prima avevo scovato le foto della lezione di enologia tenuta da James Murphy sulla S.S. Coachella, la crociera musicale ai Caraibi organizzata dallo staff del mega-festival californiano prima di Natale (per un perodo non breve ho seriamente considerato l'ipotesi di andarci, e so che non sono stato il solo); Giacomino aveva proprio l'aria di divertirsi, probabilmente più di quanto si sia divertito negli ultimi anni con la sua band.

E alla fine ho dovuto trovare il tempo per guardare la mia copia di Shut up and play the hits, il documentario sul concerto finale del Madison Square Garden che stazionava di fianco alla mia tv da quasi un mese, e di sfogliare il bel libro fotografico LCD di Ruvan Wijesooriya che non avevo ancora avuto il coraggio di aprire. La nostalgia è una brutta bestia.

 

Qualcuno, però, lassù deve avermi ascoltato. Proprio stamattina ho visto su Consequence of sound il regalo che i Pulp di Jarvis Cocker hanno fatto per Natale ai propri fan: una registrazione del classico minore (finora rimasto inedito) After you, in una nuova versione assai danzereccia prodotta proprio durante la suddetta crociera (di cui la band era headliner) da James Murphy. I suoni sono esattamente quelli degli LCD, la batteria spinge come in certi classici del combo di New York, il basso è saturo come se venisse da un disco post-punk della collezione di Murphy, sul finale il pezzo esplode in una coda fatta apposta per ballare, e qua e là giurerei di sentire anche una cowbell. Polpa di LCD Soundsystem, è il caso di dire. E una bella dose di quella buona per noialtri stupidi che dall’Aprile dell’anno scorso aspettiamo solo la reunion.

 

 

| # | indie-gestione, suoni | I Commenti sono chiusi

mercoledì, 19 12 2012

Inkiostro – I dischi del 2012

Un anno un po' fiacco? E' un commento qualunquista, e anche un po' da vecchio, ma guardando indietro mi pare che 2012 non mi abbia dato quanto i precenti in termini di musica. Ho faticato a stilare questa lista, e se gli anni scorsi di solito c'erano troppe cose che mi spiaceva rimanessero fuori, questa volta arrivare a 10 dischi non è stato facilissimo. Non ricomincio con la solfa che parte con la sovraproduzione e si conclude coi tempi di consumo sempre più veloci, la conoscete già tutti, e immagino valga anche un po' per voi. Occore farci i conti senza troppa malinconia e concentrarci nel trovare le poche cose buone che dopo 12 mesi rimangono. Stilare una top ten è sempre un utile esercizio di sintesi ed ecologia dei pensieri e alla fine, dai, mi sa che questi dischi in futuro me li ricorderò.

 

 

 
10
 
Woods – Bend beyond (Woodsist)

 

Non ricordo chi era stato a dirmi che se un disco riesce ad accompagnarti per almeno due stagioni è già un gran disco, perchè contiene al suo interno una variabilità di atmosfere o di possibili letture che solo un'opera di un certo livello riesce a raggiungere compiutamente. Il nuovo disco dei Woods ha fatto da soundtrack alle tarde settimane della mia Estate, quando il folk rock di Cali in a cup illuminava le mattinate calde di una spensieratezza piacevolmente irresponsabile e la sua armonica odorava di anni '60 e coste del Pacifico dove non sono mai stato; ma poi è arrivato l'autunno, e poi l'inverno, e lì per me c'era la bella ballad It ain't easy, che dispensa una curiosa saggezza gattopardiana quando spiega che «Non è difficile dire che le cose non sono facili, mentre cerchi modi diversi per far sì che le cose rimangano le stesse». Parole sante.

 

MP3  Woods – Cali in a cup

MP3  Woods – It ain't easy

 
 
9
 
White Rabbits – Milk famous (TBD)

 

Non sapevo di esser così tanto fan degli Spoon finchè non sono arrivato a stilare questa top ten e ho scoperto che ci sono finiti ben due dischi che alla band di Britt Daniel sono legati a doppio filo. Se i Divine Fits, tre posizioni più avanti, vedono tra le proprio fila proprio il cantante della band newyorkese, i White Rabbits col terzo disco Milk Famous rilanciano forte e chiaro gli insegnamenti che il suddetto Daniel gli ha dato producendo il precedente It's frightening. Se lo vedi con malizia è quasi plagio, se invece te ne freghi sei portato a pensare quasi che gli allievi stiano arrivando a superare i maestri, con una costruzione delle canzoni attentissima e un talento per gli arrangiamenti incastrati e spezzati che non è da tutti. Il tocco c'è, la personalità arriverà (e speriamo che non rovini tutto). Per ora c'è un bel disco, e mi pare abbastanza.

 

MP3  White Rabbits – Heavy metal

MP3  White Rabbits – I'm not me

 

 
 
8
 
Pinback – Information retrieved (Temporary residence)

 

Vi ho detto già troppe volte quanto amo i Pinback e praticamente tutti i loro effetti collaterali che ormai in merito non so più cosa scrivere. Se non avete amato prima il loro indie matematico che deriva tanto dalle frequentazioni alternative che spesso hanno sfondato i confini del metal del chitarrista Rob Crow quanto al passato con gli indie heroes Three mile pilot (in cui milita anche Pall Jenkins dei Black Heart Procession) del bassista Zach Smith non comincerete ad amarlo con il disco che vede il loro ritorno sulle scene dopo 5 anni di pausa. Ma secondo me non sapete cosa vi perdete o non ci avete provato abbastanza, perchè ogni volta che spingo Play mi viene da pensare che di gruppi così unici in giro non se ne trovano quasi più.

 

MP3  Pinback – Sherman

MP3  Pinback – Proceed to memory

 

 
 
7
 
Hot Chip – In our heads (Domino)

 

L'avevo preso un po' sotto gamba, il quinto disco degli Hot Chip. Negli ultimi tempi Alexis Taylor e soci sembravano un po' appannati e fuori dal tempo, incapaci di mantenere quello che il loro capolavoro The Warning otto anni fa prometteva e sospesi in uno status di simpatici mestieranti del pastiche sonoro, capaci di scrivere pezzi killer ma incapaci di fare veramente un salto verso la serie A del pop elettronico.
Forse questo salto non l'hahno fatto e non lo farranno mai, ma probabilmente va bene così: il loro continuo provarci e il loro rimanere sempre un po' troppo sfigati è ormai parte del loro carattere e della loro musica. Il grande numero di suggestione e sfumature che riescono a regalare, unito a un indiscutibile talento per la melodia che molti gli invidiano, rimane a testimoniare che le carte ci sono tutte. La mano era buona ma alla fine forse la partita è persa: però ci siamo divertiti.

 

MP3  Hot Chip – Night and day

MP3  Hot Chip – Look at where we are

 

 
 
6
 
Divine Fits – A thing called divine fits (Merge)

 

La cosa chiamata Divine Fits è il supergruppo di Britt Daniel degli Spoon e Dan Boeckner degli Wolf Parade, e per uno strano miracolo riesce a essere un disco vero di una band vera che spesso finisce per essere milgiore della somma delle sue parti. Ti saresti aspettato un presuntuoso lavoretto di maniera da parte di musicisti stufi dei loro progetti principali, e invece ti ritrovi quello che probabilmente è il miglior disco indie-rock del 2012 (che, beninteso, non mi pare sia stato un anno esattamente memorabile per la cosa chiamata indie-rock). Un po' di chitarre, un po' di synth, due voci inconfondibili, linee di basso che spaccano e la sensazione che così tanto talento così ben utilizzato non lo si incontri tutti i giorni in giro. Una cosa chiamata gran disco.

 

MP3  Divine fits – Shivers

MPDivine fits – The Salton sea

 

 
 
5
 
Jens Lekman – I know what love isn't (Secretly Canadian)

 

Jens Lekman ormai è uno di famiglia. Non ha più niente da dimostrare eppure ogni volta ce lo dimostra, e disco dopo disco le sue storie si fanno più nitide e vere senza perdere un briciolo della dimensione naif che hanno sempre avuto. E' come se Lekman anno dopo anno non facesse che diventare sempre più se stesso, l'amico con cui vorresti bere una birra una volta a settimana solo per sentirlo ragionare sulla vita, l'amore e tutto il resto, oppure quello che ogni sei mesi si trasferisce in un continente diverso e che, anche se ti racconta ogni volta che ha finalmente trovato il posto per sè, sai bene che finirà per trovarsi sempre da capo.  La grandeur pop e la cameretta. Alcuni dei migliori testi che si possano trovare nel pop di questi tempi. Il tentativo di cambiare tutto per poi ritrovarsi sempre lo stesso.
Oh Jens, oh Jens, your songs seem to look through a different lens
.

 

MP3  Jens Lekman – I know what love isn't

MP3  Jens Lekman – Become someone else's

 

 
 
4
 
Chelsea Wolfe – Unknown rooms, a collection of acoustic songs (Sargent House)

 

Chelsea, con questo disco mi hai fulminato. Sei sicura che il sound gotico, rumoroso e marziale che normalmente fai («doom folk», l'hanno chiamato) sia veramente quello che fa per te? Perchè in questa raccolta di canzoni piccola piccola con un titolo che odora di opera minore, tiri fuori una classe inattesa e una penna di altissimo livello che nei tuoi dischi precedenti non si sentiva. Mi ricordi la PJ Harvey dolente di To bring you my love o di White chalk, la vedova disperata, l'amante abbandonata, la strega che vive nel deserto e vede presagi di sventura nei segni della natura. Con questi arrangiamenti classici che sembrano venire da un grammofono nell'altra stanza, hai trovato una dimensione sonora di una qualità che prima potevi solo sognarti e che ti mette al pari con i migliori nomi del cantautorato femminile di questi tempi. Me ne puoi fare altri, di dischi così?

 

MP3  Chelsea Wolfe – The way we used to

MP3  Chelsea Wolfe – Sunstorm

 

 
 
3
 
Chromatics – Kill for love (Italians do it better)

 

Qua non ho niente da aggiungere a quello che scrivevo a Giugno:
«I Chromatics li seguo da lontano da qualche anno, più o meno dai tempi di quel pezzone che era In the city, e sono da sempre il mio gruppo preferito della scuderia di quella etichetta col nome tutto sbagliato che si chiama Italians do it better. Sono un giro da un po' di anni e ultimamente hanno avuto anche un po' di visibilità per essere finiti nella soundtrack di Drive, ma è solo con l'ultimo disco che hanno trovato la quadra di un sound sfuggente che è contemporaneamente caldo e algido, maledetto e languido, metropolitano e desertico. La colonna sonora perfetta per un lungo viaggio notturno in macchina (il loro disco precedente si chiamava Night Drive), attraversando posti sconosciuti in cui non ti fermerai mai, con la mente che vaga verso il ricordo di qualche amore passato o di una storia senza speranza con una ragazza lontana. Elettronico e a volte quasi trip-hop, ma con abbondanti iniezioni si synth che profumano di certi anni '80 curiosamente eleganti, ma anche dello shoegaze meno rumoroso e di malinconico pop fumoso sempre un pochino fuori dal tempo, il sound dei Chromatics è nero e gravido di presagi, ed appartiene alla notte di chi è stanco ma non può e non vuole dormire, ed è crucciato da increspature di inquietudine che è sempre troppo definire dei tormenti.» [#]

 

MP3  Chromatics – The River

MP3  Chromatics – Into the black (Neil Young cover)

 

 
 
2
 
Colapesce – Un mearviglioso declino (42 Records)

 

Erano i primi gelidi mesi dell'anno, e ascoltavo Restiamo in casa in cuffia mentre tornavo a casa di notte camminando nelle vie del centro. Durante la Primavera La distruzione di un amore mi pareva una canzone all'incontrario con un titolo sagace tutto sbagliato. Ho aspettato l'Estate per poter mettere a ripetizione Oasi nell'autoradio nelle mattine in cui andavamo al mare. Cadevano le foglie e io passavo i miei weekend nei treni mentre Bogotà mi raccontava delle distanze nello spazio e nel tempo.
C'è tutto il mio anno nell'incredibile esordio di Colapesce, un disco quasi perfetto per un cantautore ispirato come non se ne sentono spesso nel nostro paese. Una scrittura incredibilmente matura, arrangiamenti pieni e curatissimi e una produzione eccezionale: un piccolo miracolo.

 

MP3  Colapesce – Restiamo in casa

MP3  Colapesce – Oasi

 
 
1
 
TV Girl – The Wild, the Innocent, the TV Shuffle (Greadhead presents / autoprodotto)

 

Scrivevo a Maggio:
»Per la loro prima fatica in full lenght, i Tv Girl da San Diego non usano il termine album, ma quello assai più insolito di «mixtape». Che c'entri il fatto che il disco fa un abbondante uso di campionamenti probabilmente illegali e che quindi non possa essere pubblicato ufficialmente (e infatti è in free download da qui) non appare poi così fondamentale. The Wild, The Innocent, The TV Shuffle è infatti una sequenza di pezzi pop abbastanza killer che frullano un gran numero di generi e ricordano contemporaneamente cose diversissime tra loro (Eels, The Go! Team e The Avalanches, ma io ci sento anche i Real Estate più orecchiabili e Casiotone for the painfully alone, o come dice Enzo il primo Jens Lekman), mischiando le carte esattamente come farebbe un buon nastrone. I miei pezzi preferiti sono il doo-wop due punto zero Misery, l'anthem un po' FM tardi '90 Loud and clear, che parte come una specie di Drinking In LA velocizzata cantata da Mr. E e alla fine diventa uno zapping radiofonico in battuta che ti venire voglia di ballare.»
Il mio disco dell'anno non è esattamente un disco, non è stato esattamente pubblicato, non appartiene a un genere preciso (neanche a due o a tre) e sono abbastanza sicuro che non comparirà nella classifica di fine anno di nessun altro. Come riassunto di questo 2012 completamente folle, quindi, è perfetto.

 

MP3  TV Girl – Misery

MP3  TV Girl – Loud and clear

 

giovedì, 13 12 2012

Heaven knows it’s gotta be this time

Ceremony dei New Order (anche se forse sarebbe più corretto dire dei Joy Division) è certamente una delle mie canzoni preferite di tutti i tempi, e non posso che essere lieto che ai tantissimi che l'hanno coverizzata recentemente si siano aggiunti i Chromatics, già autori di uno dei miei dischi dell'anno. La loro versione languida ed elegante rimane una spanna sotto l'inarrivabile versione disperata degli XIu Xiu, ma parliamo comunque di interpretazioni che colgono (in modo opposto) l'essenza dell'originale e la ripropongono esattamente come se fosse roba loro. Che non è da tutti.

 

| # | indie-gestione, suoni | I Commenti sono chiusi

martedì, 11 12 2012

All I want for Christmas is a Creep

Come sempre, a Dicembre, lo sport nazionale ed internazionale di blog e magazine è quello di indulgere nelle inevitabili cover dei classici natalizi che musicisti di ogni ordine e grado non ci fanno mancare ad ogni anno che passa. Nonostante il buon senso e il grado nullo di mood natalizio mi dicano il contrario, non mi tiro indietro e vista la buona compagnia (1, 2) rilancio con un'altra versione di uno dei pochi anthem moderni (oddio, moderni: sono passati 19 anni) del genere, incrociata in modo blasfemo con Creep dei Radiohead dalla giovane (e non esattamente originalissima) band inglese Peace. Per niente indispensabile; quindi perfetta.

 

 

MP3  Peace – All I want for Christmas is you / Creep (Mariah Carey / Radiohead cover mash-up)

lunedì, 03 12 2012

Il videoclip dell’anno (in cui i credits sono più lunghi del video stesso)

Gli Unstoppable Death Machines li ho intravisti una volta dal vivo, ma non ricordo molto, a parte che erano molto casinisti e molto divertenti. Grazie a Giavasan li ritrovo ora su Spin con il piccolo anthem Do the Devo, che oltre a essere una bella tirata garage-punk un po' in stile Death from above 1979 ha un video MERAVIGLIOSO e francamente incredibile. E con una gran bella storia:

"Nick filmed UDM performing the track in the main gallery space of Clocktower Gallery. He then made a cut and we printed out every frame. For Nick's residency at the Clocktower, we made a giant light box table and invited friends to trace over the video frames as a reference, and draw in any style and medium. We did that for a few weeks — hand drawing every frame, including backgrounds. Probably over 100 friends contributed. With Nick, we then photographed every frame with the help of Tod Seelie, so we could take the stills and animate the video. The result is the most beautifully chaotic animated music video possibly ever created. I had such a good time hanging out, drawing, and working with so many inspiring people. I was actually surprised as to how much it all gelled. So many different styles and ideas came together almost seamlessly." [#]

 

| # | indie-gestione, suoni | I Commenti sono chiusi

sabato, 01 12 2012

Bentornato Nick Cave

AVevo tanta, tanta paura quando ho cliccato Play sullo streaming di We no who U R, nuovo singolo di Nick Cave coi Bad Seeds che arriva 5 anni dopo il deludente Dig!! Lazaurs, DIg!!!  e 2 dopo quella schifezza del secondo disco dei Grinderman. Il titolo un po' gangsta faceva presagire un ulteriore passo sulla strada della triste crisi di mezza età che l'ha colpito negli ultimi anni, ed è stato un sollievo sentire che almeno stavolta non è così.

We no who U R è una ballad un po' ipnotica con suoni per nulla classici e un testo abbastanza incomprensibile; è una scelta bizzarra come singolo e non cambierà le nostre vite, però preferisco cento o mille cose del genere all'ennessimo pezzo cazzone e caciarone che non fa giustizia alla storia e al talento del cantautore australiano. Con la speranza che sia il primo indizio che la crisi creativa degli ultimi anni è ormai solo un ricordo.

 

giovedì, 22 11 2012

Sputerò sulle vostre tombe

La mia reazione al primo ascolto de Il giorno più lieto, pezzo che apre il Made in centocelle EP (Christmas Edition) degli Sputerò sulle vostre tombe, non è stato un sorriso sardonico per il nome della band (che cita Boris Vian) e dei suoi presunti membri nè per il titolo dell'EP, ma è stata: dove ho già sentito questa voce? Non è un po' troppo simile a quella del cantante di una certa band romana che recentemente ha avuto una certa visibilità? Non è che si tratta di un divertissment sotto mentite spoglie? Magari poi no, eh. Però ascoltate il pezzo e ditemi anche voi.

 

Peraltro il pezzo, anche se pare poco più di un demo, non è affatto male. E anche il resto dell'EP, a parte l'abuso di auto-tune, nasconde un certo tocco e un po' di buone idee. Chissà.

 

lunedì, 19 11 2012

Dumb ways to die, e la campagna di sensibilizzazione di tinge di indie-pop

Da quando esiste il concetto di «video virale» e da quando esistono i social network per veicolarlo, abbiamo avuto occasione di vedere in rete molti esempi fatti bene e ancor di più fatti male. I casi fallimentari ce li scordiamo quasi subito (ed è esattamente il motivo per cui sono tali), quelli buoni, che promuovano una marca di ketchup, un'automobile o un anticalcare, invece fanno sorridere anche solo a nominarli.

 

Quando si scende nel terreno della promozione non di un prodotto ma di un concetto o di un valore sociale, i casi positivi sono ancora più rari (a me vengono in mente quasi solo gli eccezionali video con le istruzioni di sicurezza della Air New Zealand); c'è però un esempio piccolo piccolo che nella settimana appena finita ha avuto molta visibilità in una certa parte di web. Dumb ways to die è la campagna di sensibilizzazione per promuovere una maggiore sicurezza nell'uso dei treni da parte della Metro Australia. Il messaggio però non viene passato in modo banale e didascalico, ma  indiretto e assai ironico, attraverso una canzone indie-pop (provvista di video super-cute) che elenca in foma di filastrocca i modi più stupidi in cui si può morire, scritta all'uopo dall'ignota band australiana Tangerine Kitty. In 5 giorni il video ha avuto più di 4 milioni di visualizzazioni e la canzone più di 17mila ascolti e 13mila download, e se non è un successo questo non so bene cosa lo è. 

 

A riprova della completezza dell'operazione, c'è anche il tumblr con le GIF animate tratte dal video, per dire. Chapeau.

 

 

| # | indie-gestione, minimarketing, suoni | I Commenti sono chiusi

giovedì, 15 11 2012

Gli Offlaga non portano sfiga

E quando diventi un riferimento nelle canzoni degli altri, vuol dire che un segno l'hai veramente lasciato. Con l'indimenticabile verso «Volevi il tormentone come Lady Gaga, ti ho portato un Toblerone come gli Offlaga» all'interno di Ti porto sfiga, gli a me ignoti (ma è giusto) nu-metallari italiani Nemesi namedroppano gli Offlaga Disco Pax con una leggerezza al contempo naturalissima e sconcertante. Forse ci hanno davvero preso tutto, ma anche noi qualcosa ce lo siamo preso, dai.

[gli Offlaga suonano stasera a Bologna alle Scuderie Bentivoglio di Piazza Verdi. Ci vediamo là]

 

| # | indie-gestione, suoni | I Commenti sono chiusi

lunedì, 29 10 2012

Close-up on Suzanne Vega

Su queste pagine ho già scritto molte volte di Suzanne Vega, e ogni volta dico con parole diverse più o meno le stesse cose. Ad esempio, un paio d'anni fa, parlando di Close-up, Vol. 1 – Love songs, scrivevo:

Se non è da sempre, sicuramente è da molti anni che Suzanne Vega è fuori dai giri cool (provate a cercarla su Pitchfork: zero risultati). Una carriera lunga e lentissima (7 album in 25 anni), intermezzata da anni di silenzio e da una vita placida lontana da ogni tentazione di jet set  (anche di quello indipendente). Nel 2010 è tornata in studio, non per incidere materiale nuovo ma per dare nuova veste e nuova vita a molte delle canzoni pubblicate negli anni, spesso non valorizzate da arrangiamenti inutilmente barocchi e produzioni pallide figlie dei loro tempi. Qua c'è la voce, la chitarra e il minimo indispensabile di strumenti per dare personalità al sound: il resto è la canzone, nuda, con melodie bellissime e testi inarrivabili. Un disco nuovo. [#]

 

MP3  Suzanne Vega – Some journey

MP3  Suzanne Vega – Headshots

 

Nel mentre la serie Close-up è arrivata al quarto e ultimo volume Close-up, Vol 4 – Songs of family, che è quello che contiene meno canzoni famose dei quattro, ma forse alcune delle più belle. La raccolta si apre con Rosemary, che, benchè non stia su nessun album, è la mia canzone preferita della folksinger newyorkese (8 anni fa vi ho spiegato il perchè) e continua con parecchi dei brani migliori della sua produzione più recente.
Brani che certamente non mancheranno nelle date sel suo tour italiano, che parte stasera da Bologna e continua fino a venerdì passando anche per Salerno, Caserta e Roma. Sinceramente ho perso il conto di quante volte l'ho vista dal vivo (una quindicina, a occhio), e ovviamente anche a questo giro non posso evitarlo (ma ho preferito la data di Roma di venerdì alle due esose date bolognesi di oggi e domani). Che l'abbiate già vista dal vivo o che non la conosciate, fossi in voi non me la perderei.

 

MP3  Suzanne Vega – Rosemary (Close-up version)

lunedì, 15 10 2012

I bei vecchi tempi (più importanti) dell’indietronica che forse non torneranno più

La prima volta che ho sentito il nuovo singolo degli Amari, Il tempo più importante, non sapevo bene cosa pensare. Gli Amari che abbiamo sempre amato sono sempre lì da qualche parte, col loro talento nel riuscire a parlare sempre di noi (da Part(y)-time jobs, a Campo minato a Manager nella nebbia, se le metti tutte in fila erano sempre la canzone giusta al momento giusto, e questa non fa eccezione), la produzione sempre curatissima e la classe indiscutibile. Il vestito però stavolta è più classico che mai, quasi sanremese (facile pensare che c'entri qualcosa il fatto che da un po' Dario 'Dariella' Moroldo è anche autore di pezzi per gli artisti della Sony), e per i fan della prima ora è facile rimanere spiazzati. Dopo qualche ascolto, però, il verdetto non può che essere positivo: Il tempo più importante è un gran pezzo, e se gli darà finalmente un po' della visibilità che meritano e gli farà conquistare un po' degli ascoltatori di Lattemiele, sarà una buona cosa.

 

Certo, il loro sound delle origini, soprattutto quello del periodo più indietronico, un po' ci manca. E forse è quello che ha pensato anche il buon Maxcar, che è tornato sul suo Batteria ricaricabile per postare un mash-up indicativamente intitolato Il Tempo + Importante (Non Escludo Il Ritorno Andropausa Mashup), che mischia gli Amari col DJ e produttore inglese Boddika (che non ha neanche uno straccio di pagina wikipedia per far finta di sapere chi sia; a occhio è o era del giro dubstep, visto che ha firmato un po' di singoli con Joy Orbison) ottenendo quella che potrebbe quasi essere una outtake dei Notwist epoca Neon Golden.
Anche se i bei vecchi tempi del glitch-pop forse non torneranno più, i vecchi fan sono accontentati. E ora spazio a quelli nuovi: l'anno prossimo vogliamo vedere la nostra band friulana preferita sul palco dell'Ariston.

 

mercoledì, 10 10 2012

La faccia di Morrissey quando gli dicono che in studio sta per entrare Johnny Marr

E' un vero spettacolo vedere per una volta uno dei musicisti più leggendari e stronzi (e leggendariamente stronzi) della storia della musica  veramente terrorizzato. Ci è riuscito Stephen Colbert, che ieri sera ha messo Morrissey sulla graticola per 5 minuti di esilarante botta e risposta in cui si potevano letteralmente contare le gocce di sudore sulla fronte del Moz. La regina, la reunion degli Smiths, il suo vegetarianesimo: questo e altro per 5 lungjissimi minuti di puro disagio. Vogliamo tutti bene a zio ciuffo, ma è difficile non godere un po' a vederlo per una volta soffrire un po'.

(via)

 

 

lunedì, 08 10 2012

L’indie è morto e neanche io mi sento troppo bene

In questo blog, a differenza di quanto avveniva prima, da un paio d'anni a questa parte si parla piuttosto raramente di musica.

 

(Non perdo occasione per ricordarvelo, lo so. Ma visto che ben 1295 persone hanno votato inkiostro.com come miglior sito musicale ai Macchianera Internet Awards, facendolo finire davanti ad alcuni blog che rientrano davvero nella categoria e che meritavano assai di più quei voti, forse è il caso di continuare a ripeterlo)

 

Quando mi chiedono il perchè, faccio sempre un po' fatica a spiegarlo. Ho molto meno tempo libero di una volta, è vero, e quello che ho preferisco spenderlo divesarmente dallo scandagliare il web in cerca di dischi belli e spiegare qui per quale motivo meritano di essere ascoltati. Ha a che fare con me e con una crescente sensazione che le cose meritevoli di attenzione là fuori siano sempre di meno, e che la mostruosa quantità di roba che viene prodotta e diffusa ogni giorno abbia ormai portato un certo tipo di approccio musicale esplorativo al suo punto di non ritorno. Ma quella, forse, è una questione personale (anche se meno personale di quanto sono portato a credere, a occhio). Ha a che fare però anche con la rete, i blog e il loro ruolo nel parlare di musica, ruolo che ha molto meno senso ora di quanto ne avesse anni fa.

 

Come è già successo altre volte, le parole per spiegare questa condizione le ha trovate Hipster Runoff, nel suo recente post How Indie finally officially died: the broken indie machine. Al di là del solito cinismo cosmico, dei commenti tranchant ad alzo zero e dell'ironia parodistica meta-tutto che caratterizza sempre i suoi post, Carles esprime molte delle cose che mi ronzano per la testa da un po' di tempo a questa parte. Il post è lunghissimo e pieno di fuffa, ma al suo interno contiene non pochi sprazzi di verità; se avete tempo e siete un po' stanchi, vi consiglio di leggerlo.

As for ‘blogs,’ there isn’t really any incentive to ‘curate’ a legitimately authentic flow of content any more. Once again, not a new point, but just another part of the broken indie machine. Due to the symbiotic relationship between the media and the artists, we can never have buzz the way it once was. It’s just the same old song & dance over and over again. s00oo0oo0o bored. […]

 

When I first started this blog, I used to be excited to contribute to an ongoing discussion about art, artists, music, 'the internet indie scene', and any sort of forward progress when it came to ‘the little genre that could.’ Sure, ‘indie’ as we once loved it has been dead for a while, but I can’t help but wonder if things are going to change, who is interested in bringing about change, and if there is anything to culturally look forward to any more. I used to feel like I was sharing a real part of myself when it came to the excitement and curation of independent artists, but now I am basically just bored, resentful, bored, and disconnected. [#]

Quanto a me, credo che ancora per un po' giocherò a questo gioco, con le nuove regole che non mi sono mai realmente dato ma che mi richiedono poco continuando però ancora a darmi qualcosa. Poi, a un certo punto, mi stuferò, e andrà bene così.