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martedì, 18/11/2008

Matte’s CMJ Marathon report / 2

di

Seconda parte del resoconto sulla CMJ Marathon svoltasi tra il 22 e il 26 ottobre scorso a New York (qui la prima parte).

 

 

Venerdì

Parto in quarta perdendomi, bestemmiando un bel po’, il set dei danesi Kirsten Ketsjer. A detta di quelli che li hanno visti, si e’ trattato di una delle migliori sorprese di questa CMJ (anche se sono in giro da un po’ di tempo). Consigliati per gli appassionati dell’indie dei primi anni ’90 e chi ama bands eclettiche e vagamente sperimentali. La giornata per me inizia al Cake Shop dove, tra gli altri, vedo i concerti di Women (che un po’ mi annoiano ma poi rivedo, apprezzando, sabato v. piu’ in la’) e Phosphorescent. Phosphorescent e’ il progetto del brooklynite Matthew Huock; alle spalle ci sono gia’ una manciata di albums ed EPs. Il set del Cake Shop e’ suggestivo. Accompagnato da una band, il lo-fi cantautorale e vagamente folkie di Huock suona solido ed emotivo. Alcune canzoni al secondo ascolto iniziano a prendermi. Il pubblico sembra aprezzare parecchio. Lasciato il Cake Shop mi dirigo al Fort Fader per il party di Fader e Levi’s. Scena completamente diversa qui. Evento molto pompato, tanti faccioni newyorkesi, ma anche un ottimo open bar e una scenografia azzeccata. Arrivo che suonano gli australiani Seabellies, di cui non sapevo una cippa e che, nonostante un suono un po’ derivativo (Arcade Fire in testa), hanno dei pezzi carucci. Alle mie amiche piace il cantante, mentre a me e i miei amici la cantante… tutti accontentati insomma. La gita al Fort Fader era stata fatta, oltre che per sentirci tutti un po’ piu’ stilosi, per gli/le School of Seven Bells (ex chitarrista dei Secret Machines e due sorelle di Brooklyn alla voce e tastiere/laptops) tra le bands piu’ hyped della manifestazione. Il live non mi ha convinto molto, purtroppo (il cantato in particolare non mi e’ parso impeccabile). Col tempo pero’ sono certo sapranno migliorsi: le canzoni sono belle e loro hanno tutte le carte per affermarsi.

 

Kirsten Ketsjer – Ernie and the Sandstorm (MP3)

Phosphorescent – A Picture of Our Torn Up Praise (MP3)

School of Seven Bells – Connjur (MP3)

 

La serata si chiude col live di Jay Reatard alla Bowery Ballroom. Reatard e’ un giovane garage/punkrocker che viene attualmente portato sul palmo della mano da quei cinque blog e siti che contano nella scena indie nordamericana. Parecchio prolifico (scrive una canzone al giorno e ne registra due o tre alla settimana…), si e’ fatto notare per avere fatto uscire un’infinita’ di 45 giri (ora raccolti in due collezioni uscite nei mesi scorsi, personalmente preferisco quella che copre le annate 06/07) e un buon album di esordio. Dal vivo il nostro propone sets tiratissimi, senza piu’ o meno interrompersi mai tra un pezzo e l’altro. Rispetto ai pezzi incisi su disco, dal vivo le canzoni sono molto piu’ veloci e pesanti. Suoni ipersaturi e molta molta rabbia. Peccato che anche questa volta abbia indugiato nel vezzo non troppo galante (e punk) di prendere a calci e pugni chi cerca di salire sul palco… (anche se poi tira su dal pubblico un mega nerd cui fa fare l’assolo di chitarra nell’ultimo pezzo). Dei gruppi di apertura – gli inutili Longwave e gli insopportabili White Lies – non ho molta voglia di parlare (temo che purtoppo nei mesi a seguire dovremo imparare a sorbirci i secondi, col loro stucchevolissimo e posticcio revival Joy Division/primi U2/Echo & The Bunnymen, al cui confronto gli Editors sembrano degli innovatori alla John Zorn).

 

 

Sabato

Mi sveglio e non posso che constatare di essere completamente sfatto. Vorrei poter starmene a letto a poltrire fino alle 5 del pomeriggio e invece… Invece c’e’ il terzo showcase di BrooklynVegan, questa volta alla Knitting Factory. Meta’ degli artisti sono stati selezionati dal mio amico Fred aka Blackbubblegum, l’esperto di metal (ma non solo) di BV. Per cui non ci sono scuse e faccio il piacere di portare le mie chiappe alla Knit. La venue ha tre palchi dislocati su tre piani. Cosi’, per un buon sette ore abbondanti faccio su e giu’ con l’inerzia del maratoneta nei suoi ultimi chilometri (il nome dell’evento non e’ in effetti casuale). Non ricordo in che ordine ma vedo una marea di bands a me semisconosciute, tra cui gli ottimi Delta Spirit (californiani a meta’ tra americana e northern soul, molto coinvolgenti: sono circa le tre del pomeriggio e tutti quanti ballano come fossero le tre di notte), i noiosetti Shout Out Out Out (fanno dancetronica, non dimentichero’ mai che il momento piu’ bello sono stati i Daft Punk nel PA mentre veniva montato il palco, peraltro cargo di strumentazione fighettosissima), i rumororissimi e violenti Trap Them (non la tipica band di cui si parla da ‘ste parti, per cui non mi dilungo se non per dire che sono stati perfetti dal vivo), gli un po’ inutili Made Out of Babies (riot grrrl meets three metal dudes, together they form a band and come up with some tasteless Alice in Chains stuff and some of the worst LP artwork I have ever experienced) e gli acidi e assai interessanti Lemonade da San Francisco.

 

Delta Spirit – Trashcan (HYPEM link)

Lemonade – Sunchips (RCRD LBL link)

 

Tra i nomi meno semisconosciuti (ripeto, a me), la giornata offre altre cose interessanti, a partire da Marnie Stern, il cui ultimo disco ha fatto parlar gran bene. Trovo lei e la sua voce sempre in bilico tra la follia pura e il genio. Non sono ancora sicuro se davvero serva tutto quel virtuosismo che alle volte trovo persino fastidioso e anche un po’ cheap: cresciuto, ahime’, con Vai e Satriani in una fase breve ma importante della mia vita, il suo guitar tapping non mi impressiona piu’ di tanto. Buffo come il suo segno distintivo sia la cosa che trovo meno interessante. Comunque lei e’ molto simpatica e carina dal vivo e il concerto viene molto gradito dal pubblico (e dallo stesso BrooklynVegan che si agita parecchio accanto alla console). Tra le grandi attrazioni della giornata ci sono i da poco riuniti Rival Schools, il piu’ recente progetto della leggenda hardcore Walter Schreifels (in giro da quando aveva circa 14 anni e con passato glorioso nelle fila di Youth of Today, Gorilla Biscuits e Quicksand). I Rival Schools, in cui militano anche ex componenti degli Iceburn, fanno un indie/emo radicato in tipiche sonorita’ 90s. Visto che sono stati tra i primi a proporre la miscela (si sono orignariamente formati nel ’99), non li puo’ tacciare di scarsa originalita’. Cio’ detto, nonostante lo show sia molto piacevole, non riesco a scrollarmi dalla testa l’idea che i Rival Schools siano piu’ che altro un’all star band del passato. A breve ci sara’ un nuovo disco e saro’ felice se le mie riserve saranno smentite. Finiti i Rival Schools mi imbatto ancora nei Women, visti anche il giorno prima al Cake Shop. Non so se sono io o sono loro, ma mentre la prima performance mi dice poco niente, la seconda mi rapisce. Psichedelici, retro, sperimentali, mi catapultano in atmosfere fuori dal tempo come solo i primi Clinic. Una delle piu’ belle sorprese della CMJ. Prendo e consumo il disco di esordio. Non vedo l’ora di ribeccarli al prossimo passaggio. Poco dopo e’ la volta dei Mae Shi, che vedo per la prima volta dal vivo. Come da attese, sono molto molto meglio che su disco. Parecchia improvvisazione e situazionismo. Sembra a tratti di essere a teatro. Grande interazione con gli spettatori. Nel mentre tra il pubblico iniziano ad aggirarsi Rude Bear (no, non e’ uno degli Animal Collective: e’ un tizio che va a concerti vestito da orso e baccaglia le tipe al bar, un nuovo role model insomma) e Mike D dei Beastie Boys (e io per poco non collasso dall’emozione). Dopo i Mae Shi e’ la volta dei Lightspeed Champion in versione rimaneggiata (e senza piatti della batteria per la prima meta’ del concerto). Il loro leader Dev e’ oramai newyorkese d’adozione da qualche tempo e col suo berretto di lana dei Knicks e’ facilmente riconoscibile nei bars. Il suo ingaggio allo showcase e’ avvenuto davanti ai miei occhi il giorno prima, a meta’ pomeriggio in mezzo alla strada in Ludlow Street: il buddy Fred/Blackbugglegum lo vede e gli chiede se vuole suonare, lui caccia un urlo che fa girare tutti i pedoni quando viene a sapere che ci sarebbero stati i Rival Schools, e poi dice: "Ha! BrooklynVegan e’ l’unico sito che parla bene di me: fammi fare due telefonate ma penso proprio di si’". Lo show e’ improvvisato all’ultimo momento e fatto principalmente di covers, piu’ o meno a richiesta, tra cui pezzi delle Heart, dei Pixies (Alec Eiffel, secondo momento Trompe Le Monde di questa CMJ) e Nirvana (School, peraltro eseguita in maniera superba). Sempre un live divertente il suo.

 

Marnie Stern – Every Single Line (MP3)

Women – Black Rice (MP3)

Women – Group Transport Hall (MP3)

 

Questo e’ quanto ho visto e sentito in quei cinque giorni. Uno sputo rispetto a quello che c’era in giro ma, privo del dono dell’obiquita’, era ovvio dover saltare una marea di artisti che pur avrei visto piu’ che volentieri, tipo Crystal Stilts, Fucked Up, Gang Gang Dance, Crystal Castles, Lykke Li, Deerhof, Fujiya & Miyagi, Roisin Murphy, Dungen, etc. Oh, siete tutti liberi di prendermi a male parole per le scelte da me fatte, il piu’ delle volte, lo ammetto, avvenute under the influence. Next big thing? Mah, non saprei proprio. Probabile qualcuno a caso tra Reatard, Crystal Stilts, Friendly Fires e/o forse Phosphorescent (e i White Lies pure, ma sono posseduti dallo schifo). A parte che la ricerca non e’ che mi ecciti piu’ di tanto — salvo poi spaccare la testa al prossimo quando incappo in una. Quindi preparatevi che torno a tirarmela peggio di James Murphy non appena uno dei gruppi segnalati sopra mi prende un 4 su 5 sul Rolling Stone o un 7.2 su Pitchfork o finisce in alto nelle vostre classifiche lastfm o di fine anno. A proposito, l’anno volge al termine: bloggers, ci state dando con la classifichina?

 

giovedì, 30/10/2008

Matte’s CMJ Marathon report / 1

di

Tempo fa, Ink mi invito’ a collaborare sul blog che state leggendo. Dopo circa tre mesi persi a scegliere un nickname su splinder e altri quattro a trovare qualcosa da dire, ecco finalmente il pretesto: la CMJ Music Marathon che si e’ svolta a NY la settimana scorsa.
Nata nel 1980, la CMJ e’ una rassegna in cui oltre un migliaio di artisti piu’ o meno emergenti presentano il proprio materiale a un’itinerante massa di fan, musicofili, giornalisti, bloggers, poseurs e presenzialisti vari, che per cinque giorni zompettano da un posto all’altro di Lower Manhattan e Brooklyn (clubs, bars, cafes, negozi, open spaces, case, cantine, giardini e parchi) alla ricerca disperata della next big thing. Quello che segue e’ un resoconto dei miei cinque giorni di poco sonno, molto alcol e tanta musica.

 

 

 

Martedì

Parto col primo dei tre showcases di BrooklynVegan alla Music Hall of Williamsburg dove vedo The Sammies, Shearwater, Ponytail e Passion Pit. I Sammies dal vivo sono piacevoli, anche perche’ a tratti paiono una tribute band dei Replacements, ma a risentirle le canzoni scivolano via un po’ anonime. Gli Shearwater, altra faccia degli Okkervil River, mi sono piaciuti parecchio, molto di piu’ che su disco, dove non mi pare riescano a catturare alla perfezione l’intensita’ del cantato di Jonathan Meiburg e la ricchezza dei suoni (avro’ visto almeno dodici strumenti diversi, ad alcuni dei quali non sono nemmeno in grado di dare un nome). Incuriosito dal disco e dal chiacchericcio di tutti quanti, i Ponytail mi sono parsi buoni nel complesso, a tratti pure ottimi (mutuando da Morrissey, ma in un’ottica del bicchiere mezzo pieno, some songs are better than others). Quanto a presenza scenica, mentre alcuni hanno trovato gli art-rockers di Baltimore efficaci, a me sono invece sembrati un po’ fiacchi. Infine, i prossimi-ospiti-fissi-di-Gossip-Girl Passion Pit come da attese fanno scatenare le ragazze, il che e’ sempre una cosa che come minimo mette di buon umore. Non so se e’ un azzardo parlare di incrocio tra Cold War Kids e Hot Chip, ma questa e’ l’impressione che ne ho avuto. Il falsetto del cantante era molto fastidioso comunque. Peccato non essere potuto restare fino alla fine, che mi sarei visto pure Jens Lekman, in versione singing dj.

 

(Shearwater)

 

 

Mercoledì

Si parte alla Lit Lounge con gli italiani Tiger! Shit! Tiger! Tiger! (lo so, il nome e’ un capolavoro, al tempo stesso il migliore e il peggiore della rassegna…). Anche per loro vale la massima morriseyana di cui sopra. Alcuni pezzi interessanti, anche se un po’ di tempo in piu’ in sala prove non avrebbe guastato. Ricordano un po’ i Rapture pre-Murphy therapy, ruvidi e spigolosi. Certo, fossimo nel 2000-2001 sarebbero una delle cose piu’ interessanti in giro. Lasciati i connazionali, mi reco al 205 a vedere il duo indie-pop australiano An Horse. Il lui e la lei suonano bene, sono carucci e potenzialmente potrebbero divenire i nuovi beniamini di quelli con appetito fashionista. Alla quarta canzone inizio un po’ ad annoiarmi e a guardarmi in giro pero’.

 

(An Horse)

 

 

An Horse – Postcards (HYPEM link)

 

 

Fortuna che al Cake Shop mi aspetta lo showcase dell’etichetta olandese Subbacultcha! (primo dei momenti Trompe Le Monde di questa CMJ, v. sabato). Arrivo e faccio in tempo a beccarmi gli ultimi due tiratissimi pezzi dei tetri e sperimentali Bonne Aparte. Buoni a tal punto che mi prendo pure il disco (che ora ascolto solo quando fuori c’e’ il sole e sono di buon umore, che senno’ nella migliore delle ipotesi o mi spavento o mi deprimo). Di seguito assisto a una delle performances migliori della settimana, quella del duo chitarra-batteria The Moi Non Plus. Molto bravi e spettacolari: vedere un batterista spaccare un ride da quanto pesta e’ sempre cosa che rida’ fiducia nel genere umano. TMNP sono leggermente piu’ accessibili dei Bonne Aparte con tante influenze che pescano dritto tra i miei artisti preferiti: Fugazi, Cop Shoot Cop, Sonic Youth di Sister (e tutti i loro derivati, vedi Ikara Colt…), tra i vari. Preso anche il loro di cd (ho fugato ogni dubbio quando ho sentito che una canzone, peraltro molto bella, si intitola Jil Sander Makes Your Eyes Black). Dopodiche’, complice l’open bar, inizio a essere un poco sbronzo e a dare appuntamenti nell’asse Orchard/Ludlow a circa tutta la mia rubrica di contatti. Nell’affannoso tentativo di incrociare amici, faccio un paio di blitz all’Annex dove, come ogni mercoledi’, c’e’ la solita sfilza di gruppi targati NME-rde. Posto strapieno (di giovanissimi soprattutto), intravisti i tanto celebrati astri nascenti d’oltre manica Friendly Fires (catchy, certo, ma sondati troppo di sfuggita e troppo poco sobrio per poter esprimere un giudizio, il disco e’ la tipica cosa che, conoscendomi, amero’ i primi quindici giorni e poi odiero’, assieme ai relativi fans, per il resto della mia vita – Killers/MGMT anyone?). Visto qualche altro gruppo che faceva del goffo brit-pop. Dopo essermi finalmente beccato con alcuni amici, si finisce la serata a far caciara al dive bar Motorcity con un bel sottofondo 60s/garage/punk.

 

 

(The Moi Non Plus)

 

 

The Moi Non Plus – I Lie (MP3)

 

 

 

Giovedì

Nel pomeriggio c’e’ il secondo showcase di BrooklynVegan, da Pianos qesta volta. Il primo gruppo che vedo sono i Crystal Antlers da Long Beach, Ca., autori di un’eccellente EP di esordio in cui mischiano psichedelia, post-hardcore, 70s rock, noise, etc, etc. Gia’ visti qualche mese prima, ne rimango ancora una volta impressionato. Dal vivo questi sono una bomba. Il bassista/cantante Jonny Bell (la cui voce a tratti mi ricorda pure Mike Patton) si dimena cosi’ tanto che temo sempre faccia finire un qualche bandmate all’ospedale per via di una palettata del fighissimo e vintagissimo Precision Bass. Il batterista e’ bravo e molto scenografico. Certo, nessuno riesce ad emulare la coolness del percussionista afroamericano Damian Edwards, che pare uscito da una scena di Serpico: il suo segno distintivo e’ suonare con la t-shirt arrotolata sul torace, giusto per mettere in evidenza una prodigiosa pancia da birra (vedere per credere).

 

(Crystal Antlers)

 

 

Poi mi tocca assistere a una pallosissima performance di Sebastien Grainger & The Mountains. L’ex Death From Above 1979 si cimenta senza troppo profitto in un classic rock abbastanza insipido, dove l’unica canzone degna di nota plagia Common People. Stufatomi dopo poche canzoni, decido di andare al piano di sopra dove vedo i bei live sets di Wye Oak e Phosphorescent. I primi sono un duo della (oramai imperante) scena di Baltimore, con disco uscito la scorsa primavera per Merge (e una data l’11 novembre alla Casa 139 di Milano in supporto ai Dr. Dog). Cantano sia lei (chitarra) sia lui (batteria). Il timbro di lei e’ molto bello, ricorda un po’ S. Vega e un po’ C. Love. Il live crea un’atmosfera pre-serale fantastica. Le canzoni riescono miracolosamente a conciliare chitarre anche spigolose e rumorose (sembra a tratti di sentire la PJ Harvey di Dry) con un cantato parecchio dreamy e soave. Da tenere a bada. Di Phosphorescent, che tutti spacciano per il nuovo Bon Iver e che fa un set interamente acustico, ne parlero’ poi (venerdi’ suonera’ con tutta la band).
Dopo una veloce sosta a casa per un boccone al volo e una mini scorta di redbull, me ne vado alla Music Hall of Williamsburg a vedermi i concerti di Jay Reatard (visto anche venerdi’, ne parlero’ poi), The Dutchess & The Duke, King Khan and the BBQ Show e Mission of Burma (un sincero plauso a chi ha messo insieme la bill). Di Seattle, The Dutchess and the Duke sono un lui e una lei che cantano e suonano la chitarra acustica accompagnati da un tizio alle percussioni che sembra abbia addosso the cheapest John Lennon Halloween costume ever… or Liam Gallagher, can’t decide (v. qui). Visti per la seconda volta dopo che fecero spalla per il Fleet Foxes a luglio. Anche qui confermo il giudizio positivo. Sara’ per una mia malsana passione per ogni tipo di tributo alla British Invasion, ma trovo il loro songwriting ottimo.

 

 

The Dutchess & The Duke – Reservoir Park (MP3)

 

 

E che dire di King Khan? Presentatosi come al solito con un costume improponibile (abitino d’oro cortissimo, gambe nude, pezzo sotto di un bikini e parrucca alla Stevie Wonder), il re del revival garage/soul fa ancora una volta divertire tutti. Certo, gli Shrines, la sua altra band, sono tutta un’altra roba, anche se il combo ridotto del BBQ Show gli permette molta piu’ improvvisazione e di fare, se possibile, ancora di piu’ il cazzone. Dopo pochi secondi tutta la sala si dimena a ballare rapita dalle diavolerie di uno dei migliori frontmen in circolazione. Se capita dalle vostre parti andatelo a vedere anche senza conoscere una mezza canzone. Chiudono i leggendari Mission of Burma. Che concerto, mamma mia: mi aspettavo sapessero suonare parecchio bene, ma non cosi’ bene! Tiratissimo, adrenalina a gogo e loro che non sbagliano nemmeno un accento. Due serie di bis da tre pezzi, pescati tra i pezzi storici del repertorio. Peccato suonino cosi’ tardi, ma per fortuna che l’open bar di Beck’s tiene il morale di tutti parecchio su di giri. Torno a casa alle due e mezza che sono uno straccio, come faro’ domani?

 

(Mission of Burma)

 

 

 

(Continua)