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martedì, 30/03/2010

Se può servire a capirci qualcosa

di

Ho “intervistato” la segretaria dello studio milanese ove lavoro. Ho posto le domande nel modo più neutro possibile.

Tu e tuo marito siete andati a votare?

«No.»

Perché?

«La gente si è stufata.»

Pensi che i politici siano tutti uguali?

«Sì. Comunque meglio che sia andata come è andata. Se andava su la sinistra eravamo rovinati. Anche così siamo rovinati eh, ma con la sinistra sarebbe stato peggio.»

Per chi pensi che sia peggio?

«Per noi [si indica, n.d.r.]. Per i lavoratori.»

Solitamente si pensa che la sinistra sia la parte che tutela maggiormente i lavoratori. In che senso quindi peggio per i lavoratori?

«Guarda che è stata la sinistra a fare entrare tutti quegli immigrati. Guarda la FIAT. Tutte quelle persone senza lavoro.»

Quindi dici che il problema dei lavoratori sono gli immigrati.

«Eh, Sì.»

Per Pasqua torni a trovare i parenti in Calabria?

«Sì»

Mi mandi questo fax per favore?

giovedì, 25/03/2010

Il trucco per apprezzare ancora Lost…

di

…lo aveva capito da tempo Eko: fumarsi dei super cannoni di charas.

venerdì, 05/03/2010

Re: quello che non si finisce a pensare pur di distrarsi dal fatto che viviamo in un Paese di merda

di

Se domandi in giro cosa significhi “Re:” nell’oggetto delle email, molti diranno: “reference” o “regarding”. Questa risposta è sbagliata e non ha senso perché ad indicare la “reference” del messaggio ci pensa già…..il campo “oggetto” medesimo. È lì apposta.

La risposta giusta è: “reply”, cioè “in risposta a”. Come del resto quando inoltri, in inglese “to forward”, un’email, nel campo assegnato all’oggetto viene automaticamente generata -prima non c’era!- l’abbreviazione “Fw:” o “Fwd:”.

Se invece inserita in una lettera (c’è chi ne scrive ancora), l’abbreviazione in questione allora sì che significa “reference”, cioè oggetto o argomento della fottuta comunicazione.

Certo, quelli dei client e delle webmail potevano anche immaginarsi che con quelle due regali lettere avrebbero ingenerato una certa confusione negli utenti, come se non fossero già abbastanza confusi su tutto il resto per conto loro. D'altra parte però, nei loro panni, come cazzo l'avreste abbreviata voi?

martedì, 26/01/2010

Fever Gaga

di

La migliore analisi di Lady Gaga l’ha fatta Fever Ray col suo "discorso" di accettazione di un premio svedese.

 

sabato, 20/06/2009

Blood & Sebastian

di
vlcsnap-6296157Sookie was a kid, she liked to hangout in the graveyard

lunedì, 15/06/2009

Altro che crisi di mezza età.

di

"Sai se la metropolitana andrà ancora quando il concerto sarà finito? Devo andare in stazione a prendere il treno…" La domanda me la pone un giovane fan piemontese dei Limp Bizkit il quale, finito il set dei suoi beniamini, è rimasto solo e si è avvicinato a me in cerca di risposte, “forse perché ho l’aria di persona affidabile in mezzo a questo inferno”, penso. Anche io sono solo e al momento siedo impaziente sui gradini vicino a una delle entrate a monitorare il riempimento del parterre e a prendere un po’ d’aria prima dell’immersione. Dentro, ci sono almeno 15 gradi in più dei 30 che ci sono fuori, all’aperto. Non si vede altro che una distesa di torsi nudi, tatuaggi e bermuda a tre quarti. Io sono vestito come per un concerto dei Fleet Foxes a Hipsterlandia. Sono addiritttura elegante. Qua dentro insomma sono una fighetta.

Mi trovo al Palasharp (che per me sarà sempre "Palatrussardi", con quel suo retrogusto socialista) per Rock in Idro e, a differenza di tutte queste persone provate da una pesante abbuffata di birra e decibel sin dal primissimo pomeriggio, sono appena arrivato per assistere all’unico set che mi interessa, l’ultimo. Per essere qui ho pagato 50 euro. "…e poi ne varrà la pena? Non li ho mai visti e conosco solo tre canzoni…". Al mio nuovo e temporaneo amico propino un’accorata perorazione che spero gli faccia comprendere che perdere l’ultimo metrò è un rischio che vale la pena correre, eccome, per assistere allo spettacolo che sta per andare in scena.

Questa band ha finito per significare così tanto per me, per convogliare e sintetizzare così tanti significati appartenenti alla mia più piena e torbida adolescenza che a casa in attesa di venira qua ero emozionato come una ragazzina prima del ballo di fine anno. Non sapevo cosa mangiare. Non sapevo se mangiare. Come vestirmi. A che ora arrivare. Non mi capitava da molto, molto tempo e forse, a pensarci meglio, non poteva capitarmi che con loro. Ma è ora di avviarmi, sento che stanno per cominciare. Il ragazzo mi propone un cinque che ricambio e mi saluta con un “Ciaobbello” cui replico con un paterno “Buon concerto e rientro a casa”. E mettiti la maglina di lana ché prendi freddo, figliolo.

I Faith No More salgono sul palco e partono in quarta con un pezzo…lento, romantico e languido di Peaches & Herb, sconosciuto duo black, spiazzando l’audience e portandola all’epifania ilare quando si capisce dal testo del ritornello il motivo per cui stasera lo stanno suonando:

Reunited and it feels so good
Reunited ‘cause we understood
There’s one perfect fit And, sugar, this one is it We both are so excited
‘Cause we’re reunited, hey, hey

I FNM se non prendono per il culo, loro stessi e il pubblico e tutti, non sono contenti. Non poteva scamparla il loro reunion tour che questa sera tocca la quarta tappa a Milano, unica data italiana.

 

Durante questo primo pezzo sto in disparte, temo per la mia incolumità, sono vecchio per queste cazzate, non voglio essere stritolato da un pericoloso pogo di metallari. Ma quando parte The Real Thing, be’, capisco che non posso stare lì con la mia fotocamerina del cazzo a filmare o a guardare; e quando il pezzo come da copione esplode io, semplicemente, non capisco più nulla e mi butto a incudine tra la gente (il palazzetto è stracolmo) portandomi più vicino possibile al palco. Il mio viaggio a ritroso nel tempo è iniziato. Non faccio più un lavoro serio, non ho più l’età che ho, non ho più le responsabilità di oggi. Al contrario, ho 17 anni, suono la batteria e sperimento le droghe, ho American Psycho sul comodino della cameretta e penso che io e i miei amici siamo più fighi degli altri perché leggiamo e ascoltiamo quelle cose invece di leggere di Che Guevara e ho una rabbia dentro che non so neanch’io cosa sia e bisogna pur sublimarla in qualche modo e spesso ho voglia di spaccare tutto e qualcosa spacco pure perché devo farlo, devo confrontarmi con questo mostro che mi possiede e capire dove mi vuole portare e sono capace di amare e soffrire e odiare come mai più mi capiterà nella vita. We Care a Lot, cioè non ce ne fotte un cazzo di niente, nemmeno dei bambini che muoiono di fame e del Live Aid, capito? E questa trance l’hanno innescata Mike Patton, che ha una voce impressionante con la quale fa letteralmente ciò che vuole, e gli altri che suonano gli strumenti con una foga e una precisione inaudite o comunque inalterate dopo dieci anni di pausa e tanti capelli bianchi in più.

E allora il gigione mette a frutto i suoi anni vissuti nel Belpaese e tira fuori una Evidence in italiano che è una piccola chicca solo per noi. E per voi, qua sotto.

 

Poi due inserti altrui nei loro pezzi che lascio indovinare a voi, qua e qua. L’ammissione quindi, anche quella ironica e contraddetta dai fatti che sono sotto i nostri occhi (e nelle nostre orecchie), che loro sono "troppo vecchi per queste cazzate".
E poi il finale (dopo diversi brani tra cui due esplosive Land of Sunshine e Caffeine) con una tirata e perfetta We Care a Lot.

 

E io per tutto il tempo sono felice come un ebete e ho i brividi e le lacrime agli occhi e a sorpresa mi ricordo i testi a memoria, mentre i pezzi passano via uno dopo l’altro, troppo veloci, maledizione. Non c’è tempo per la noia, non c’è tempo per pensare a dove sei. C’è solo un lampo che mi passa per la testa: "al ragazzo piemontese starà piacendo?". Ma è un breve momento di lucidità nel mezzo di un momento senza stile, coolness e controllo, un momento in cui pensi di capire solo tu la portata di quanto sta accadendo e ti ci butti a copofitto. E mentre scrivo, anzi, prima, mentre penso di scrivere queste parole che ho appena scritto, penso che sono retoriche e banali e pompate, ma anche che non me ne frega nulla e va bene così, perché questa basicità adrenalinica e sconclusionata forse è l’essenza stessa del Rock and Roll.
Il ritorno a casa non me lo ricordo. In realtà sono ancora là, almeno per oggi.

 

domenica, 24/05/2009

Oratoria

di

Ci-cerone si prepara a un altro discorso.

cicero

venerdì, 03/04/2009

quindi la piccola zoccola?

di

Gira un video dall’audio non proprio perfetto in cui forse Berlusconi dà della zoccola a una delle donne del PdL e si dice si riferisse alla Meloni.


Lei sul suo sito smentisce giurando che la parola sia "piccola", non "zoccola".
A riprova mette on line il file mp3 rallentato di radioradicale (scaricabile cliccando qui) ove si capisce benissimo che effettivamente il PdC chiede: "dov’è la zoccola, la piccola? ".
C’è qualcosa che mi sfugge.

UPDATE:
Dicono sia una bufala, ed effettivamente lì si sente "piccola", due volte. Ma sul sito dell’interessata, giuro, prima che lo cambi, è stata postata la versione con zoccola.

martedì, 31/03/2009

People are strange when you’re etc.

di

Omegle è un sito per fare amicizia che funziona in modo semplicissimo, senza necessità di registrarsi: inizi una chat e il sito prende un altro utilizzatore a caso e vi fa chattare in modo del tutto anonimo, a meno che non siate voi a voler rivelare dettagli personali. Ho appena provato e questa è la breve conversazione che ne è scaturita. Io sono “You”, l’altro utilizzatore preso a caso è “Stranger”. I link esplicativi sono ovviamente miei.

You: hi
Stranger: hello
Stranger: How do you feel about blind orphans
Stranger: opn a scale of 1 to 10, 1 being you want to see them die in a nuclear holocaust
You: i don’t have any feeling about’em
Stranger: 10 you want to make them into a delicious stew
Stranger: CHOOSE A NUMBER
You: this convo ain’t interesting for me, bye bye.
Stranger: BUT MY LOVE FOR YOU IS STRONG
Stranger: LIKE A TRUCK
Stranger: BERZERKER
You: I don’t think this is the beginning of a beautiful friendship.

Se provate anche voi e vi vengono fuori conversazioni di qualche interesse postatele pure nei commenti che ‘sto blog si fregia di essere interattivo yo.

(via)

venerdì, 27/03/2009

Inaccettabile/malsano

di
Qui l’immagine da pornografica si fa violenta e quindi aggredisce lo spettatore, obbligandolo ad uno spettacolo che non desidera e che invece la consuete veste di conformismo intellettualoide gli fa credere vera, autentica, indispensabile. Un prodotto del tutto sbagliato che, dal punto di vista pastorale, é da valutare come inaccettabile e certamente malsano.
Utilizzazione: é da escludere sia in programmazione ordinaria sia in altre circostanze. Nonostante il divieto ai 18 anni, molta attenzione é da tenere per piccoli e minori in vista di passaggi televisivi o di uso di VHS e DVD.

Questo è un estratto dalla scheda di Shortbus presente nell’archivio della Commissione Nazionale Valutazione Film, organo della C.E.I. Cosa?

La Commissione Nazionale Valutazione Film è un organo tecnico-pastorale, costituito per rispondere all’esigenza di offrire ai fedeli una valutazione rispondente alle indicazioni del Magistero e allo stesso tempo fornire indicazioni su opere molto diverse tra loro. Oggi la Commissione esprime "valutazioni morali ai fini pastorali" e tali valutazioni sono vincolanti per la programmazione delle Sale dipendenti dall’Autorità Ecclesiastica.

Nelle pause dal lavoro mi aiuta a distrarmi. Fanculo IMDB quando posso informarmi piangendo dalle risate.

via

venerdì, 13/03/2009

Ma po’ i vegnen chi a Milan

di

Stamattina un inviato di Radio Popolare sale sul bus della linea 56 di milano, la più multietnica della città, per intervistare in diretta i passeggeri. Alla fine del servizio, con spirito cazzone e fraternizzante, il giornalista induce un filippino e un’italiana a cantare insieme O mia bela Madunina, ma la donna si inventa il testo ed esibisce un marcato accento meridionale. Interviene allora una milanese sdegnata dalla performance della connazionale (sciura: un pugliese non può cantare O mia bela madunina! intervistatore: e allora io non posso cantare le canzoni in inglese dei Beatles?) e scoppia un litigio tra italiani che costringe alla prematura chiusura del collegamento. Peccato, perché il testo improvvisato dalla pugliese era genialmente esilarante. Che ironia: volevano testare il grado di tolleranza degli italiani nei confronti degli stranieri e invece è riemerso l’antico razzismo dei milanesi nei confronti dei "terroni"!

Questa è una grande città.

domenica, 01/02/2009

Il suo New York

di

Ho appena finito di leggere un articolo che dire interessante è dire poco. E’ di Tom Wolfe, è del 6 luglio 2008, è intitolato A City Built of Clay, è sulle origini della rivista New York, sul suo primo geniale direttore Clay Felker, su come cambiò il modo di fare giornalismo, su come inventò il concetto di lifestyle, sulla concorrenza con il rivale e intellettuale New Yorker, su come fece scalpore con servizi mai visti prima che indagavano sociologicamente i vari gruppi-status che abitavano la Grande Mela, su come infine fu venduta da miopi investitori. E’ bellissimo e fa riflettere su quei meccanismi sociali che esistono tuttora e che sono la cifra di New York e in piccolo anche di Milano. E’ stato pubblicato sul New York, naturalmente.
Io, dicevo, l’ho letto, più precisamente l’ho letto sul Magazine del Corriere della Sera di giovedì 29 gennaio 2009, in una traduzione col titolo di La mia New York, presentato come un articolo sulla New York anni 60 che Tom Wolfe visse e raccontò. Non come un articolo sulle origini del New York (magazine) nel segno del grande Felker.
Voi che siete ancora in tempo evitate pure tale disonestà intellettuale e leggetevi l’originale qui.
Come si dice in questi casi, ne vale la pena.

(per me Tom Wolfe giovane assomiglia molto a Andy dei Bluvertigo)

tomwolffelker080714_2_560

mercoledì, 14/01/2009

qui osservatorio street fashion live a voi studio

di

Mercoledì 14 gennaio 2009, un quarto d’ora di passeggiata digestiva post pranzo lungo Corso Vittorio Emanuele a Milano, la capitale mondiale della moda.

 

Link al set.

 

A bit scary.

 

[previously]

 

martedì, 13/01/2009

Uggly

di

uggForse non al livello delle Crocs, ma vogliamo parlare di ‘sto obbrobrio di calzature a metà tra gli stivaletti à la Porcahontas e le scarpe di feltro da casa/cortile delle vecchie contadine? Guarda che ti vedo, lettrice di Inkiostro, ce le hai addosso: vergogna!

(c’è anche chi ne auspica la sparizione per mano della crisi finanziaria)

venerdì, 12/12/2008

Moccia is a deal breaker?

di

Un interessante articolo del NY Times analizza il rapporto tra gusti letterari e compatibilità di coppia. Insomma i gusti letterari dell’altra persona che cosa ci suggeriscono? Dobbiamo dare retta a quello che ci dicono? E sino a che punto? L’argomento esiste da sempre, ma nell’era dei profili Facebook e aNobii è più che mai attuale. La tesi di base sarebbe che

reading habits can be a rough indicator of other qualities. “It tells something about … their level of intellectual curiosity, what their style is,” Fels said. “It speaks to class, educational level. [#]

Il discorso ovviamente può estendersi ai gusti in campi estranei alla letteratura e a rapporti esterni alla coppia come quelli amicali. Mi viene in mente un vecchio post in cui si affermava che

chi adora Belle & Sebastian può anche essere un pessimo essere umano e un vero pezzo di merda, però è un’ipotesi tutto sommato improbabile, alla fine [#]

Gli interrogativi che la lettura ha sollevato sono diversi.
– Il meccanismo agisce soprattutto verso il basso? Cioè, e più forte la delusione nel vedere che l’altra persona ha un gusto di merda o l’esaltazione nel vedere che ne ha uno sublime (vale a dire uguale al nostro)?
– Agisce anche per prodotti controversi ma comunque di un certo livello (mi viene in mente Into the Wild) ovvero solo se si tratta di estremi, verso l’alto e il basso?
– É vero che, come si sostiene nell’articolo, i maschi, anche in quanto asseritamente molto meno appassionati di letteratura (o dovrei dire “lettura” tout court?) rispetto alle donne, a differenza di queste non sbatterebbero mai fuori dal letto una figona solo perché è un’ignorante o non ha i loro stessi gusti letterari? siamo sicuri che la lasciano in pace nel letto perché più inclini al compromesso in campo letterario? ma scusate, una figona nel letto non è forse circostanza molto letteraria? noi uomini mica “giudichiamo un libro dalla copertina”, ma vogliamo vedere cosa c’è sotto. Qua mi sono un po’ perso nella disperata difesa del maschio, perdonate la deformazione professionale. Dicevamo.
– Che succede, oh donna, se ti arriva uno con libro di Cassano?
Passando alle esperienze personali, a me è successo di sentire chiaramente un suono di campane nella testa accompagnato da un’esaltazione subitanea allorché una ragazza, la sera in cui assieme ad altri ci siamo conosciuti, affermò che le piaceva molto Un Certo Autore, e ciò prima che io lo tirassi fuori (il fatto che piace anche a me). Le dissi che dovevamo assolutamente sposarci subito e le chiesi se aveva appuntamenti per il giorno dopo che avrei se del caso prenotato in comune. Ci mettemmo insieme infatti! Che bello. Peccato che, tempo sei mesi, e mi fece soffrire come un cane. E chi si fida più?
Ma anche buoni gusti possono essere indicatori negativi se ostentati per tirarsela.
Una volta mi capitò di andare a un incontro con delle persone conosciute da pochissimo, di cui una si presentò, a prendere me ed altri in una stazione dei treni, con in mano una copia dell’Ulisse di Joyce spiegazzata al punto giusto tanto quanto i jeans slavati: si rivelò essere una delle persone più presuntuose che abbia conosciuto. E la versione del libro non era nemmeno in inglese. E poi che cazzo leggi se sei in compagnia di altri? Leggi l’Ulisse appena hai tre minuti liberi quando chi è con te è andato alla toilette? Quanto ci avrai capito, eh? Cavolo, qua ci sarebbe da fidarsi però.
Che i gusti culturali facciano colpo comunque lo dimostra il fatto che a tutti prima o poi è capitato di predisporre la propria casa ad hoc, coi libri i dischi e i dvd riesumati dalle loro scatole per essere piazzati in punti strategici, comodino in primis. Come non immedesimarsi davanti a una scena come questa?
Al momento però io sto a posto: prima di andare a letto leggo un libro in inglese di Roth, e la stessa identica cosa, a fianco a me, fa la mia fidanzata. Sembriamo uno scherzo, una scena di un film comico. Ma se una sera si presenta con Altro Certo Autore le propongo di sposarci. Ecco, magari non per il giorno dopo, stavolta.

mercoledì, 01/10/2008

Dagli yuppie agli hipsters (corollario del corollario)

di
Once we had a name for them, we suddenly realized that they were everywhere, like the pod people of Invasion of the Body Snatchers-especially here in New York, the urbanest place of all. We might have even recognized them as us.
From the beginning, there was a certain subject/object confusion associated with the yuppie concept, a certain “we have met the enemy and he is us” self-reflexivity to the phenomenon. [#]

Mentre Repubblica tracciava un identikit dell’hipster un po’ superficiale ma sicuramente meno impreciso e irritante di quanto personalmente mi aspetti da quel tipo di testata; mentre i lettori di questo blog si scaldavano nei commenti, probabilmente galvanizzati dalla scottante problematica; dicevo, mentre qua da noi accadevano, si fa per dire, questi non-fatti del tutto trascurabili e quindi fondamentali, uno dei miei maestri di vita, il mio amico (anche se lui non lo sa) Jay McInerney, scriveva un articolo da par suo praticamente sul medesimo tema; partendo e occupandosi però principalmente del concetto di "yuppie", al nostro più che ben noto.
Lo scritto merita a mio parere la lettura per l’eccezionale fluidità che lo contraddistingue e per i succulenti riferimenti che contiene; a cominciare da una "colazione" post sbronza datata 1983 al ristorante ucraino dove mi fregio di aver visto inkiostro affrontare con coraggio un Pierogi (cfr. punto 8); e inoltre, chi lo sapeva poi che l’Iguana avesse preso casa a un metro dal mio compare di blog newyorchese Matte? e poi la citazione dell'amato Michael J. Fox di Alex Keaton (per nulla casuale…); in più l’inizio della diffusione delle palestre, presenza urbana che oggi diamo per scontata; la coca; etc.
E poi la chiosa, questa sì sugli hipsters moderni.

In the meantime, the yuppie family tree has thrown off another branch, the hipster. Hipsters believed they were the ultimate anti-yuppies. Unlike their forebears, they wanted to be known not by their job or ambition but by their self-conscious disregard for either. If anything, the cult of connoisseurship was even more exaggerated in this subgroup. Their code, enshrined in Robert Lanham’s hyperironic 2003 Hipster Handbook, was inherently elitist, defining itself in opposition to the mainstream. Hipster consumerism championed the notions of alternative and independent, rejecting the yuppie embrace of certain consumer brands in favor of their own. So it was vintage T-shirts rather than Turnbull & Asser dress shirts with spread collars, Pabst Blue Ribbon over Chardonnay. But ultimately, whether you love Starbucks or loathe it, a world in which we are defined by our choice of blue jeans and coffee beans owes more to Alex Keaton than to Abbie Hoffman. And as if to prove that the hipster and the yuppie are brothers under the skin, borough-bred columnists like Denis Hamill and Jimmy Breslin still find the yuppie label useful for bashing a certain breed of interloping effete New Yorker, the kinds of people who may in fact identify themselves as hipsters. [#]

Le luci si saranno pure spente, ma Jay rimane ancora luminoso; e partecipa al primo episodio della seconda stagione di Gossip Girl, il che, oltre ad avermi fatto pensare a una marchetta per finanziare i suoi soldatini boliviani, lo rende ai miei occhi ancora più grande, perché significa che è rimasto anche la solita puttana mondana di sempre.

mercoledì, 10/09/2008

Ci sarà un cerotto per smettere, come per le sigarette?

di
Niente link, foto o video; oggi scrivo dal più profondo del cuore di un fatto molto personale: mi sono stufato delle serie televisive.
A questo punto il pubblico immaginario emette un “oooooh” di sorpresa; conoscendomi, sa infatti che sino a due minuti fa ne ero uno dei fan più accaniti; i miei pomeriggi post scuola di bambino figlio di divorziati li trascorrevo in loro compagnia: in pratica, sono stato allevato dalla signora Garrett; una volta aperto un blog, ne ho scritto in diverse occasioni e in argomento ho sempre un’opinione con cui illuminare mondo.
Ora non più. Ora, esse sono un corpo estraneo laddove prima erano una parte di me non meno importante del fegato (peraltro trattata assai meglio di quest’ultimo): ho infatti realizzato, quasi all’improvviso, che le serie televisive sono il male.
Pensateci.
Ormai sono fatte troppo bene. Sono troppo belle. E sono troppe.
Esse, con la loro beltà, scippano la parte migliore delle nostre giovani – colpo di tosse – vite; non abbiamo più tempo per altro; ci attacchiamo, assetati, al primo rivolo di torrente che sgorga alla mattina, dopo la lunga nottata di attesa; ma spesso ci attende il dramma, perché senza sottotitoli non si va da nessuna parte: e allora possono essere giorni di vero e proprio strazio.
Io non leggo più. E non parlo di Dostoevskij, bensì di Vanity Fair. Sono indietro con Vanity Fair.
Una volta, in crisi d’astinenza, mi sono fatto spedire un cofanetto da un amico che lavora negli Stati Uniti. Me lo ha mandato (senza batter ciglio, come fosse cosa normalissima) con il sistema di posta interna in uso nella megagalattica entità per cui lavora. Sono andato a ritirarlo dalle mani di una efficiente segretaria presso la sede milanese della menzionata entità, simulando un’espressione seria, come se si trattasse di documenti d’importanza capitale, in realtà sforzandomi di trattenere una risata sguaiatamente nervosa per l’assurdità della situazione; avevo una metaforica (almeno spero) bava da impazienza alla bocca.
Le serie negli ultimi anni hanno dunque cambiato le nostre vite; ma per il meglio? Non ne sono più sicuro.
Siamo malati, questo è certo, e io prima d’ora sono sempre stato un grande supporter delle ossessioni. Perché è di questo che si tratta. Non c’entra necessariamente la qualità del prodotto. Il meccanismo di cui andiamo alla ricerca è l’ossessione per l’ossessione, la (appunto) serialità.
Perché ci succede? Ha senso interrogarsi seriamente su questo? Perché ne ho sentito la necessità? Perché non la sento per altri tipi di interessi?
Il capolavoro del subdolo lo compiono le serie considerate più….“serie”; non i guilty pleasures come Gossip Girl, troppo facilmente attaccabili.
Prendete Mad Men, la serie che nel nostro piccolo mondo di blogroll e twitter friends sta andando per la maggiore (a dir il vero anche su giornaletti come il New York Times e il New York Magazine; sul New Yorker non so). É fatta molto bene. Non avevo mai visto una tale attenzione per la regia, per i dettagli di sceneggiatura (indimenticabile per me il particolare di un palloncino che rimane simbolicamente impigliato in una porta, per liberarsi solo qualche attimo dopo).
Ma poi? Non vi chiedete mai, alla fine dell’episodio di turno della serie osannata di turno, “E allora?” (la stessa domanda è da porsi alla fine di una giornata qualsiasi, ma questo temo sia un poco off topic). Voglio dire, ormai vengono sfornate con ritmo incalzante serie su serie fatte sempre meglio, sempre più vicine alla cura utilizzata per i film. Solo che… non sono film; non ne hanno la compiutezza né l’ambizione (di voler dire qualcosa, di dimostrare una tesi). Ma non si limitano più soltanto a raccontare una storia. Sono nel mezzo, né carne né pesce. Paradossalmente, sono fatte troppo bene. Illudono lo spettatore sulla loro profondità. Sono molto forma, poca sostanza. Spesso è più intrigante l’idea di base della serie stessa realizzata nella sua interezza. E infatti il meglio lo danno all’inizio, quando dipingono l’ambiente e presentano i personaggi. E poi?
E poi c’è il nulla. E solitamente infatti sbracano. Ma a quel punto è troppo tardi, e noi siamo già stati presi all’amo.
Ho la sensazione di avere perso tanto, troppo tempo prezioso.
Che dite, esagero? Ho diritto a dire quanto sopra se non più tardi di ieri mi sono procurato la puntata di una nuova serie oggetto di parecchio hype? o è solo che sono, siamo, un coacervo di contraddizioni? O, ancor più banalmente, è la crisi del settimo anno di un innamorato?

venerdì, 25/07/2008

So hits are for me, uh?

di

La copertina, collegata al titolo Hits Are For Squares, della compilation di pezzi dei Sonic Youth messi assieme per Starbucks da amichetti famosi della band più cool che sia mai esistita mi chiama in causa direttamente perché (al di là delle polemiche sorte in merito all’operazione in sé ritenuta da molti "poco indie", di cui non me ne frega nulla) mi dà apertamente della testa quadra, dello yuppie noioso, rigido e ottuso. Io infatti mi vesto così, mi siedo così, ascolto i Sonic Youth con l’iPod così, mi piace Starbucks così e ho lo sguardo perso nel vuoto così, dopo aver lavorato per il sistema.

 

Sonic Youth – Slow revolution (previously unreleased) (MP3)

 

venerdì, 30/05/2008

Spiacente Hank Moody, c’è uno che ti batte

di

Le stagioni di Gossip Girl, House e Lost sono terminate; alla fine di Battlestar Galactica mancano due episodi. Non potevo certo stare con le mani in mano o essere costretto a vedere film d’autore, così, in consonanza perfetta con il processo di regressione che lo sviluppo della mia persona sta subendo da tempo (mi vesto più da giovane di quando avevo vent’anni, ho praticamente abbandonato la musica seria a cui ero approdato, non leggo i quotidiani, ho un blog, vado a concerti di gruppi del liceo di Brighton invece che al country club, sono allergico ai musei – mi fanno subito venir voglia di andare in discoteca, penso che limonare con sconosciute sia più divertente che fidanzarsi) ho scovato la mia nuova, magnifica ossessione: Mad Men.
Per farla breve,

Ambientata nella New York degli anni ’60, la serie tratta della vita di alcuni pubblicitari che lavorano per l’agenzia Sterling Cooper di Madison Avenue e si concentra sul dirigente e creativo Don Draper. L’ambientazione storica della sere dipinge i cambiamenti sociali in atto negli Stati Uniti all’inizio degli anni ’60, con sullo sfondo la campagna presidenziale che contrappose John Kennedy a Richard Nixon.

Alla descrizione di Wikipedia, tra le tante cose che si potrebbero dire se non si fosse drammaticamente a corto di tempo (tipo che il confronto tra la società di allora e la nostra è un giochino molto interessante), aggiungo solo che Don Draper è un personaggio davvero complesso e contraddittorio, sofferto, di successo ma ombroso e misterioso; meno piacione e simpatico di Hank Moody, cucca quanto questo perché, ovviamente, è comunque molto figo. E Hank, mi spiace, in tua assenza ora il mio riferimento è lui: spero non me ne avrai a male.

Qua sotto i titoli di testa, dai quali già si intuisce che il modello maschilista e di apparente successo ritratto nella serie è tutt’altro che spensierato e anzi, rischia di vedere sgretolate le proprie certezze e di sentirsi cadere nel vuoto.

martedì, 13/05/2008

Accessories for Lonely Men

di

Quando una donna ti lascia e ti senti solo, che cosa ti manca veramente? Lei come persona o le piccole cose legate alla sua presenza fisica? Questo è l’interrogativo suscitato da un’opera del 2001 di Noam Toran esposta al Moma nell’ambito della interessante mostra Design and the Elastic Mind (da provare la funzione search del sito). Peccato però che i singoli pezzi che la compongono non siano in vendita, altrimenti su di un paio ci avrei fatto un pensierino sull’onda dello shopping spree.
Vediamo un po’.
L’arriccia peli del petto, un’attività post coitale da cui personalmente mi salvo solo grazie alla poca villosità del mio torace. Come regalo a un amico quindi. Pensa a come sarebbe contento.

image068Il condivisore di sigaretta. E’ vero che ho smesso di fumare, ma nulla mi impedirebbe di far fumare solo il condivisore. Magari però lo mando in balcone.

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Un alitatore da letto. Mi domando se si possa anche munire di diffusore di fragranza all’aglio per simulare di aver cenato a base di bagna càuda la sera prima.

image078Il ruba lenzuolo. Manca però lo "spingitore sul bordo del letto".

image074Lo scaglia piatti. Un modo per sbarazzarmi del servizio floreale che mia madre mi ha lasciato e che mi imbarazza anche se rimane confinato nell’angolo più buio della credenza.

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A riguardare questi oggetti sorge però spontanea una domanda: è un caso che volendo rappresentare la quotidianità di una storia sentimentale siano tutti legati a un momento di scassamento di maroni? Boh, certo è che a me sarebbero venuti in mente altri oggetti. Ma questo è un blog serio e non è il mio. Perciò ve li risparmio.