lunedì, 19/12/2011

Breaking Beavis

[È l'illustrazione di una t-shirt che si compra qui]

venerdì, 16/12/2011

I film in America stato per stato

[una spettacolare infografica in flash da Very small Array. Clicca qui per vederla a tutto schermo.]

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giovedì, 15/12/2011

Inkiostro – I dischi del 2011

Sono i dischi più belli dell'anno? No.
Sono i dischi che ritengo musicalmente più importanti, criticamente più validi, culturalmente più rappresentativi? Macchè.
Sono i dischi che vorrei che ascoltaste? Non necessariamente.
Sono quelli che ho acoltato di più? Più o meno, ma non esattamente.
Sono i dischi che ricorderò quando ripenserò all'anno che sta per concludersi? Ecco, ci siamo vicini.
Sono i dischi che mi sono piaciuti di più, per motivi che non hanno sempre a che fare col disco stesso? Fuochino.
Sono i miei dischi dell'anno. Ah Beh.

 

 

 
10
 
Yuck – Yuck (Fat Possum)

 

Gli anni '90 non sono mai finiti davvero. Si sono nascosti bene, ogni tanto facevano capolino in qualche distorsione sonica o qualche chitarra storta ma poi si nascondevano sempre, e in parte lo fanno tuttora. E così il revival vero e proprio non arriva, ma arrivano dischi come questo esordio in cui quattro ventenni inglesi giocano a fare un disco rock alla maniera di quegli anni valvonauti. E lo fanno come in quegli anni, mettendo una canzone dietro l'altra senza pretese o velleità: quattro accordi, un bel riff, una voce un po' distorta e niente di più. Un disco piccolo piccolo che piace un sacco a quelli che quegli anni nonostante tutto non li hanno ancora dimenticati. Come me. 

 

MP3  Yuck – The Wall

MP3  Yuck – Rubber

 

 
 
9
 
The Soft Moon – The Soft Moon (Captured Tracks) 

 

E' la colonna sonora ideale per un thirller metropolitano e post-apocalittico. Il disco che metti su di notte quando pensieri angosciosi non ti fanno dormire. Il suono di una tensione cupa e opprimente che non riesce a trovare pace. La wave nero pece che diventa dark industriale dei The Soft Moon, da San Francisco, è fatta di un basso ossessivo e martellante, una drum machine assillante, synth glaciali, chitarre soffocanti e una voce sepolta che potrebbe non essere umana. Un film dell'orrore senza morti, perchè morti forse lo siamo già.

 

MP3  The Soft Moon – Tiny Spiders

MP3  The Soft Moon – Circles

 

 
 
8
 
Holy Ghost! – Holy Ghost! (DFA Records)

 

Il migliore disco di pop elettronico e ballabile dell'anno di grazia 2011 è (ancora una volta) firmato DFA. Nell'anno in cui gli LCD Soundsystem hanno messo la parola fine alla loro parabola inarrivabile di ripescaggi sonori e filosofia, James Murphy dà la sua benedizione a questo duo di newyorkesi con il pallino degli anni '80 più sobri e spensierati, che si evolvono in parti uguali dalla italo-disco e dalla produzione perfetta dei New Order più rotondi per mettere a segno una bella infilata di pezzi killer. Privi della pressione che pare costringere tutti quelli che si cimentano con gli anni '80 più pop a ripescare i suoni peggiori di quegli anni, gli Holy Ghost! riescono dove quasi tutti quelli che li hanno preceduti hanno fallito. Non siamo ancora alla perfezione, ma le carte ci sono.

 

MP3  Holy Ghost – Wait and see

MP3  Holy Ghost! – Do it again

 

 
 
7
 
dEUS – Keep you close (PIAS)

 

Ho la netta e quasi certa sensazione che non vedrete questo disco in nessun'altra classifica di fine anno. Ignorati come al solito dagli americani, snobbati dall'intellighenzia nostrana e mai realmente amati dalla macchina del cool inglese, i dEUS continuano imperterriti per la loro strada e in punta di piedi tirano fuori un ottimo disco. Li abbiamo dati per morti almeno due volte (nella lunga pausa dopo Ideal Crash e dopo il penultimo discutibile Vantage Point), ma Tom Barman è il re dei sopravvissuti e dà il meglio di sè proprio quando non ti aspetti niente da lui. Certamente io non mi aspettavo un disco così solido e ben scritto, con arrangiamenti classici ma ambiziosi e almeno un paio di pezzi tra i migliori mai scritti dalla band di Anversa. E anche se in Italia hanno ancora un pubblico numeroso, è un peccato che non gli si riconosca la statura che hanno raggiunto. Io, nel mio piccolo, ci provo.

 

MP3  dEUS – Ghosts

MP3  dEUS – Constant now

 

 
 
6
 
tUnE-yArDs – W H O K I L L (4AD Records)

 

C'ero anch'io, tra quelli che la scorsa primavera, visto il consenso critico ottenuto dal secondo disco dal progetto di Merril Garbus, si chiedevano cosa ci fosse di speciale in questo strano pastiche di soul, indie e world music. Ambizioso e un po' impenetrabile W H O K I L L si svela pienamente solo dopo aver visto la baffuta soulsinger su un palco, in cui quasi da sola dà vita a queste canzoni armata di ukulele, rullante, voce e pedal-loop. E dopo la vedi tutta, la spaventosa quantità di sfumature e influenze che il disco impasta, e riconosci che c'è del genio nell'averlo composto in modo tanto matematico e modulare riuscendo al contempo a dotarlo di un'anima.  

 

MP3  tUnE-yArDs – You Yes You

MP3  tUnE-yArDs – Bizness

 

 
 
5
 
J Mascis – Several shades of why (Sub Pop)

 

In quasi trent'anni di onorata carriera Joseph Donald Mascis non ha più niente da dimostrare, e io ho sempre un debole particolare per gli artisti che nonostante la tentazione di sedersi sugli allori riescono ancora a fare quel passo in più. E Mascis qua di passi ne fa anche due, con una raccolta di pezzi acustici dolenti e ispirati e arrangiamenti nudi che mettono ancora più in evidenza la bellezza delle canzoni. Non c'è bisogno di aggiungere altro.

 

MP3  J Mascis – Several shades of why

MP3  J Mascis – Listen to me

 

 
 
4
 
James Blake – James Blake (Atlas)

 

Ma quanto suona bene questo disco? L'avete mai sentito in cuffia? L'avete mai messo a volume altissimo in uno stereo che non fosse comprato all'iperCoop? Avete mai fatto vibrare la casa coi suoi bassi? Avete mai sentito una voce così tridimensionale? Avete mai sentito dei silenzi così dannatamente vuoti?
Un esordio prepotente e impossibile da ignorare, da parte di un artista giovanissimo che ha già bruciato talmente tante tappe che non abbiamo più idea di cosa possiamo aspettarci da lui. Molto del resto della sua produzione mi lascia perplesso e continuo a non capire se sia un genio o solo un grande uomo di marketing. Quel che è certo, è che quando vuole fa paura.

 

MP3  James Blake – The Wilhelm's scream

MP3  James Blake – Limit to your love

 

 
 
3
 
Black Lips – Arabia Mountain (Vice Records)

 

Non si capisce come sia possibile, ma dopo anni di attività i Bad Kids che vengono dal sud continuano a essere una delle band più entusiasmanti che ci siano là fuori. Teppisti cazzoni, casinisti e pericolosi che sanno come divertirsi: la fusione tra persona e personaggio è totale, e senza di essa un disco di garage-indie-punk-rock divertente come Arabia Mountain non potrebbe funzionare. E invece funziona, ed è stato la principale colonna sonora della mia Estate. Se vuoi qualcosa, va' fuori e prenditelo.

 

MP3  Black Lips – Modert Art

MP3  Black Lips – Go out and get it

 

 
 
2
 
PJ Harvey – Let England shake (Island)

 

Ho amato e amo i primi tre dischi di PJ Harvey (quattro, contando 4 track demos) di un amore che si può riservare a pochi album nella propria vita. Ho amato il loro essere estremi e privi di mezze misure, e il loro essere fatti contemporaneamente di una sincerità disarmante e autodistruttiva e di una parossistica messa in scena melodrammatica; così, quando sono arrivati i dischi dopo, pur nella loro diversità, sapevo che quella Polly era persa per sempre. Non mi aspettavo però che esaurito il ciclo delle maschere, la PJ Harvey superstite sarebbe stata capace di creare dischi di questa caratura. Esaurita l'analisi su di sè, lo sguardo si è portato lontano, si è cimentato con temi impossibili come la crudeltà della guerra e della morte, si è fatto alto, essenziale, privo di limiti, supportato da una tale sicurezza nei propri mezzi musicali che gli arrangiamenti sono folli ma non avrebbero potuto essere diversi.
Immaginare cosa potrà fare dopo dà le vertigini.

 

MP3  PJ Harvey – In the dark places

MP3  PJ Harvey – The words that maketh murder

 

 
 
1
 
I Cani – Il sorprendente album d'esordio dei Cani (42 Records)

 

Eggià, il mio disco dell'anno è il sorpendente album d'esordio dei Cani. Il disco d'esordio di una band italiana in cima alla mia classifica? Sono impazzito? Può essere. Ma quest'anno non ho incontrato un altro disco così tanto capace di imporsi alla mia attenzione, di essere amato e contemporaneamente odiato, ascoltato decine di volte, criticato per i suoi (tanti) difetti, perchè ha poche canzoni, perchè gli arrangiamenti sono tutti uguali, perchè piacerà troppo o troppo poco, perchè sono un po'  troppo vecchio per rispecchiarmici al 100% e perchè è bellissimo ma non è definitivo.
Come scrivevo lo scorso Aprile, il disco d'esordio dei Cani è un piccolo trattato di sociologia in forma electropop, un sussidiario illustrato della giovinezza due punto zero, una lunga  Disco 2000 ambientata al Pigneto, un resoconto dell'educazione per lo più sentimentale della generazione sempre troppo ironica e drammaticamente autoconsapevole dell'era di Facebook. Non posso chiedere di più, al disco dell'anno.

 

MP3  I Cani – Hipsteria

MP3  I Cani – Le coppie

 

 

mercoledì, 14/12/2011

Dizionario della Crisi / 3

di

 

tecnocrazia (s.f.)

La parola è giovanissima. Nonostante l'idea sia stravecchia. E anche se si tratta di una combinazione di parole greche (per significare il "dominio della tecnica" o forse "dei tecnici"), tecnocrazia arriva all'italiano passando per l'americano. Secondo il Dizionario Etimologico Le Monnier, la nascita della parola risale al 1931. Ma technocracy la usa già nel 1919 l'ingegnere californiano William Henry Smith in un articolo-saggio (pdf) alquanto strampalato. Smith, in soldoni, voleva che l'organo supremo di tutte le istituzioni fosse un Supremo Consiglio Nazionale degli Scienziati al fine di "consigliarci e istruirci su come Vivere meglio e su come realizzare nella maniera più efficiente il nostro Fine Individuale e Nazionale".

 

Era l'entusiasmo per il progresso scientifico e tecnologico a ispirare gli utopisti tecnocratici. Tantissimi però, nei secoli precedenti, erano stati tentati dall'idea apparentemente molto ragionevole per cui il problema del governo sarebbe, in realtà, un problema tecnico. Chi meglio di uno scienziato, un esperto della materia, un intelligentone può risolvere le questioni poste ai governanti? Le tecnocrazie immaginate nei secoli non sono, però, tutte uguali. Nella Repubblica di Platone, lo Stato ideale è governato dai filosofi. Nella Nuova Atlantide di Francis Bacon (1626), la società è organizzata sulla base di principi scientifici e tecnologici e i governanti sono tutti volti al progresso della scienza, quale mezzo per il progresso della società stessa. Ma è con la prima rivoluzione industriale che la tecnocrazia comincia ad avere un sapore moderno. Per Saint-Simon, il sapere dei tecnocrati non è più filosofico o astratto: è industriale. Sono gli "industriali-dirigenti" a porsi al vertice della società e a orientare la società verso il benessere colletivo grazie al loro sapere strategico e pratico. E con gli ingegneri radicali del movimento tecnocratico americano, nella prima metà del '900, si passa a teorizzare "un soviet di tecnici autoselezionato" per governare la società. Nel corso degli ultimi decenni, il primato dell'economia ha dato alla tecnocrazia un forte connotato manageriale. Il decision-maker per eccellenza è diventato il direttore d'azienda, l'uomo che unisce sapere e carisma, conoscenze tecniche e azione pratica organizzativa. Infine, con l'ingigantirsi del captialismo finanziario, il tecnico, il sapiente è diventato l'esperto di finanza, l'investment banker, l'uomo di Goldman Sachs (che in America chiamano "Government Sachs" per il continuo scambio di poltrone tra la potente banca e Washington).

 

La tecnocrazia è tornata di moda grazie alla crisi del debito pubblico europeo. Sia in Grecia sia in Italia, i governi in carica sono stati sostituiti da economisti che hanno rivestito importanti cariche ai vertici delle istituzioni europee. E' una roba antidemocratica? Per qualcuno sì. E purtroppo qui in Italia – ci siamo abituati – i difensori della legittimazione popolare sono spesso gli stessi che più frequentemente sbandierano intolleranza, egoismo tribale e populismo-spettacolo come loro valori chiave. Ma il problema non è così semplice. Il tecnico dovrebbe avere le competenze per sapere come far bene certe cose. Ma chi decide quali cose vanno fatte? La scelta dei fini (così si dice) dovrebbe appartenere al campo della politica. E l'idea di una tecnica che prevale sulla politica rischia di sfociare nell'idea malsana per cui le ricette, i fini, le scelte non sono più discutibili. 

 

Sul New York Times due editorialisti assai diversi (forse i più diversi tra le firme di quel quotidiano) hanno parlato di tecnocrazia proprio nei giorni dell'insediamento del Governo Monti, quando la parola finisce sulla bocca di tutti, in tutto il mondo. David Brooks coglie l'occasione per criticare alla radice l'utopia europeista. Per Brooks, la crisi di questi mesi è colpa dell'ideologia tecnocratica, cioè dei burocratici elitisti che si sono convinti di poter creare una superstruttura economica e giuridica senza una comune base culturale, linguistica, civile e storica. Sono stati loro, dice Brooks, a mettere assieme ciò che non può stare assieme. E se siamo a questo punto è colpa della convinzione di questi "grigi uomini arroganti" di poter giocare con l'ingegneria sociale di nazioni diverse. La critica di Brooks usa argomenti abbastanza comuni per il pensiero conservatore: lingua, costumi, cultura, nazione contro l'utopia razionalista dei progressisti. Ma anche il super-liberal Krugman, tre giorni dopo, bacchetta l'impossibile utopia dell'Euro. Soltanto, dice lui, che non è colpa della tecnocrazia. I problemi della moneta comune sono, secondo Krugman, esattamente problemi tecnici. E gli uomini che hanno voluto l'Euro nonostante i mille rischi tecnici non sono per nulla dei tecnocrati, bensì dei romantici crudeli e senza alcun senso pratico, che hanno imposto enormi sacrifici alla gente in nome di una visione ideologica di unità e unificazione. 

 

Purtroppo, la voglia di tecnocrati che si è diffusa per l'Italia non è semplicemente data dal rispetto per le competenze specifiche necessarie in questa difficile circostanza. A ben vedere, non ci vuole neppure una grande scienza per stringere sulle pensioni e aumentare le solite imposte e accise. La voglia di tecnica è tutta psicologica. Sappiamo tutti che ci vogliono misure impopolari ma siamo pronti ad accettarle (seppure a malincuore) solo da chi è a-popolare, cioè non scelto da noi, cioè un tecnico. La tecnica è come la lotteria: sono loro a scegliere, non i "nostri". Berlusconi non avrebbe rimesso l'ICI. Bersani non avrebbe tagliato le pensioni. Ci è andata male, ma tant'è. Possiamo consolarci col fatalismo della tecnica. E' colpa di qualcun altro.

 

Per non fare l'abitudine all'idea che sia meglio un "custode sapiente" che un politico eletto ci soccorrono due ammonizioni importanti. La prima, classica, viene da Karl Popper, che al liceo nessuno arriva a studiare (almeno ai miei tempi, quando i prof di filosofia erano ancora – sebbene ancora per poco – "tutti comunisti"). Che ci ammonisce contro le teorie politiche di Platone del filososo-re e dice che è una roba totalitaria. L'altra viene invece dai Simpson. Nel 22° episodio della decima stagione, dopo la fuga del corrotto Sindaco Quimby, alcuni intelligentoni prendono il potere a Springfield, grazie a una vecchia clausola dello Statuto della Città. Si tratta di Lisa, il nerd del negozio dei fumetti, il direttore Skinner, il dottor Hibbert e altri. All'inizio le misure dei secchioni riscuotono un certo successo (anche se sono abbastanza bizzarre, come l'eliminazione della luce verde al semaforo). Poi però cominciano i pasticci e la città rischia di finire nel caos (anche se è l'intervento di un altro genio, Stephen Hawking a sistemare le cose).

 

E' una morale da ricordare. Ma che forse noi, in questo momento, non possiamo permetterci. E, diciamocelo, dopo tutti questi anni di frustrazione, un branco di gente seria e un minimo preparata ci fa godere, anche mentre ci tartassa.

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mercoledì, 14/12/2011

Una libreria fatta di sedie

[Latten Shelving System]

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martedì, 13/12/2011

Makkox @ Impronte digitali

di

 

 

Ladies and Gentlemen abbiamo qui l'onore di annunciare che Makkox, alias Marco D'Ambrosio, principe della satira sul web, sarà l'ospite di stasera ad Impronte digitali su radiocitta'fujiko, ore 19.

 

Ogni giorno leggiamo le sue vignette su Il Post, dove dipinge e deride i protagonista dell'attualità, soprattutto politica, nazionale e internazionale. Makkox prende le notizie del giorno e ne svela il vero volto (definito da tardo impero), con vignette verticali e lughissime che son state raccolte nello splendido volume Post Coitum (Bao Editore). Difficile scegliere una preferita, ma se dovessi punterei tutto su quella del master inventato da Daniela Santanchè).

 

MP3 IMPRONTE DIGITALI – Makkox

martedì, 13/12/2011

Just like honey, on double piano

lunedì, 12/12/2011

Winter is coming in April

Come da teaser qua sopra, la seconda stagione dell'everyone's favourite guilty plasure Game of Thrones andrà in onda ad Aprile su HBO

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mercoledì, 07/12/2011

Philosopher Fighter T-shirt

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martedì, 06/12/2011

Le impronte digitali del Ministro che risponde su Twitter

di

Ormai Twitter è diventato il social network nazionale popolare. I vip si insultano ora tramite cinguettii, gli showmen se ne pavoneggiano in diretta tv e l’amata classe dirigente di questo paese è passata per una volta all’avanguardia 2.0 con il meglio di direttori di giornale, capitani d’industria e politici pronti a contendersi follower e retweet. Stavolta però noi umile gente comune abbiamo la possibilità di dire e fare valere la nostra.  A questo ha pensato Tigella che ha lanciato la domanda: è un bene o un male che un ministro sia presente su Twitter e che risponda ai tweet che gli vengono rivolti ?

 

Le risposte sono varie: ad un estremo pessimista c’è chi dice che la politica ha trovato un nuovo canale per prendere in giro i cittadini, all’altro ottimista c’è chi invece lo trova un ottimo strumento di migliore democrazia, in mezzo molte sfumature meno bianco/nere. Ne parleremo con Tigella stasera alle 19 a Impronte digitali su radiocitta’fujiko.

 

 

MP3 IMPRONTE DIGITALE – Tigella

martedì, 06/12/2011

Pensiero stupendo

[Escape from the digital world, da Incidental Comics]

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lunedì, 05/12/2011

CMJ 2011 – un recap lacunoso

Ok, a ormai più di un mese dal suo svolgimento, ho capito che non scriverò mai un post completo ed esaustivo sulla CMJ Marathon. I 5 giorni del meta-festival newyorkese sono stati un'abbuffata musicale senza precedenti, una sequenza senza soluzione di continuità di showcase e live grandi e piccoli, con i migliori tastemaker della scena indipendente (etichette, magazine, siti web, blog, agenzie di promozione) a fare la gara a chi creava il party con la line-up più zeppa di nomi che ora sono ignoti e che domani (forse) diventeranno grandi. Il che rende difficilissimo orientarsi e scegliere il proprio percorso (e rende indubitabilmente irrealizzabile la speranza di riuscire a vedere tutti i nomi interessanti tra i più di mille presenti), ma porta a piccole grandi scoperte completamente casuali che sono il sale di eventi come questi.

Lascio a eventuali post futuri, se alcune delle promesse che ho notato saranno mantenute, racconti e trattazioni dettagliate. Per ora mi limito a poche parole e un sacco di link. 

 

Bello!

Se dovessi dare solo due nomi avrei pochi dubbi: Grimes e Still Corners. 
Adorabile, imbarazzatissima e talentuosa ragazza canadese, Grimes è circondata da un hype palpabile, ma quando sale sul palco da sola, e la vedi davanti a due synth, un Mac e un altro paio di macchine non le daresti davvero due lire. Quando comincia a suonare e cantare il suo bubblegum pop etereo e stratificato, però, sei fregato. Lei è bravissima e suona tutto, la sua musica assomiglia a un sacco di cose (da Madonna a Lykke Li a Robyn a Fever Ray) e l'alchimia di tutti gli elementi, non si sa bene perchè, è ammaliante e funziona da paura. L'anno prossimo, quando dovrebbe uscire il suo disco d'esordio, farà sfracelli. Io ve lo d'ho detto.
Completamente diverso è l'effetto che fanno live gli Still Corners, band inglese uscita su Sub Pop recensita ottimamente un po' ovunque. Il loro set cammina in punta di piedi, come è d'uopo per musica tanto cinematica e stereolabica, e grazie soprattutto alla vocalist Tessa Murray, che ha l'eleganza e la malinconia di certe ragazze d'Albione, il live cresce d'intensità e bellezza e conquista tutti. 
Ma ci sono altri set che mi hanno colpito molto, curiosamente tutti femminili. Non sapevo cosa aspettarmi da un set da solista di Deradoorian, già voce nei Dirty Projectors, ma nel suo set da sola mi sono venuti in mente tanto Bjork quanto i The Knife: elettronica fredda e intellettuale non priva di squarci di grande bellezza. E hanno mantenuto le promesse i set cupi e intensissimi della spettrale Chelsea Wolfe (di cui vi ho parlato qua) e della waver gotica Zola Jesus. Artiste molto simili (benchè la prima si muova più su sonorità folk e noise mentre la seconda è più dalle parti del dark e dell'industrial), bravissime sul palco e supportate da ottime band. A occhio, nomi che resteranno. Tra l'altro, Zola Jesus suona al Covo il 7 Dicembre (dopodomani), io non me la perderei.

 

Uhm, interessante

Un gradino sotto il quintetto al femminile che mi è piaciuto di più, ci sono stati altri live che mi hanno lasciato un ottimo sapore in bocca. Impossibile non citare il divertentissimo set messo in piedi da The Stepkids; il loro principale selling point non è il (pur ottimo) filologicissimo sound funk/soul psichedelico anni '70 ma le straordinarie proiezioni che vengono sparate sulla band, e che aggiungono tutta un'altra dimensione trippy al concerto. Guardate qui e qui per avere un'idea. Sempre in area soul si muovono i giovanissimi Ava Luna, capitanati da un ragazzino appena uscito dall'adolescenza che canta come Prince e da un trio multietnico di coriste che probabilmente frequentano ancora la high school. Veramente impressionanti. 
Venendo a suoni più indie, molto carucci sia The Beets, che si muovono tra lo-fi e garage e hanno inciso per la Captured Tracks, sia i canadesi Parlovr, che sono una specie di Wolf Parade ancora più acidi che mi hanno colpito all'istante. E impossibile non citare i Cavemen, che dal vivo sanno il fatto loro, finendo per fare abbastanza il botto al festival, e diventando in ambito indie uno dei nomi più caldi del momento.
Per finire merita una menzione Chad Valley, improbabile cicciobomba inglese che suona una chillwave sontuosa e ci spara sopra dei falsetti effettati che possono lasciarti secco. Superata l'ilarità iniziale, più convincente di tanti nomi più blasonati nel genere ipnagogico. 

 

Ma anche no

Non c'è niente come vedere decine di gruppi al giorno per farti diventare super esigente e per farti sparare pesanti giudizi tranchant dopo due pezzi (il gioco funziona così). 
Pollice verso quindi per l'imbarazzante pseudo new age dell'arpista elettronico Active Child (il cui set era molto atteso; la gente è PAZZA), per i droni sperimentali di Oneohtrix Point Never (girare due manopole non basta a fare un buon live) e per il derivativissimo dream pop dei Twin Sister (ci faceva cagare negli anni '80, e adesso questa roba è ancora più tediosa). 
L'hip hop non è il mio genere (soprattutto quello che va di questi tempi), ma in un festival così grande è stato impossibile non incappare in almeno due set (il beat-master super cool Aaraabmuzik e il duo gangsta dei poveri Main Attraktionz) che, pur diversissimi, mi hanno ovviamente fatto cagare. E' importante avere dei punti saldi.
Un po' inutile dal vivo la chill-wave dei Com Truise (che oltre ad avere un nome bellissimo su disco non mi dispiacevani, in realtà), per nulla apprezzabile la svolta elettronica degli allora math-rocker The forms, e privo di mordente e una direzione precisa il progetto Bleached (che contiene un paio di Mika Miko). 
Venendo a cose che su disco mi piacciono, è ancora povero il set solitario del nostro connazionale Porcelain Raft, il cui delicato e riverberato pop da cameretta è difficile da far rendere su un palco. E, per quanto faccia simpatia e tenerezza per la giovane età sua e del resto della band (tutti sono i 18 anni, credo), il crooner indie-pop ginger King Krule dal vivo non riesce a rendere le belle atmosfere del suo EP di esordio ed è poco sopra la sala prove, e non nel modo sghembo che talvolta ci piace.

 

Varie ed eventuali

Il CMJ, come si diceva sopra, è un festival fatto per scoprire cose nuove. Andarci per vedere e inseguire nomi grossi e già affermati è una missione non facile (non ce ne sono poi molti) oltre che piuttosto stupida. Ho fatto una sola eccezione, aiutato dalla scaletta di uno dei day parties di quello che indiscutibilmente è il re del festival (l'uber-blog Brooklyn Vegan), per J Mascis, già leader dei Dinosaur Jr e leggenda dell'indie americano, che a inizio anno ha pubblicato un disco acustico che finirà diritto nella mia top ten dell'anno. Il live set non ha riservato sorprese: diretto, spartano, semplicissimo e splendido.
Molto brava anche Eleanor Friedberger, che si è presa una pausa dai Fiery Furnaces, e la scorsa Estate ha inciso un bel disco solista di rock con pochi fronzoli, ottimamente reso al palco. Caruccio ma decisamente troppo educato il live di Emmy the Great, dove sono capitato per caso perchè ho sbagliato porta mentre cercavo di andare a vedere la star australiana Gotye (di cui ho visto solo due pezzi, di cui uno però era il piccolo capolavoro Somebody I used to know, quindi sono soddisfatto).
Poi metto qua un po' di altri nomi che mi hanno lasciato un'impressione genericamente positiva, ma non abbastanza da aver voglia di scrivere qualcosa oltre al loro nome: Young magicDOMGauntlet HairSilver SwansWidowspeak, Lord HuronWe BarbariansLocksleyPrussia. Un elenco che serve più a me che a voi, mi sa.

venerdì, 02/12/2011

Festa ufficiale per la chiusura dell’era del Caimano

Non so a chi sia venuta in mente la definizione qua sopra per descrivere la serata di domani, ma dopo la doverosa toccata di maroni di fronte a un ottimismo tanto spericolato, non posso che invitarvi a non mancare al Covo per l'imperdibile concerto della premiata ditta Enrico Brizzi e YuGuerra. Il sodalizio tra l'autore di Jack Frusciante è uscito dal gruppo e la band del rocker bolognese dura da un paio di anni e ha prodotto un paio di singoli e un intero disco (La vita quotidiana in Italia, uscito per Irma Records) che fonde roccioso rock emiliano e testi nati intorno ai due recenti libri La vita quotidiana a Bologna ai tempi di Vasco e La vita quotidiana in Italia ai tempi del Silvio (il primo dei quali è davvero molto bello).

 

Ho già visto Brizzi & YuGuerra dal vivo un anno e mezzo fa e mi sono piaciuti un sacco, e sono sicuro che domani non farà eccezione. Tra l'altro, verrà presentato l'ultimo singolo Silvio Summer, di cui verrò girato anche il video, e il me stesso fan sfegatato di 15 anni fa è già emozionato all'idea di poter comparire, anche se di sfuggita e nello sfondo, nel videoclip di uno dei suoi eroi degli anni '90.   

A completare il cortocircuito, dopo il concerto sarò anche in consolle a mettere un po' di dischi. Potrebbe scapparmi fuori una Sunnyside of the street, siete avvisati.

 

 

MP3  Enrico Brizzi & Yu Guerra – Silvio Summer

MP3  Enrico Brizzi & Yu Guerra – Rialzati Bologna

giovedì, 01/12/2011

It’s time the tale were told

E visto che in questo periodo sono un po' monotematico, una piccola appendice al post di qualche giorno fa. Non ricordo neanche come, ma nei mesi scorsi mi sono imbattuto in una delle migliaia cover di canzoni degli Smiths che ha colto la mia attenzione. Si tratta di Scott Weiland, che fu leader dei mai dimenticati grunge heroes Stone Temple Pilots (i primi 2 dischi, ai tempi, mi piacevano molto, e anche adesso se per radio passa una loro canzone me la canto di gusto) e poi ha fatto una brutta fine tra eroina, Velvet Revolver e una carriera solista di nessun rilievo, alle prese con Reel around the fountain, primo pezzo del primo disco degli Smiths nonchè una delle mie cinque canzoni preferite della band di Morrissey & Marr.

 

Si tratta di un pezzo per nulla facile, retto interamente da una linea di chitarra semplicissima ma perfetta e dall'interpretazione di Morrissey, che è forse l'unico che poter far sembrare delicata e persino romantica una canzone che in fin dei conti ha diverse sfumature parecchio inquietanti (ai tempi fu accusata di parlare di pedofilia). Weiland la approccia in modo inevitabilmente convenzionale, e al primo ascolto ero ovviamente abbastanza inorridito. Epperò, devo ammetterlo, mi sono poi sorpreso a metterla su diverse altre volte, e ho paura che adesso mi piaccia; soprattutto nei dettagli a un primo ascolto più orripilanti, come quella specie di tapping nel bridge di I dreamt about you last night, o l'arpeggio didascalico alla fine dei ritornelli. Mi sono completamente rincoglionito?

 

 

MP3  Scott Weiland – Reel around the fountain (The Smiths cover)

mercoledì, 30/11/2011

Daria vive!

[da DeviantArt, via]

martedì, 29/11/2011

Micro web-tv crescono

di

La curiosità tecologica, la pochezza della tv generalista tradizionale e la voglia di "qualcosa di buono e fresco" porta a occuparci di web tv. L'occasione è data poi da AltraTv, primo osservatorio sulle micro web tv italiane e sui micromedia iperlocali in rete,  che giovedì 1 dicembre a Bologna in Sala Borsa organizza “TeleVISIONI del mondo: come le web tv diventano start up”, durante l’incontro verranno premiate le migliori web tv 2011 con il contest Teletopi, gli oscar delle web tv italiane.

 

 

Stasera a Impronte Digitali su radiocitta'fujiko ne parliamo con Giampaolo Colletti, fondatore e direttore di AltraTv. Ormai sono 533 le web tv in Italia, di cui 51 in Emilia Romagna, e molte di queste sono sulla strada si un modello di business sostenibile. Per fare di più dovranno trovare investirori, riuscire a mettersi in network e con pochi mezzi inventarsi qualcosa di nuovo e con qualità.

 

 

Ci riusciranno ? Sì secondo la "madrina" del progetto Carmen Lasorella (proprio lei e devo dire in gran forma), che ora dirige San Marino RTV. Come anticipazione qui sotto l'audio con la sua intervista.

 

MP3 Carmen Lasorella

 

MP3 IMPRONTE DIGITALI – Altra TV

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martedì, 29/11/2011

Ascolta tutte le canzoni dei Beatles. Contemporaneamente.

Non si è ancora spento l'eco della data di Paul McCartney in città (ci sono andato? no. Preferisco le rockstar quando sono vive) che online fa la sua comparsa l'epico delirio All Together Now – Everything the Beatles ever did, una follia che come dice la descrizione, sovrappone tutte le canzoni mai prodotte dal Beatles, in modo che la più lunga parta per prima e che le canzoni finiscano tutte e 226 insieme. Provate a spingere Play: intorno al quarto minuto vi scoppierà il cervello. Garantito.

 

 

lunedì, 28/11/2011

Affinità e divergenze

lunedì, 28/11/2011

Cento pagine su quella certa band chiamata The Smiths

Lo scorso weekend ho passato un numero di ore decisamente esagerato a leggere il numero speciale di NME e Uncut interamente dedicato agli Smiths, in cui mi sono imbattuto per caso in libreria qualche giorno fa. 

Cento pagine di articoli nuovi e (soprattutto) degli anni '80, interviste e recensioni dalle pagine di Melody Maker o NME di 25 anni fa, foto, recensioni, memorabilia e approfondimenti assortiti sulla band di Morrissey, Marr & company. Niente di lotananamente nuovo sotto il sole, ma si sa, a noi fan degli Smiths questo importa poco, vogliamo solo sentirci raccontare ancora e ancora la storia della band di Manchester, avere una nuova scusa per riascoltare da cima a fondo la loro discografia (cosa che ovviamente ho fatto), avere una nuova occasione per rileggere chi sono e cosa hanno fatto i protagonisti delle bellissime copertine del loro LP e singoli e avere ulteriori conferme che, a parte i poveri detrattori senza speranza, il mondo è unanime nel considerarli una delle band più influenti degli ultimi 30 (se non 50) anni.

Pechè quando non riusciamo più a dare l'attenzione che vorremmo alla bulimica e sterminata produzione musicale contemporanea, non resta che fermarsi, guardare indietro e tornare ai cari vecchi punti saldi. Che è una cosa che, sono sicuro, Morrissey stesso approverebbe. 

 

 

Bonus:

We see lights – Hope you like The Smiths

 

venerdì, 25/11/2011

If my brain was a program

Il loro primo singolo Poisoned Apple Pie mi piaceva un sacco e non ho mai capito perchè il loro nome, anche undeground, sia sempre rimasto poco noto. Ora gli Atari da Napoli sono tornati con un nuovo disco, e ancora una volta il singolo che lo presenta è davvero notevole (e il video forse ancora di più). If my brain was a program sta da qualche parte tra i Postal Service e le cose meno chitarrose dei Phoenix, e se tutto il disco è così, direi che perchè diventino noti è solo questione di tempo.

 

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giovedì, 24/11/2011

Per poterti sognare

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mercoledì, 23/11/2011

Ma no, sto benissimo

(via)