mercoledì, 17/03/2010

Rialzati Bologna

Il concerto/reading di Enrico Brizzi insieme a Yu Guerra alla sua band di sabato scorso è stato assolutamente superiore alle aspettative. Mi aspettavo che Dio salvi Bologna fosse poco più che un divertissment musical-letterario con una locandina indovinata basato sulla tragicomica situazione politica della città, invece sullo stile delle performance on stage di Brizzi (che negli anni ha portato in giro spettacoli con altre band, come i Frida X o i Numero 6) mi sono trovato di fronte a uno spettacolo assolutamente ben fatto.

 

Base di rock solido e roccioso, un performer in grande forma, ottimi testi basati sul bellissimo La vita quotidiana a Bologna ai tempi di Vasco (se vivete o avete vissuto a Bologna e non l'avete letto fatelo ADESSO), l'eccezionale featuring di Steno dei Nabat sull'anthem Oi Laida Bologna, per un omaggio ad una città che ha visto momenti migliori ma che si può ancora rialzare. Si sa che da queste parti ci piace cantarcele e suonarcele quindi non sono sicuro che una cosa del genere funzionerebbe altrove; io, però, ho avuto il groppo in gola per buona parte della performance.

 

 

MP3  Enrico Brizzi e Yu Guerra – Rialzati Bologna

lunedì, 15/03/2010

Ga Ga GIF

Dopo l'equazione (RAH)² (AH)³ + RO (MA + MAMA) + (GA)² + OOH(LA)² di Bad Romance, Lady Gaga (imprescindibile padrona dello Zeitgeist musicale 2009/2010 detestata da metà degli autori di inkiostro e adorata dall'altra metà) è tornata con Telephone. Il clamoroso videoclip tarantiniano ormai l'avrete già visto tutti, e ne avete letto praticamente su ogni blog e sito web della terra; io, che vi voglio bene, mi limito a regalarvi una crisi epilettica grazie a questo set di GIF animate tratte dal video (trovato via). Party like its' 1996!

 

 

lunedì, 15/03/2010

Make your own kind of LOST opening credits

YouTube, croce e delizia del fancazzista, è una inesauribile fonte di perdita di tempo per chi guarda i video ma anche per chi, in modo più o meno amatoriale, li produce. L'anno scorso, in occasione del ComiCon, la ABC ha indetto un concorso che invitava i fan di Lost a produrre la loro versione dei titoli di testa della serie, rimontando immagini tratte da essa su un'altra musica e con uno stile diverso. Da allora la rete è invasa da decine di parodie, adattamenti a mash-up che periodicamente fanno il giro di siti e blog di mezzo mondo. La maggior parte sono fatti malino, alcuni sono brillanti e altri sono addirittura geniali per come riconstualizzano sequenze e inquadrature e trasformando la serie sull'isola più misteriosa della televisione in una sit-com, una commedia romantica o un medical drama.

 

Nei mesi io, come sicuramente anche voi, sono incappato in diversi di essi, ma solo recentemente sono entrato nel tunnel così tanto da trovarmi a scandagliare YouTube per non perdermene neanche uno. Questi i miei preferiti:

 

 

Lost meets Baywatch

 

 

 

Lost A-team

 

 

 

Lost – O.C. Style

 

 

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venerdì, 12/03/2010

E il baustellometro si impenna

Eccolo qua: da oggi è in rotazione in tutte le radio Gli Spietati, il nuovo singolo dei Baustelle che anticipa il nuovo disco I mistici dell'occidente (che esce il 26 marzo per per Atlantic/Warner) e Un romantico a Milano, il primo romanzo scritto dal cantante Francesco Bianconi (che esce il 30 marzo per Mondadori). Il primo è stato prodotto da Pat McCarthy (già con Madonna, U2 e REM) ed è introdotto da una citazione di Elémire Zolla, il secondo viene definito dalla sua scheda «La vita agra mezzo secolo dopo»: rassicurante vedere che il tasso di pretenziosità del tutto non è calato neanche un po'.

 

 

Io devo ancora farmi un'idea precisa, anche se al primo ascolto mi sembra un classico esercizio di stile baustelliano, forse un po' più orecchiabile e sanremese che in passato e con un testo più facilotto rispetto ai loro standard. A voi come sembra?

giovedì, 11/03/2010

La vita sentimentale nella lista della spesa

di

In ogni epoca bisogna tentare di strappare nuovamente la trasmissione del passato
al conformismo che è sul punto di soggiogarla

Walter Benjamin

 

 

 

 

 

Esselunga-a-casa è una cosa che prima non c'era. C'era la Conad dentro allo Shopping Center di Via Tuscolana, quasi dalle parti di Cinecittà. Un supermercato immemore, come tutti. L'esito delle tue passeggiate al neon e al freddo si condensa in carta termica rivestita da uno strato sottilissimo di emulsione colorante. Sbiadisce, dopo un po'. Si sa. Liste vertiginose di bibite, cianfrusaglie, acqua, prodotti da forno, frutta, verdura, derivati del latte, pasta di varia foggia, prodotti gastronomici pre-cotti e precipitati a temperature siderali, alcolici, agenti chimici sgrassatori, panni per la polvere, accendigas piezoelettrici, legumi in lattina – si srotolano ronzando sotto lo sguardo alienato degli astanti. Nessuno avrà cura di conservarle. L'oblio si manifesta, pigro, con una perfetta progressiva dissolvenza al bianco. La chimica è saggia: il tempo rosicchia il reagente. Ho provato a ripensarmi tra i corridoi del Conad, fatti di quel bianco abbacinante e finto di cui sono fatti tutti i supermercati più forniti. (E di cui è fatto l'oblio chimico). Non riesco a ricordare un solo prodotto, tra mille, prelevato da uno di quegli scaffali. Ho provato a ripensare anche al labirintico disegno dei corridoi dell'Alvi, ancora più in periferia, vicino al pratone di Torre Spaccata. Nulla. Una marca di caffè o di tovagliolo assorbente, un nome attraverso i doppi vetri spessi e appannati del banco frigo. Un detersivo per il bucato a mano (quando non avevo ancora la lavatrice) o una marca di biscotti. Ho ricordi domestici, certo. Dietro agli sportelli giallini c'erano cose, prodotti. Qualche nome mi è rimasto appiccicato alla retina. Le tenerezze al cioccolato, del Mulino Bianco, che piacevano tanto a uno dei miei coinquilini. Forse. I dati sono perduti.

 

 

Poi, a Milano, c'è l'Esselunga-a-casa. Vedi questi simpatici camioncini gialli col pomodoro rosso stampato sul fianco. Girano per le vie del centro, pieni di cose. Tu hai ordinato tutto dalla scrivania dell'ufficio. Non hai molto tempo. Milano è un cliché: il clima e l'Esselunga-a-casa aiutano a concentrarti sulla microeconomia. Niente neon, niente piastrelle bianche solcate da rotelle incerte. La pratica è virtuale ma sembra più tiepida. La potenza d'acquisto è ubiqua: casa, ufficio, iPhone. La consegna indolore (per € 6,90). Ma la cosa commovente è la memoria. Nella società virtuale, l'oblio è un orrore. I gesti lasciano segni indelebili. Quel commento da ubriaco lasciato sul blog di tizio è ancora lì, ottusamente resistente alla ragione del tempo. Quelle sciocchezze nutrite da qualche settimana di speciale solitudine sono lì, negli archivi di google, e lì, negli hard disk di sconosciute, e poi lì e lì e lì. Quel piccolo dolore svagato sta ancora là, ingigantito dalla morte del contesto. Il virtuale soppravive con arroganza alla realtà.

 

Ma la memoria atermica del supermercato online è commovente.

 

Dentro al mio account, le scritte sul monitor non sono per niente sbiadite. Tutto è come se fosse ieri – e invece è il 18 marzo 2006. L'ordine 6865441 trabocca di cibi insalubri da single (o, meglio, da insana relazione a distanza):

 

1 x Pringles Paprika sfogliatine di patate scatola 200 GR
1 x Pringles Sour Cream & Onions sfogliatine di patate alla cipolla scatola 200 GR
2 x Bertolli sugo con melanzane, peperoni e zucchine del mediterraneo 320 GR
2 x Barilla Sugo alle Olive con olio extra vergine di oliva vaso 400 GR
2 x Barilla Sugo all'Arrabbiata ricetta piccante vaso 400 GR
2 x Barilla Sugo al Pomodoro e Basilico vaso 400 GR
1 x Findus That's Amore Zuppa del Casale ortolana surgelata busta 600 GR
1 x Findus That's Amore Zuppa Tradizionale con orzo e farro surgelata busta 600 GR
1 x Findus Sofficini surgelati – melanzane e mozzarella 250 GR
1 x Findus 4 Sofficini surgelati – funghi e mozzarella 250 GR

 

Il sofficino fu una passione passeggera e tardiva. In tv viene servito a ragazzini e rettili sorridenti, ma a casa dei miei era, saggiamente, cibaccio. Il grosso della spesa di mia mamma si fa ai banchetti profumosi dell'ortofrutta, non sotto i neon. Il sofficino si adattava bene al primo inverno (tardo inverno) milanese: compatto, artificioso, moderatamente gustoso, rapido. Si prestava a sfrigolare d'urgenza in soccorso di eccessi alcolici. Ma era cibaccio – certa memoria non si cancella. I sughi barilla, invece, resistettero più a lungo. Passione più sofisticata e variegata: quello alle olive era appena passabile ma sapidissimo; l'arrabbiata ottimo; il pomodoro e basilico mediocre e presto eliminato. Le zuppe That's Amore ambivano, nel gruppo, al gourmet.

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mercoledì, 10/03/2010

Impronte si fa grasse risate con Spinoza

di

Conoscete tutti Spinoza. Come suggerisce la testata è "un blog serissimo" che raggiunge sublimi livelli di satira, un merce quanto mai rara e preziosa che consola dai guai quotidiani. A impronte digitali ieri sera abbiamo intervistato Stefano Andreoli alias Stark, che "fa vanto di essere direttore artistico, editor e responsabile del materiale pubblicato".

Per le sue operazioni di spericolato e catartico umorismo, Spinoza ha raccolto un nutrito staff di battutisti d'eccezione. E i risultati si vedono. Di recente son stati reclutati da Tetris su La7, dove anche stasera tenteranno la "mission impossible" di fare satira politica rispettando la par condicio. Qui potete vedere il video e le imperdibili reazioni di paludati ospiti e illustri editorialisti. E qui in versione audio i retroscena raccontati da Stefano.

 

 

 

Qualche perla recente da leggere o ascoltare:

 

 

«Approvato il decreto salvaliste. La Beghelli nega ogni responsabilità»
«Il Consiglio dei Ministri è durato 35 minuti. Poi la democrazia ha smesso di soffrire»
«Per rispetto della par condicio, il Tg1 dovrà dare anche notizie vere»
«Un lato positivo della par condicio: il Pd non è costretto a dire qualcosa»
«La Bbc è un servizio pubblico migliore della Rai. Ma non ha il bidet»
«Terremoto in Cile: forte rischio Bertolaso»

 

 

E infine un commento sull'ormai celebre furto di freddure da parte di Luca Barbareschi, parlamentare Pdl e uomo di spettacolo, che si è rivelato confermato  ignaro di ogni forma di copyright e copyleft:

 

| # | impronte digitali | I Commenti sono chiusi

mercoledì, 10/03/2010

Barbie Mad Men, ma senza di whisky e sigarette

Visto quanto sono brutte pensavo fosse una parodia; invece le Barbie Mad Men sono una realtà (anche se epurata di alcool e tabacco).

Tutti i dettagli sul New York Times.

| # | tv series, want it | I Commenti sono chiusi

mercoledì, 10/03/2010

Damien Rice, a volte ritornano

Non so se interessa ancora a qualcuno nè se dopo quella ciofeca di 9 interessa nemmeno a me, ma c'è in giro un nuovo pezzo di Damien Rice (dato per disperso dal 2006), dalla compilation appena pubblicata Music of ireland – welcome home.
Si chiama Under the tongue e non sembra male:

 

martedì, 09/03/2010

“Se abrieron las puertas del cielo que se escapó un ángel”

di

 

Non riesco a riempire il tempo che mi divide da un Darín pomeridiano su piccolo schermo, occhi a fessura stretta azzurra e qualche latina -sempre coi capelli lunghi- da quello di “Nueve Reinas”, “El Aura” (uh, Bielinsky) o “El Hijo de la Novia” (ancora Campanella alla sua prima nomination).
Il saluto a Retiro non mi emoziona poi tanto e mi infastidisce un poco, forse perché ora non credo che l’amore abbia molto a che vedere con lo struggersi per lo mezzo di un finestrino da treno, piuttosto con il continuo provocare di lei, o con quel –questa volta sì- romanticissimo modo di proteggersi e andare avanti, bilaterale e molto parallelo. Un po’ più vero di un paio di mani, immagini speculari non sovrapponibili, su un vetro appannato.
Lui scrive solo pezzi delle parole e lei aspetta, scadendo le proprie emozioni chiudendo e aprendo sempre la stessa porta. Bello, d’ora in avanti me ne porterò sempre appresso anche io una in legno.
Si fatica a definirne il genere, è drammatico, è thriller, è commedia, è un gran bel minestrone. Dopo un quarto d’ora inizi a renderti conto di quanto l’umorismo porteño possa divenire arrogante. Un po’ ridi, un po’ strozzeresti te ed i tuoi parenti stretti.
E siccome la storia inizia nei settanta ti pareva che non ci scappava pure la brutale ascesa sociale come bestia da regime? Sembra un po’ la risposta a quella non discussione che abbiamo avuto ad agosto, iniziata chiedendoci se in certi registi (io avevo appena deciso di non vedere più “Cordero de Dios” di Cedrón) i riferimenti alla dittatura nascessero da necessità vitale più che da sceneggiatura su carta.
La storia è corposa. Benjamín è in pensione, vuol fare lo scrittore, riapre –ovvio, senza aver mai chiuso davvero- il vecchio caso che di lui ne fa sempre tormento e finisce per rimettere insieme i frammenti di venticinque anni di vita e Argentina. È come tornare a casa e trovare niente cambiato.
Non che sia tutto un bene, eh.
Quelli di baires che si sentono sempre migliori di tutti, il lunfardo che sfiata da tutte le bocche ed il calcio che persino nelle lettere alla mamma riesce a chiudere il cerchio.
Francella lo adori nonostante non ti sorprenda nemmeno un po’ in quel ruolo. Racconta di amicizia da tutti i giorni, fatta di foto rovesciate e debolezze. Ti commuove la grandezza della recitazione di tutti, nessuno escluso, chi è trattenuto lo è per copione. Ti cattura anche ora, che "El Secreto de sus Ojos" neppure lo vedi, ma quasi lo riascolti solo.
Esistono ancora scene come quella enorme sopra-dal-sul-dentro del campo di pallone che ha la forza prima di sovrastare e poi di penetrare ogni cosa. E c’è un ascensore che cigola, un petto in una camicetta che ansima pesante, una pistola e nessuna parola.
Insomma, cadena perpetua un po’ per tutti.

| # | cinema, kulturkritik, namedropping, vuelvo al sur | I Commenti sono chiusi

martedì, 09/03/2010

«Le tette, a casa le hai lasciate?»

 

Buonasera, cari amici della notte di Inkiostro: siamo qui per chi è ancora sveglio, per chi non ha voglia o non può dormire, quando un 8 marzo vista l'ora è appena finito e un 9 marzo è appena cominciato.

A proposito: se proprio vogliamo trovare una ricorrenza riguardante le donne, tutta italiana, dobbiamo probabilmente lasciarlo perdere l'8 marzo.

Potremmo per esempio aspettare poco più di un mese e prendere la data del 28 aprile, giorno in cui nel 2009 fu resa pubblica l'uscita dell'ex first lady Veronica Lario sul "ciarpame senza pudore" delle liste Pdl per le elezioni europee. Di lì a pochi mesi sarebbero arrivate Noemi Letizia, Patrizia D'Addario e tutte le altre, in una catena di rivelazioni sconcertanti su minorenni alla corte del presidente del consiglio, ragazze immagine che girano filmati o trascorrono notti prezzolate in sedi istituzionali, candidature promesse più o meno in cambio di favori sessuali.

Passata l'estate (periodo più favorevole ai polveroni mediatici più pruriginosi), sarebbero arrivati nuovi scandali di altro e vario genere: a un anno di distanza dall'inizio di tutto, abbiamo constatato quanto significativi siano stati gli scossoni alla popolarità dei protagonisti (qualcuno ci ha anche guadagnato i galloni di rockstar). E anche mantenendo il discorso sul piano più ristretto della dignità delle donne, non sembra che ci siano state reazioni culturali granché efficaci a invertire l'imbarazzante trend in atto da decenni nel nostro paese.

Naturalmente sarebbe ingenuo ridurre a questione da Italietta il tema dello sfruttamento dell'immagine femminile nello spettacolo e nella comucazione in generale (tema peraltro vastissimo – e il qui presente non maneggia gli strumenti culturali necessari per addentrarcisi con piena cognizione di causa). Anche limitandosi alla musica e alla cultura pop, gli spunti sarebbero infiniti: ricordo di aver letto qualcosa in materia anche su queste pagine in passato. E una variabile importante è il comportamento delle stesse protagoniste del mondo dello spettacolo, a vari livelli (per una Amanda Palmer ci sono mille Rihanna pronte a sculettare come carne da macello, per dire).

Ciò premesso, mi sembra opportuno rilanciare anche qui il link al documentario Il Corpo Delle Donne (per quanto si sia ormai abbastanza diffuso in rete): la sua semplice visione, anche al netto delle riflessioni estetico-psicologiche della co-regista e co-autrice Lorella Zanardo sulla scomparsa delle donne come individualità dai media e sulla parallela scomparsa delle facce, è un'esperienza piuttosto forte. Una sorta di Videocracy più concentrato sull'uso del corpo femminile, non rivela niente di nuovo a chi ha un minimo di familiarità con il paese reale (quello la cui agenda politica e culturale è dettata da Striscia la Notizia e Amici Del Grande Fratello), ma le gallerie degli orrori che propone fanno comunque una certa impressione (per usare un eufemismo).

Gli auguri ce li meritiamo tutti quanti.

(il documentario dura 23' e si può vedere tutto intero a questo indirizzo, dove è disponibile anche in altre lingue: se preferite Youtube potete iniziare dalla prima parte qui sotto, e poi proseguire con la seconda e la terza)
 

 

Manic Street Preachers – Little Baby Nothing (video)

| # | kulturkritik, paese reale | I Commenti sono chiusi

martedì, 09/03/2010

Videoclip dell’anno

L'avete sicuramente già visto (da Livio -che talvolta scrive anche su queste pagine col nome Dedalus1– o da Enzo) ma non posso non postarlo. Band indie-pop pressochè ignota, canzone non esattamente indimenticabile, ma un video con un'idea così semplice da essere brillante e una realizzazione tecnica probabilmente fatta con pochi mezzi ma eccellente. Spingete play.

 

lunedì, 08/03/2010

In the mystery zone

Era da un po' che volevo scrivere qualcosa di The mistery zone, il mio pezzo preferito di Transference, il nuovo, bellissimo, disco degli Spoon. Volevo scrivere di come una canzone che parla essenzialmente di quello che potrebbe essere ma ancora non è e del moitvo per cui non possiamo farne a meno sia una volata tirata da una batteria inarrestabile, da un basso che la segue a ruota e da una chitarra singhiozzante cui manca sempre qualche istante per raggiungerli (quell'istante è una mistery zone, ovviamente). E' una canzone sulle possibilità e il loro fascino travestita da convenzionale pezzo rock, che con gli ascolti si svela come un puzzle delicatissimo e miracoloso con un arrangiamento incredibile e una produzione quasi ineguagliabile.

Le parole le ha trovate Matthew Perpetua (già capostipite dell'M-blogging e tra le migliori penne di Pitchfork) qualche giorno fa su Fluxblog:

What is a mystery zone?

1. It’s a liminal state. Neither here nor there, but on the threshold of something new. Everything is uncertain, opportunities abound. It’s exciting and terrifying.

2. It’s the period of time before you really get to know someone, but you’re aware of each other’s existence. You had no idea you’d be significant to one another. It’s back when all there was to it was attraction, curiosity, and possibility.

3. It’s everything that goes on in everyone else’s life when you’re not around, or when you’re lost in your own head.

4. It’s an alternate universe version of your life in which you made totally different choices.

5. It is the realm of the “information troll”.

6. It’s the moment before physical impact. What will it feel like?

7. It’s before you kiss someone, before you have sex with them. It’s all of the things you can’t know about a person just by talking to them, and everything you can glean by touching them.

8. It’s anywhere except for where you are or where you have been.

9. It’s the love you’ve never received, and the love you’ve never given.

10. It is whatever happens next. [#]

 

 

MP3  Spoon – The mistery zone

lunedì, 08/03/2010

La vita imita le peggiori high-concept rom-com

di

C'è un nuovo servizio in città.
Si chiama idump4u.com: per appena $10 telefonano al vostro partner, lo mollano per voi, registrano la chiamata e la pubblicano su Youtube.
 

Mi piace il tono strafottente con cui non fa il minimo sforzo di addolcire la pillola.

venerdì, 05/03/2010

Become a fan

Arte, a modo suo.

 

(via)

| # | wild wild web | I Commenti sono chiusi

venerdì, 05/03/2010

Re: quello che non si finisce a pensare pur di distrarsi dal fatto che viviamo in un Paese di merda

di

Se domandi in giro cosa significhi “Re:” nell’oggetto delle email, molti diranno: “reference” o “regarding”. Questa risposta è sbagliata e non ha senso perché ad indicare la “reference” del messaggio ci pensa già…..il campo “oggetto” medesimo. È lì apposta.

La risposta giusta è: “reply”, cioè “in risposta a”. Come del resto quando inoltri, in inglese “to forward”, un’email, nel campo assegnato all’oggetto viene automaticamente generata -prima non c’era!- l’abbreviazione “Fw:” o “Fwd:”.

Se invece inserita in una lettera (c’è chi ne scrive ancora), l’abbreviazione in questione allora sì che significa “reference”, cioè oggetto o argomento della fottuta comunicazione.

Certo, quelli dei client e delle webmail potevano anche immaginarsi che con quelle due regali lettere avrebbero ingenerato una certa confusione negli utenti, come se non fossero già abbastanza confusi su tutto il resto per conto loro. D'altra parte però, nei loro panni, come cazzo l'avreste abbreviata voi?

giovedì, 04/03/2010

Monsters and Marilyns

La vostra gallery di Flickr preferita dei prossimi 5 minuti: Monsters and Marilyns.

 

| # | futile e disdicevole | I Commenti sono chiusi

mercoledì, 03/03/2010

Le impronte digitali di Alessandro Gilioli

di

La settimana scorsa c'è stata la famosa sentenza Google – Vividown: tre dirigenti del motore di ricerca son stati condannati per violazione della privacy per aver diffuso "un video in cui un giovane disabile di Torino veniva vessato dai compagni di scuola". Una sentenza che afferma la responsabilità delle piattaforme sui contenuti inseriti dagli utenti e pone seri ostacoli alla libertà di informazione. Alessandro Gilioli, giornalista dell'Espresso e autore di Piovono Rane, il blog più influente in Italia, commenta la sentenza, parla di libertà di espressione, di web e politica a Impronte digitali ieri sera su radiocitta'fujiko.
Prima qualche link di commentatori:
• Alessandro Gilioli – Piovono rane
• la replica dei Pm del processo
Luca DeBiase
• Massimo Mantellini ManteBlog
• Elvira Berlingieri Apogeo

 

 

Ed ecco una trascrizione dell'intervista con Gilioli:

 

La notizia della condanna di Google ha fatto il giro del mondo e ha attirato molte critiche verso l'Italia. Il problema della tutela della privacy online però esiste: siamo solo noi italiani ad accorgercene oppure esageriamo?
Quella della privacy è una questione secondaria, la principale è: chi ha la responsabilità sui contenuti della rete? E' come se uno costruisce un muro, un altro scrive un insulto e il costruttore diventa coautore di quella scritta. E' vero che la piattaforma del web, che offe il servizio , guadagna dei soldi e quindi ha una corresponsabiltà, ma questa deve giocarsi nel rendere al meglio l'utente responsabile dei propri comportamenti. Qui sta la differenza tra una piattaforma di servizi e un editore di media.

 

 

 

Google è stato condannato per violazione della privacy ma non per diffamazione; la cosa lo avrebbe implicitamente inquadrato come editore e non semplice servizio di intermediazione. Questo vuol dire che chiunque sia un intermediario della comunicazione è responsabile per quello che passa sulle sue reti?
In attesa della pubblicazione delle motivazioni, la sentenza applica una legge emanata quando internet non esisteva. E ha quindi ha il problema di inquadrare una realtà nuova in strutture vecchie. Sancisce la responsabilità dei gestori di piattaforme verso contenuti inseriti dagli utenti, nonostante Google abbia fatto passare appena 26 ore dalla prima segnalazione alla rimozione del video. La legge dovrebbe invece stabilire che e come le piattaforme possono intervenire dopo la pubblicazione e non prima, altrimenti si soffoca la libertà di espressione e il web 2.0.

 

 

 

 

E' possibile immaginare una soluzione? Possono o potranno esistere metodi per garantire sia la libertà di espressione che la privacy delle persone, o siamo condannati a un eccesso in una direzione o nell'altra?
No. L'unica soluzione possibile oggi sarebbe quella umana, perché i software non bastano. Anche in Cina sono cyber-poliziotti a battere la rete e a censurare. Se fosse applicato per Google, youtube o anche un qualsiasi blog non premoderato, allora persone dovrebbero esser pagate solo per questo monitoraggio. Il che renderrebbe ogni piattaforma aperta, social network anti-economico e lo distruggerebbe.

 

gilioli03

 

 

Luca DeBiase mette in risalto la contraddizione: "le piattaforme, da Facebook a Google, sono strutturalmente poco propense a garantire la privacy, i loro modelli di business sono anzi proprio legati alla conoscenza di dati relativi alle persone per fini pubblicitari. D'altra parte, la diffusione di informazioni rilevanti su persone che hanno una funzione pubblica è un valore decisivo per la democrazia; e la possibilità che all'informazione partecipi anche la cittadinanza che non si occupa professionalmente di informazione è un valore di primissima grandezza per lo sviluppo della convivenza civile". Come si esce da questa contraddizione?
In questi giorni molti sostengono il principio "Google fa profitti con la pubblicità e quindi deve esser responsabile dei contenuti". E' una logica da vecchi editori: il problema non è Google ma la libertà di espressione nelle piattaforme aperte e la possibilità che imprese private siano interessate a crearle. Come si può fare? Basta che tra le condizioni d'uso ogni utente (che abbia un ip), sia consapevole di essere lui il responsabile civile e penale dei contenuti creati. Così ci sarebbe anche un deterrente grave.

 

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E' verosimile pensare che questi anni di straordinaria evoluzione tecnologica e libertà della rete stiano per finire sotto i colpi della regolamentazione e delle industrie tradizionali oppure la rete continuerà a trovare il modo di sfuggire alle vecchie categorie e oltre a ridefinire i nostri comportamenti quotidiani riuscirà a ridefinire anche le leggi nazionali e il business?
Spesso si dice "in rete son più bravi …", però oggi accedono alla rete anche utenti "tardivi", e non possiamo permetterci di creare un ulteriore "digital divide" tra esperti e non. Se no si finisce come in birmania, o altri paesi autoritari dove chi può riesce ad essere uno smanettone, e chi non può rimane escluso da uno straordinario strumento di libertà.

 

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In questo contesto come giudichi il nuovo testo del decreto Romani "depurato ma con dubbi" dicono molti commentatori?
Son contento che la mobilitazione online abbia costretto Romani a cambiare il decreto. Non è più proibizionista, ora è ambiguo. Dire che solo "i siti senza scopo di lucro possono uplodare video senza autorizzarione" significa escluderne molti, e la definizione "scopo di lucro" è molto vaga: un piccolo blog che fa 300 euro all'anno con gli adds pubblicitari ha "scopo di lucro"? E' per questa cifra paragonabile ad una televisione?. Mi sembra sia un decreto che, insieme ad altri provvedimenti (vedi decreto Pisanu), voglia disincentivare l'uso della rete attraverso non la censura ma la burocrazia. Burocrazia illiberale e antistorica.

 

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Negli ultimi giorni si è assistito a due manifestazioni politiche organizzate sul web. No Berlusconi Day e Sciopero Migranti hanno avuto un successo straordinario e sono la prova che anche da noi la politica, anzi una politica diversa si può fare sul web.
Si è passati da fase in cui si riteneva che l'attivismo in rete fosse sono virtuale e non reale. Il No B Day ha mostrato come è possibile l'incarnazione tra una pagina di facebook e una manifestazione di un milione di persone. O sempre una pagina su facebook sta guidando la protesta contro le bugie del direttore del tg1 Minzolini sul caso Mills, e 100mila firme sul web diventeranno cartacee e saranno portate a Minzolini.

 

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mercoledì, 03/03/2010

OK Go, web viral video superstars

Gli Ok Go ormai non possono più fare niente per convincerci di essere davvero una band e non un semplice gruppo di entertainer con uno spiccato gusto per i video stupidi e un ottimo staff di videomaker, quindi ormai non ci provano neanche più. Il nuovo video per This too shall pass (non quello di 2 mesi fa; questo è nuovo) è un domino strepitoso e vertiginoso, con un sacco di belle trovate e un piano sequenza straordinario. Non cambierà le vostre vite nè il vostro giudizio musicale sulla band (anche se questo pezzo non è malaccio, dai), ma se vi piace il genere vi farà ghignare di piacere.

Poi tra due minuti l'avrete dimenticato, e va bene così.

 

 

martedì, 02/03/2010

The Losties

[The Losties wallpaper, creato da Springfield Punx. E qui ce ne sono ancora altri in maggior dettaglio]

 

(via)

 

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martedì, 02/03/2010

La piaga sociale dei leghisti

Un Astutillo Smeriglia ispiratissimo su Comablog in Dalla parte dei leghisti:

Uno dei problemi più seri che abbiamo oggi in Italia è la massiccia presenza di leghisti, riconoscerlo non significa essere razzisti.
Si stima che siano oltre tre milioni i leghisti presenti sul territorio nazionale, concentrati soprattutto nelle aree industriali del nord, e il loro numero è in continuo aumento. È innegabile che la convivenza di questa gente col resto della popolazione non sia una cosa semplice; le incomprensioni linguistiche, le barriere culturali, le differenze di valori, idee e abitudini producono inevitabili attriti che sarebbe sbagliato minimizzare. Anche l’aspetto del leghista, con quel suo modo di vestire che a noi può sembrare zotico e i tratti somatici un po’ scimmieschi, ci porta istintivamente a vederlo con diffidenza, come una specie di barbaro arrivato da chissà dove, che con la sua semplice presenza minaccia di distruggere l’ordine sociale così faticosamente raggiunto. Certamente l’integrazione dei leghisti è un processo lento e faticoso, non è gente abituata a vivere in zone urbane densamente popolate, ciononostante deve restare l’obiettivo primario di ogni politica responsabile e razionale, sia essa di destra o di sinistra. Possono cambiare gli strumenti, ma non l’obiettivo. Certo è facile annunciare tolleranza zero e deportazioni di massa per racimolare qualche voto in più, ma prima ancora di chiedersi se ciò è morale (un leghista è pur sempre un essere umano, anche se tendiamo a dimenticarlo), bisogna anche chiedersi se conviene. [# – Continua]

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