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martedì, 10/10/2006

Young Team

Sarà il casio in levare, saranno i beat pigri come e più del solito, sarà il basso finto e gommoso o sarà che l’autunno si appropinqua; sarà quello che volete ma We made the team, nuovo, glacialissimo, singolo extra-album dei Radio Dept, mi sembra assai superiore a quasi tutti i pezzi dell’ultimo Pet Grief.


We Made The Team is the new mp3 single by The Radio Dept. The song has been a work in progress since july but the band´s recent visit to London inspired them to finish it and release it immediately. It’s a lazy skank, high on petrol fumes, scottish lager and cream tea. This autmn the Dept. will start recording their third album in Berlin and various South American cities, such as Lima and Sao Paolo. Stay tuned.


The Radio Dept –
We made the team (MP3)

lunedì, 09/10/2006

Puro genio

La puntata di South Park dedicata a World of Warcraft, il più celebre tra i Massive Multiplayer Online Role-Playing Game, è probabilmente la migliore di sempre. La trovate qua, intera e ovviamente in inglese.

lunedì, 09/10/2006

We art Brut

Tempo fa, forse ve lo ricorderete, avevo buttato là l’ipotesi -che aveva poi suscitato un certo dibattito nei commenti- che una grande canzone, se grande è, rende bene in qualunque forma e versione la si reinterpreti. Detto per inciso, non credo affatto che sia vero.
Quello che mi chiedo (e vi chiedo) oggi è un’altra cosa: una band, per essere davvero grande, deve essere brava anche a reinterpretare canzoni di altri e trasformarle in pezzi credibili del suo repertorio? E per fare ciò deve essere più fedele al proprio stile o più fedele alle versioni alternative evocate dalla canzone stessa? A queste due scuole appartengono infatti le cover incrociate firmate da Art Brut e We are scientists in occasione del tour insieme negli Stati Uniti.
Gli Art Brut, di per sè incommensurabilmente più bravi e originali dei compagni di palco, prendono il loro miglior singolo e lo trasformano in un proprio pezzo; risultato: un mezzo disastro. Il trattamento punk-rock banalizza la struttura musicale del pezzo e la voce di Argos stona con un impianto melodico che evidentemente non è il suo. Bocciati.
I We are scientists, invece, si rivelano assai più intelligenti di quanto si potesse pensare (e soprattutto di quanto chi, come me, li considera bravini e niente più potesse pensare), e sfornano una versione di tutto rispetto della title-track dei compari. E per farlo rinunciano in toto al proprio stile in favore di un’operazione brillante: quale modo migliore di trattare una canzone che esclama più volte «I can’t stand the sound of Velvet Underground» del trasformarla in un pezzo pienamente nello stile di Lou Reed e soci (epoca terzo disco, a occhio e croce)? Era semplice, forse, ma oltre alla buona idea c’è anche una realizzazione impeccabile. Assolutamente promossi.
Devo rivedere il mio giudizio sulle due band? O le cover non fanno testo?

Art Brut – The Great Escape (We are Scientists cover) (MP3)
We are scientists – Bang Bang Rock’n’roll (Art Brut cover) (MP3)

venerdì, 06/10/2006

Teste di limone

Erano gli anni ’90, e i soft drink alcolici erano ancora all’alba del loro attuale periodo di gloria. Niente Bacardi Breezer, Smirnoff Ice o Havana Loco: il pioniere dei soft drink alcolici era una bevanda al gusto di limone chiamata Lemonhead, spuntata fuori più o meno dal nulla senza nessuna griffe a sponsorizzarla nè, probabilmente, consumatori pronti ad affezionarsene (a me però piaceva). 
Dopo una manciata di anni (o di mesi) la Lemonhead è scomparsa, tanto che in rete è quasi impossibile trovare tracce che confermino che è davvero esistita.
Chissà se tornerà mai.

Erano gli anni ’90, e il grunge sconvolgeva le nostre brufolose adolescenze, raccontandoci storie in cui ritrovare il freddo della vita, e fornendoci camicione a scacchi di flanella per combatterlo. Più passavano i mesi, però, più scoprivamo che, andati i grandi nomi del genere, c’erano una serie di band che sposavano la lezione del grunge con il pop o il rock più classico; e scoprivamo che ci piacevano un sacco. Tra questi c’erano i Lemonheads, capitanati dal carismatico Evan Dando, il tipo di persona che cade sempre in piedi ed è in grado di tirare fuori sempre la canzone dolceamara che non ti aspetti.
Nel 2006 Evan Dando e soci (che -vabbè- sono cambiati nel mentre) sono tornati, pubblicando il primo disco a nome Lemonheads degli ultimi 10 anni. Un disco che promette e mantiene vigorose ballad chitarristiche tanto distanti dal grunge quanto dal nuovo mainstream alternativo (lo chiamano «indie», non so se l’avete mai sentito); un disco onesto che non sconvolge le coscienze, ma che contiene almeno una grande canzone, Become the enemy, che illustra il momento in cui le persone a cui teniamo di più diventano i nostri peggiori nemici (non so a voi, a me succede sempre).
E ci svelano che gli anni ’90, in realtà, non sono mai finiti.

The Lemonheads – Become the enemy (MP3)

[ Il 7 Novembre i Lemonheads saranno all’Estragon per l’unica data italiana]

venerdì, 06/10/2006

Il posto piu’ strano dove incrociare un blogger

A me questo qua sembra di averlo già visto da qualche parte…

giovedì, 05/10/2006

Italiani brava gente /1

Il 2006, finora, non mi era sembrata una grande annata per la musica indipendente italiana. A fronte di un 2005 segnato da un gran numero di uscite pesanti e letteralmente dominato da piccoli fenomeni come Offlaga Disco Pax e Amari, il 2006 se l’è presa comoda e mi ha fatto temere per il peggio. Nell’ultimo paio di mesi, però, mi sono imbattuto in una serie di produzioni nostrane, più o meno recenti o più o meno imminenti, che mi hanno assolutamente fatto cambiare idea.

Nuccini!Matters of love and death (2nd rec)
L’esordio solista di Corrado Nuccini (in arte solo Nuccini!, con tanto di punto esclamativo), già chitarrista dei Giardini di Mirò, è nientemeno che un disco hip-hop. Eppure dentro c’è di tutto, dal più classico post-rock delle prime produzioni della band madre all’indie laterale tipico di Why?, ad atmosfere cinematiche un po’ crucche degne del miglior Nitrada. Il risultato sta dalle parti dell’hip-hop colto di scuola Anticon, e scusate se è poco. 
Tanto ambizioso da rischiare di sembrare pretenzioso (questa la maggiore critica che gli è stata mossa da molti recensori, che in larga parte non hanno apprezzato), Matters of love and death è invece riuscito a conquistare persino me, che con l’hip hop normalmente non vado affatto d’accordo. Una questione di ricchezza di sfumature e attenzione ai particolari, probabilmente.

Nuccini! – Your father’s head (MP3)
Nuccini!The dinosaur, the monkey, the breakdance (MP3)

Fr Luzzi Happines is an overestimated value (Arab sheep)
Era molto, troppo tempo che lo stivale non ci regalava una cantautrice degna di questo nome; così quando qualche mese fa mi sono imbattuto nel disco di Francesca Luzzi, anima e voce del progetto Fr Luzzi, non credevo alle mie orecchie. Una voce calda e incredibilmente matura, arrangiamenti essenziali ma curatissimi e una manciata di ottime canzoni per un disco di folk-pop acustico di livello davvero alto. Che strappa applausi a scena aperta quando le canzoni si tingono di bossa, come nella opener Human Race, un pezzo che è finito in tutti i nastroni della mia Estate e che, fossi in voi, non mi lascerei scappare per nulla al mondo. Un lavoro estremamente promettende, e assolutamente di respiro internazionale. Suzanne Vega, Beth Orton e Isobel Campbell sono avvisate.

Fr Luzzi – Human Race (MP3) !!!
Fr LuzziPearls before swine (MP3)

[To be continued]
[Nei commenti favorite pure pareri e suggerimenti]

mercoledì, 04/10/2006

I assure you we’re open

Il primo impulso, appena uscito dal cinema, è stato di difenderlo. Un’excusatio non petita che la dice lunga, dettata con ogni probabilità più da certo inossidabile affetto nei confronti del primo episodio che da un reale apprezzamento verso il secondo. Eppure, nonostante già sulla carta abbia tutte le caratteristiche del film indifendibile (il sequel, 10 anni dopo, di un film girato con due dollari da degli sconosciuti, in breve diventato un cult in tutto il mondo nonchè uno dei film simbolo degli anni ’90? Suvvia), Clerks II non ha davvero bisogno di essere difeso. E’ il miglior seguito di Clerks che si potesse girare, e chiunque sperasse in qualcosa di diverso probabilmente conosce abbastanza l’originale nè ha presente la produzione più recente di Kevin Smith.
E’ buffo perchè anche a me, come a Max, è subito venuta in mente la metafora della rimpatriata 10 anni dopo; invece di vedere il bicchiere mezzo vuoto del «compagno scemo di liceo che continua a fare sempre le stesse battute» e delle «persone una volta minimamente sagaci che sacrificano il loro acume sull’altare della consuetudine», però, sono stato portato immediatamente a vederne il lato positivo. Ovvero quello delle care, vecchie, rassicuranti, cose che non cambiano mai. Perchè ad andare avanti guardando indietro non si può che finire a stare fermi; e non è detto che sia un male. Per eludere ogni muccinismo da post-trentenni con un’abbondante dose di demenzialità e un pistolotto finale talmente fuori posto da risultare esilarante quanto il resto del film stesso. Perchè l’unico modo per onorare lo spirito di cazzeggio dell’episodio originale è proprio quello di fare un film esattamente come il primo, che ignora ogni mutata condizione e ogni pretesa di innovazione od originalità in favore di un caro vecchio triangolo amoroso intriso di volgarità, citazionismo a buon mercato e sesso interspecie.
Evolversi, qualche volta, è un crimine. Qualche volta, solo qualche volta.

martedì, 03/10/2006

Best Pitchfork review ever

E’ quella del disco dei Jet, pubblicata ieri. Dateci un’occhiata e non ne rimarrete delusi. O forse sì, ma almeno avrete qualcosa in più di cui parlare con gli amici.
[fa il paio con la già segnalata recensione dell’ultimo dei Nine Inch Nails pubblicata l’anno scorso da TinyMixTapes. Questa però è più efficace]

lunedì, 02/10/2006

A ciascuno il suo

C’è chi si commuove riguardando vecchi film. Chi con le foto che testimoniano il tempo che passa. Chi rileggendo tutte le lettere scrittegli da una certa persona negli ultimi 20 anni, e chi le e-mail che in qualche anno hanno portato da un «Come ti chiami?» a un «Non voglio vederti più». Per qualcuno sono i dischi della vita, in ordine cronologico. Per qualcun altro sono le serie tv, dall’infanzia a ieri sera. C’è chi rivede il corso della propria vita attraverso i libri che ha letto. E a qualcuno vengono gli occhi lucidi al brivido dei vestiti che non gli entrano più.
A ciascuno il suo. Io, per esempio, quasi mi commuovo guardando questa bella gallery con l’evoluzione delle interfacce grafiche dei computer (dei desktop, in particolare), dal 1984 ad oggi.
Sono senza speranza, lo so.
[Ne mancano un sacco, sì. Versione a prova di geek ipercompletista qua

lunedì, 02/10/2006

Indie is a four letter word

Che noialtri si sia un segmento molto appetibile (e, se mi consentite, facile preda) per il marketing già si sapeva. Che certe etichette non significhino più da tempo quello che significavano anni fa è roba scontata. Che spesso e volentieri i gruppi che suonano negli stereo delle nostre camerette finiscano direttamente in heavy rotation su Mtv è una cosa che non fa più notizia. Ed è così che, con una sana -ennessima- scrollata di spalle, accogliamo la notizia che nientemeno che la CNN ha dedicato uno speciale alla scena indie: Inside the indie scene. C’è ancora qualcuno che ha la forza di scandalizzarsi, prendersela, o anche solo di stupirsi?

venerdì, 29/09/2006

Questo triste mondo malaaaato

Oggi inkiostro diventa come la (ex) svergognata colonna blu di Repubblica (cit. – a proposito: Delio, che fine hai fatto?):

+ Bambino di 3 anni compra auto su internet.

+ Altro che chiavi, per mettere in moto la macchina si può usare anche un cane che ha inghiottito un tag RFID. Finchè dura. (via)

+ In Germania i simboli nazisti sono vietati. Anche se all’interno di simboli anti-nazisti.

+ Tette rifatte in aeroporto? Accomodatevi al controllo di polizia, perquisizione speciale in arrivo.
[e tutto per colpa di quelli con le bottiglie di Gatorade]

+ Del tizio che ha chiesto un passaggio a una volante, che lo ha poi fermato a causa della marjuana che aveva in tasca non vogliamo parlare?

+ Ma non ci sono modi meno complicati per tentare di uscire prima dal lavoro (per poi, peraltro, ritrovarsi in galera) del far pubblicare un finto necrologio del figlio della propria fidanzata sul giornale?

venerdì, 29/09/2006

Airbag ricomincia dalla fine

Dopo la pausa estiva e le dirette estemporanee dallo studio alla Festa dell’unità (qualcuno magari si sarà anche imbattuto nell’intervista ai Perturbazione) stasera parte la quarta stagione di Airbag, la trasmissione radiofonica che il sottoscritto si pregia di condurre insieme al socio AndreaNP sulle frequenze di Radio Città Fujiko a Bologna e dintorni.
Quella di stasera sarà l’ultima puntata della versione classica di Airbag, equamente divisa tra novità e monografia tematica random; dalla settimana prossima si cambia (quasi) tutto e si passa a una nuova formula ancora tutta da scoprire. Per questo motivo l’airbagrafia della serata avrà come tema…la fine. Una roba da manuale, praticamente.
L’appuntamento, come al solito, dalle 21 in poi sui 103.1 MHz in FM a Bologna o in streaming ovunque vogliate. 

giovedì, 28/09/2006

Art Attack

Fa parte del gioco, ma negli anni mi sono sempre imbattuto nei lavori di Bansky senza sapere che fosse (e chi fosse) Bansky. Ci ha pensato un ottimo post di NicoleDiver a spiegarmelo, e spiegarmi i suoi mille volti, dalla stencil art più brillante e guerrigliera che ci sia in giro alle grandi opere remixate e sostituite/aggiunte nei musei, dai bellissimi squarci sul muro Palestinese, alla recente sostituzione di 500 copie del disco di Paris Hilton con una feroce versione dalla grafica ritoccata.
Indispensabile spulciare la sua voce su wikipedia e farsi un giro sul suo sito.

giovedì, 28/09/2006

Il destino e’ segnato

Le 10.000 ragioni per cui la civiltà è spacciata. Sono ancora poco più di 4400, ma ognuno può aggiungere la sua (senza filtri, pare…e si vede).
Solo tra le prime 100 ci sono Paris Hilton (#1), le McChurches (#10), il bukkake (#14), il fatto che l’acqua costi più della Coca Cola (#25), le infradito (#36), il Comic Sans (#56), ratemypoo.com (#62 – non lo linko, dai), la serie The faboulous life of di Mtv (#86), e i siti come il suddetto (#37).
Se dovessi aggiungere la mia, non saprei davvero da dove cominciare. Forse da Sandro Bondi.

mercoledì, 27/09/2006

Evidentemente non abita neanche a New York, eppure

Immagino detesterà essere citata su queste pagine (che sono probabilmente un ottimo esempio di molte delle cose che odia), ma non si può non segnalare -senza una certa, forse malsana, soddisfazione- che Miss Violetta Beauregarde, già nota nelle vesti della prima (ora ex?) Suicide Girl italiana Aiki, qualche giorno fa è approdata nientemeno che sulle pagine del New York Times.
Violetta (ottima intervista di un paio di anni fa firmata De Luca qui), che sul proprio myspace dichiara tra le sue influenze artistiche «donato bilancia, erika e omar, napalm death, alessandro furlan e paolo bertocco, la tigre arkan, anal cunt, dr kevorkian, reign in blood, exume to consume» ha da poco pubblicato il suo secondo disco Odi Profanum Vulgus Et Arceo, il solito sapiente delirio electro-punk-industrial-hardcore-noise e via andare, che gode nel farsi odiare, e che forse anche per questo finisce per impressionare non poco. 
Nell’articolo, intitolato The universal language of musical psychodrama, Violetta viene accostata per intensità a Bonnie Prince Billie e agli Xiu Xiu, e strappa al recensore parole piuttosto lusinghiere:

She’s a little like Lydia Lunch was long ago. The quality of Miss Beauregarde’s disdain is pure and powerful; it inspires her to invent. And anyone so vehement about proclaiming both her own ineptitude and her audience’s is bound to be better than she lets on.

Miss Violetta Beauregarde – The umbearable lightness of a farm tractor (MP3)

mercoledì, 27/09/2006

Unita’ di archiviazione alla seconda

[La Floppy Disk Bag. Ci sono anche le istruzioni per costruirsela]

martedì, 26/09/2006

DisServizio Postale

La società dell’informazione, il marketing virale, la diffusione della musica dal basso, i dischi che arrivano alle orecchie degli ascoltatori senza neanche essere stati pubblicati (o addirittura essere finiti): c’era da metterlo in conto che prima o poi succedesse anche questo.
Qualche settimana fa sugli m-blog di mezzo mondo (il mezzo mondo in cui gli m-blog esistono, visto che nell’altro mezzo mondo hanno ovviamente preoccupazioni ben più serie) ha cominciato a circolare un presunto nuovo demo dei Postal Service. La premiata ditta Gibbard e Tamborello, tra le prime band a diventare beniamine della rete, ormai più di 3 anni fa, è da qualche tempo al lavoro per dare un successore al fortunatissimo Give up, e la notizia sembrava credibile, così come sembrava credibile il sound della canzone, The importance of being.
Credibile ma non esattamente esaltante: da un lato decisamente troppo in linea con le vecchie produzioni della band, dall’altro inficiata da un cantato poco ispirato (interpretato non dal solito Gibbard ma da Tamborello), da una  melodia assai ripetitiva e da una generale atmosfera sciatta per nulla all’altezza della qualità a cui hanno abituato, anche separatamente, i due titolari del progetto. La cosa, associata all’assenza di segnali forti sulla provenienza dell’mp3, ha cominciato a suscitare dei dubbi sull’autenticità della segnalazione, portando lo stesso blog che aveva segnalato l’mp3 per primo (Good weather for airstrikes) a dedicare diversi post alla questione.
Qualche giorno fa, finalmente, Tamborello ha tolto ogni dubbio quando, interpellato da Mtv, ha risposto
 "Someone showed me that song yesterday … it actually has nothing to do with me or Ben," he wrote. "I guess it’s just someone playing a joke. I have no idea who it actually is."

Postal Service (FAKE) – The importance of being (demo) (MP3)


Confronta:

Postal Service – We will become silhouettes (MP3)

lunedì, 25/09/2006

And the winner is

Mentre nel corso del weekend il sottoscritto concorreva per premi quali ‘Miglior intonatore dei versi di No fit state al concerto degli Hot Chip’, ‘Autore del commento più acido nei confronti della fighetteria dei locali milanesi che giocano a fare quelli indie‘ e ‘Persona più orgogliosa del mondo all’atto di entrare in possesso di una maglietta originale di Weekendance‘, pare proprio che questo blog sia stato eletto miglior blog musicale italiano del 2006. Quantomeno per quanto riguarda i lettori di Macchianera, e quantomeno all’interno della ristretta e per nulla rappresentativa rosa di blog candidati all’ambìto Macchianera Blog Award, fattori che ne riducono notevolmente la portata ma ne accrescono la controversia, e quindi, inevitabilmente, l’esclusività. Per questo motivo oggi il sottoscritto parlerà di sè esclusivamente in terza persona, come Ravanelli. E per lo stesso motivo da domani smetterà completamente di scrivere di musica, (un argomento da sfigati), e convertirà il proprio blog in un contenitore di post a sfondo sessuale. Per l’anno prossimo si punta al Macchianera Blog Award come Migliore blog erotico. 

AAVV – Cerimonia di premiazione Macchianera Awards 2006 (MP3)
[Ok, lo ammetto, non l’ho ascoltata. Tra l’altro è lunghissima. Poi me la raccontate?]

Macchianera Blog Awards 2006 –
Tutti i vincitori (link)
[E pensare che Chuck Norris non ha vinto neanche un premio. Sarà davvero arrabbiato]

venerdì, 22/09/2006

Tune your Zune

Si chiama Zune, esce a Natale ed è l”iPod Killer. E porta nientemeno che il marchio della Microsoft. Riuscirà l’azienda  meno cool del pianeta a spodestare il dominio della scatoletta di titanio bianco più amata da grandi e piccini?
Alcuni indizi, forse per la prima volta, farebbero quasi pensare di sì. C’è uno schermo grosso il doppio di quello dell’iPod in cui forse guardare un film comincia ad avere un senso. C’è il wi-fi, che promette meraviglie (che -si spera- il DRM non infangherà), come la possibilità di scambiarsi musica e film con un click e senza fili o di creare delle instant-micro-radio personalizzate. C’è un design forse non esattamente sexy come quello dell’iPod ma non troppo lontano dalle sue linee morbide e stilose. C’è dietro una strategia di marketing all’avanguardia, gestita dallo stesso team che ha creato dal nulla l’XBOX e gli ha permesso di farsi spazio nell’affollato mondo delle console, che flirta con il mondo indie (con la Sub Pop, per la precisione), vanta come punti di riferimento blockbuster del web 2.0 come MySpace e YouTube e pare saperla lunga. E se ci si mette pure l’autorevole Gizmodo a spiegare Five reasons why the Microsoft Zune may succeed, forse questa volta ci siamo.
Voi che dite? Lo Zune ha speranze di avere successo? O l’iPod è destinato a rimanere il dominatore incontrastato dei player portatili ancora a lungo?
[ulteriori dettagli su questo articolo del Seattle Weekly e un po’ ovunque in rete]

giovedì, 21/09/2006

Books are like a jigsaw

 

[Puzzle Bookshelf. Tutti i pezzi a posto, almeno fuori.]

mercoledì, 20/09/2006

You give miles and miles of mountains and I’ll ask for the sea

Il sottoscritto si accoda a Lonox nel manifestare le sue perplessità nei confronti di 9 crimes, nuovo singolo di Damien Rice appena diffuso dalla sua etichetta 14th floor records. Una ballata molto classica per piano, violoncello e lisahannigan (ormai uno strumento al servizio di Rice, pare), che annoia presto e non mantiene nulla di quanto promesso dai carichissimi live o dagli EP più recenti del cantautore irlandese. Una bella canzone, per carità, ma quasi ogni pezzo di O (o degli EP) è in grado di superarla per forza, originalità e atmosfera. Speriamo in meglio per il disco intero, 9, che conterrà 10 tracce ed uscirà il 6 Novembre. Tutti gli altri dettagli sempre su Lonoise.

Damien Rice – 9 crimes (MP3)

mercoledì, 20/09/2006

M-bloggo ergo sum

Cos’è davvero un m-blog? Cosa spinge un utente a tenerne uno?
Lunga e interessante riflessione parasociologica del sempre straordinario Marathonpacks.

Blogs aren’t close to being responsible for any sort of sea change in the music industry—they’re much too small to take credit for that—but it’s important to note that they are reflective of the current, confusing, up-in-the-air state of affairs. They’re indicative of a new agency possessed by music fans, and the desire of many to (symbolically) make their presence known to (theoretically) whomever would like to read and listen. So, I suppose I’d urge those of you with a propensity toward browsing music blogs to take a step back, put on your ethnographic glasses for a moment and look at them for what they are: expressions of the personal tastes of a slim demographic group of mostly dudes, merged with the unique (and definitely problematic) materialism of the Web, that give interesting insight into not only the prevailing (and short-lived) indie-rock zeitgeist, but also into what can go into comprising an online “identity.”

martedì, 19/09/2006

Guardo un attimo online se e’ il caso di stendere i panni

Ma tu dimmi se uno deve venire a scoprire nientemeno che da Wired (che in merito non lesina gli inevitabili commenti sarcastici) di un servizio fondamentale come Stendibiancheria.net, il sito che grazie al fantascientifico indice di bucato ha la missione di consigliare ogni giorno agli abitanti di varie città in Italia e in Europa quando stendere ad asciugare in tutta tranquillità i propri vestiti senza che il vento o la pioggia ne mettano a repentaglio la sicurezza. L’avanguardia la si vede dalle piccole cose.

martedì, 19/09/2006

Forever tu rimarrai Brandon Walsh, Beverly High

 

Tutta la mia gratitudine ad Enver per avermi fatto scoprire questo gioiellino firmato dai Blume, band fiorentina di belle speranze che questa volta ha deciso di declinare il suo valido elettropop crepuscolare in salsa di divertissment, dedicando una canzone al protagonista dell’indimenticato principe dei teen-serial anni ’90. Una gran ballata sul tempo che passa, che, nonostante il soggetto a dir poco suicida, riesce sapientamente a tenersi lontana dal grottesco e finisce per essere una bella canzone autenticamente malinconica. E dannatamente appiccicosa.

 

Blume – 90210 (MP3)

lunedì, 18/09/2006

May your shade be sweet

Giusto per darvi un’idea dei livelli astrali di glamour che è in grado di toccare il tenutario del presente blog, candidato diqquà e linkato dillà, il momento più bello del mio weekend è stato guidare in mezzo al nubifragio lungo la A14 ascoltando gli Sparklehorse a tutto volume e pregando che la Società Autostrade (si chiamava così, una volta) quest’anno avesse deciso, per una volta, di non tagliare la voce dei costi relativa alla spesa in asfalto drenante. C’è questa canzone che si chiama Shade and honey (che era già uscita anni fa nella colonna sonora di un film che non ho visto, cantata da uno degli attori; non da Lou Barlow, però, che pure recitava nel film), che avrò ascoltato di fila circa 10 volte, perchè se una delle auto che mi superavano ai 190 si fosse trovata a sbandare e i suoi pneumatici Bridgestone avessero perso la tenuta di strada, mi sembarava un pezzo particolarmente bello per morirci su.
[Non li faccio spesso, pensieri del genere. ma quando capita sono estremamente dettagliati, tipo con la sensazione fisica dello schianto e il momento interminabile in cui ti rendi conto che i giochi sono fatti. E con le immagini del funerale, il dettaglio di tutti i presenti e gli assenti, chi piange e chi no, chi ha tirato fuori qualche scusa per non venire e chi invece era meglio che se ne stava a casa, cose così. E’ talmente un clichè che a indulgere in pensieri simili uno non si sente neanche in colpa, ammesso che debba.]
Poi ha smesso di piovere. Sono stato distratto da certi pensieri su un progetto di lavoro, ho cambiato disco, e ho preseguito verso casa dei miei.
Ogni volta che vado a trovare i miei per il weekend, e mi ritrovo nella casa in cui sono cresciuto, nel paesello in mezzo alle colline che odorano di erba bagnata, molte delle mie certezze vacillano. Finisco per concludere che l’horror vacui di cui è pervasa la società occidentale, e in particolar modo le sue zone più urbanizzate, sia un’enorme stronzata, e che annoiarsi alla fin fine non sia poi così male. Mi vengono desideri assurdi tipo avere una famiglia, io che di solito faccio patologicamente fallire tutte le storie vagamente sentimentali che ho a causa di una malsana tendenza alla perdita di interesse e/o alla scarsità d’impegno. Mi viene voglia di avere degli animali, o almeno delle piante, o comunque qualcosa da accudire. Mi viene voglia di un lavoro pratico e faticoso, tipo taglialegna, come in un qualunque film americano in cui il protagonista fugge dalla città per ritirarsi in un ranch di un’anonima cittadina del Michigan. Mi viene voglia di mettere in pratica quasi tutte le cose che compongono il luogocomune fuga-dalla-città, se non altro per provare l’effetto che fa. Poi, quando riparto, mi passa. Perchè alla fine riparto sempre.
Anche al ritorno, in autrostrada, pioveva fortissimo, e le Audi mi superavano ai 190 mentre ero incastrato nella seconda corsia in mezzo a una carovana interminabile di camper. Anche al ritorno ho ascoltato gli Sparklehorse, cercando di concentrarmi sulle sfumature pazzesche che Linkous riesce a tirare fuori dai suoni di batteria invece che sullo stridore delle gomme e sul tonfo secco che si sente da qualche parte a metà del collo prima che la carrozzeria inizi ad accartoccarsi. Ci sono riuscito abbastanza bene.
Quando sono arrivato a casa, però, continuava a piovere.

Sparklehorse – Shade and honey (MP3)