ottobre 2008

venerdì, 31/10/2008

Art is always contemporary

di

Quando avevo ancora un blog c’era un rubrica molto amata era quella in cui confrontavo arte antica e arte contemporanea rimarcando le somiglianze tra opere realizzate da artisti diversissimi e mostrando come ci sono lunghi fili tirati tra secoli e continenti. Sono influenze, suggestioni che ogni tanto riemergono, mai coincidenze.
Vorrei confrontare una ormai leggendaria installazione dello Studio Azzurro (loro sì che erano fighi mica quel cerebroleso di Cattelan) del 1984 Il nuotatore va troppo spesso ad Heidelberg (The swimmer) con La tomba del tuffatore, del 480-470 a.c. (Paestum, Museo Nazionale).

L’installazione più nota dello Studio Azzurro è il "Nuotatore" del 1984; in un grande ambiente sotterraneo in cui è stata costruita una piscina attraversata da una serie di monitor scorre l’immagine di un nuotatore. Lo spettatore che si trova all’interno di questa piscina assiste al va e vieni instancabile del nuotatore che attraversa gli schermi in successione. Nell’incessante andare e venire del nuotatore da un bordo all’altro della piscina, la ripetizione del movimento diventa ossessiva. Sul primo momento narrativo, ampio e disteso, quasi ipnotico, lungo l’intera fascia di monitor, si sovrappongono cento frammenti episodici, limitati ciascuno ad un solo monitor. Lo spettatore dovrà ricomporre le varie tessere della storia innescata e appena suggerita, chiamato ad investire l’intero patrimonio del suo immaginario. La sua condizione non è più quella dell’osservatore che assiste ad una rappresentazione, ma quella di vero e proprio attore, che agisce all’interno del racconto e ne decide lo sviluppo.

Nel video singolo, posto in testa alla "video/piscina", viene proiettato una sorta di film che propone sequenze di orologi segnanti differenti ore: ricordano i cronometri circolari che si usano nel corso delle gare di nuoto, ma in realtà sono manifestazioni evidenti dell’impossibilità di definire e stabilire il tempo di percezione, dell’opera e dello spazio.
Il "Nuotatore", diversamente dagli altri lavori dello Studio Azzurro, non è un’opera interattiva. Ma lo è invece lo stesso. Se spostiamo lo strumento della fruizione dal corpo all’occhio, ci accorgiamo che sono le molteplici possibilità di lettura a rendere interattiva quest’opera, e tutte le opere d’arte. "La Battaglia di San Romano" di Paolo Uccello, ad esempio, ha cambiato di significato, e quindi anche virtualmente di forma, grazie alle parole di Bernard Berenson che ci vide "una mischia di automi improvvisamente bloccatisi", quindi lo Studio Azzurro per filmare "il totale della battaglia", da quella frase del celebre critico ha trovato lo spunto per il proprio lavoro.

La tomba del tuffatore, è una delle opere dell’arte antica che mi ha più affascinato quando ancora studiavo all’Università. La figurina di questo antichissimo tuffatore mi è sempre sembrata anziché bloccata nel sarcofago estremamente viva e dinamica. Come se l’artista fosse riuscito a catturare l’anima di questo atleta. Nel sarcofago del tuffatore l’artista ha fissato un istante, il momento del tuffo dell’atleta, simbolo del passaggio dalla vita alla morte dice la didascalia sul mio libro, ma forse c’è qualcos’altro, qualcosa in più che non è facilmente descrivibile e che dà un fascino misterioso a questo pezzo.
Sia l’installazione dello Studio Azzurro che il sarcofago del tuffatore esprimono, a mio avviso, quello che è uno dei desideri più grandi dell’essere umano e cioè controllare il tempo. Per lo Studio azzurro questo si realizza spezzando in tanti monitor l’azione del nuotatore nella volontà di non perdere neanche un movimento, neanche un secondo di questa nuotata, mente nella tomba è fissato un solo istante, la tensione atletica tra il salto e l’entrata in acqua.

venerdì, 31/10/2008

Wild Wild Zen

Non c’è niente di meglio del nuovo video degli Zen Circus (in anteprima assoluta su questo blog) per fare una pernacchia ad Halloween. Wild Wild Life è una cover dei Talking Heads, ed è il terzo singolo estratto dal brillante Villa Inferno, sottovalutato opus magnus della band pisana composto e suonato insieme a Brian Ritchie dei Violent Femmes e pubblicato da Unhip Records. Il video è diretto da Filippo Francione e prodotto da zimbrAVideo.

 

Che c’entra Halloween? Con la canzone e il video, poco o niente. Gli Zen Circus, però, torneranno a calcare il palco del Covo domani sera, il giorno dopo Halloween, per un’ingombrante serata post-festiva in cui probabilmente buona parte del pubblico che normalmente affolla il club di Viale Zagabria sarà a casa impegnata a smaltire la sbronza della sera prima.

Io invece me ne frego di Halloween, stasera sto a casa o vado a bere una birra tranquilla in centro, e tengo le energie per domani sera; visti i travolgenti live set a cui ci ha abituato la band toscana (forte di un repertorio assai vasto e di una innata capacità di tenere il palco rarissima in Italia) ce ne sarà bisogno. A seguire, in pista grande, il sottoscritto mette un po’ di dischi insieme ad Art Compagnoni. Boicotta Halloween, vota Zen Circus.
[o almeno fatti entrambe le serate]

 

The Zen Circus – Wild Wild Life (MP3)

 

giovedì, 30/10/2008

Matte’s CMJ Marathon report / 1

di

Tempo fa, Ink mi invito’ a collaborare sul blog che state leggendo. Dopo circa tre mesi persi a scegliere un nickname su splinder e altri quattro a trovare qualcosa da dire, ecco finalmente il pretesto: la CMJ Music Marathon che si e’ svolta a NY la settimana scorsa.
Nata nel 1980, la CMJ e’ una rassegna in cui oltre un migliaio di artisti piu’ o meno emergenti presentano il proprio materiale a un’itinerante massa di fan, musicofili, giornalisti, bloggers, poseurs e presenzialisti vari, che per cinque giorni zompettano da un posto all’altro di Lower Manhattan e Brooklyn (clubs, bars, cafes, negozi, open spaces, case, cantine, giardini e parchi) alla ricerca disperata della next big thing. Quello che segue e’ un resoconto dei miei cinque giorni di poco sonno, molto alcol e tanta musica.

 

 

 

Martedì

Parto col primo dei tre showcases di BrooklynVegan alla Music Hall of Williamsburg dove vedo The Sammies, Shearwater, Ponytail e Passion Pit. I Sammies dal vivo sono piacevoli, anche perche’ a tratti paiono una tribute band dei Replacements, ma a risentirle le canzoni scivolano via un po’ anonime. Gli Shearwater, altra faccia degli Okkervil River, mi sono piaciuti parecchio, molto di piu’ che su disco, dove non mi pare riescano a catturare alla perfezione l’intensita’ del cantato di Jonathan Meiburg e la ricchezza dei suoni (avro’ visto almeno dodici strumenti diversi, ad alcuni dei quali non sono nemmeno in grado di dare un nome). Incuriosito dal disco e dal chiacchericcio di tutti quanti, i Ponytail mi sono parsi buoni nel complesso, a tratti pure ottimi (mutuando da Morrissey, ma in un’ottica del bicchiere mezzo pieno, some songs are better than others). Quanto a presenza scenica, mentre alcuni hanno trovato gli art-rockers di Baltimore efficaci, a me sono invece sembrati un po’ fiacchi. Infine, i prossimi-ospiti-fissi-di-Gossip-Girl Passion Pit come da attese fanno scatenare le ragazze, il che e’ sempre una cosa che come minimo mette di buon umore. Non so se e’ un azzardo parlare di incrocio tra Cold War Kids e Hot Chip, ma questa e’ l’impressione che ne ho avuto. Il falsetto del cantante era molto fastidioso comunque. Peccato non essere potuto restare fino alla fine, che mi sarei visto pure Jens Lekman, in versione singing dj.

 

(Shearwater)

 

 

Mercoledì

Si parte alla Lit Lounge con gli italiani Tiger! Shit! Tiger! Tiger! (lo so, il nome e’ un capolavoro, al tempo stesso il migliore e il peggiore della rassegna…). Anche per loro vale la massima morriseyana di cui sopra. Alcuni pezzi interessanti, anche se un po’ di tempo in piu’ in sala prove non avrebbe guastato. Ricordano un po’ i Rapture pre-Murphy therapy, ruvidi e spigolosi. Certo, fossimo nel 2000-2001 sarebbero una delle cose piu’ interessanti in giro. Lasciati i connazionali, mi reco al 205 a vedere il duo indie-pop australiano An Horse. Il lui e la lei suonano bene, sono carucci e potenzialmente potrebbero divenire i nuovi beniamini di quelli con appetito fashionista. Alla quarta canzone inizio un po’ ad annoiarmi e a guardarmi in giro pero’.

 

(An Horse)

 

 

An Horse – Postcards (HYPEM link)

 

 

Fortuna che al Cake Shop mi aspetta lo showcase dell’etichetta olandese Subbacultcha! (primo dei momenti Trompe Le Monde di questa CMJ, v. sabato). Arrivo e faccio in tempo a beccarmi gli ultimi due tiratissimi pezzi dei tetri e sperimentali Bonne Aparte. Buoni a tal punto che mi prendo pure il disco (che ora ascolto solo quando fuori c’e’ il sole e sono di buon umore, che senno’ nella migliore delle ipotesi o mi spavento o mi deprimo). Di seguito assisto a una delle performances migliori della settimana, quella del duo chitarra-batteria The Moi Non Plus. Molto bravi e spettacolari: vedere un batterista spaccare un ride da quanto pesta e’ sempre cosa che rida’ fiducia nel genere umano. TMNP sono leggermente piu’ accessibili dei Bonne Aparte con tante influenze che pescano dritto tra i miei artisti preferiti: Fugazi, Cop Shoot Cop, Sonic Youth di Sister (e tutti i loro derivati, vedi Ikara Colt…), tra i vari. Preso anche il loro di cd (ho fugato ogni dubbio quando ho sentito che una canzone, peraltro molto bella, si intitola Jil Sander Makes Your Eyes Black). Dopodiche’, complice l’open bar, inizio a essere un poco sbronzo e a dare appuntamenti nell’asse Orchard/Ludlow a circa tutta la mia rubrica di contatti. Nell’affannoso tentativo di incrociare amici, faccio un paio di blitz all’Annex dove, come ogni mercoledi’, c’e’ la solita sfilza di gruppi targati NME-rde. Posto strapieno (di giovanissimi soprattutto), intravisti i tanto celebrati astri nascenti d’oltre manica Friendly Fires (catchy, certo, ma sondati troppo di sfuggita e troppo poco sobrio per poter esprimere un giudizio, il disco e’ la tipica cosa che, conoscendomi, amero’ i primi quindici giorni e poi odiero’, assieme ai relativi fans, per il resto della mia vita – Killers/MGMT anyone?). Visto qualche altro gruppo che faceva del goffo brit-pop. Dopo essermi finalmente beccato con alcuni amici, si finisce la serata a far caciara al dive bar Motorcity con un bel sottofondo 60s/garage/punk.

 

 

(The Moi Non Plus)

 

 

The Moi Non Plus – I Lie (MP3)

 

 

 

Giovedì

Nel pomeriggio c’e’ il secondo showcase di BrooklynVegan, da Pianos qesta volta. Il primo gruppo che vedo sono i Crystal Antlers da Long Beach, Ca., autori di un’eccellente EP di esordio in cui mischiano psichedelia, post-hardcore, 70s rock, noise, etc, etc. Gia’ visti qualche mese prima, ne rimango ancora una volta impressionato. Dal vivo questi sono una bomba. Il bassista/cantante Jonny Bell (la cui voce a tratti mi ricorda pure Mike Patton) si dimena cosi’ tanto che temo sempre faccia finire un qualche bandmate all’ospedale per via di una palettata del fighissimo e vintagissimo Precision Bass. Il batterista e’ bravo e molto scenografico. Certo, nessuno riesce ad emulare la coolness del percussionista afroamericano Damian Edwards, che pare uscito da una scena di Serpico: il suo segno distintivo e’ suonare con la t-shirt arrotolata sul torace, giusto per mettere in evidenza una prodigiosa pancia da birra (vedere per credere).

 

(Crystal Antlers)

 

 

Poi mi tocca assistere a una pallosissima performance di Sebastien Grainger & The Mountains. L’ex Death From Above 1979 si cimenta senza troppo profitto in un classic rock abbastanza insipido, dove l’unica canzone degna di nota plagia Common People. Stufatomi dopo poche canzoni, decido di andare al piano di sopra dove vedo i bei live sets di Wye Oak e Phosphorescent. I primi sono un duo della (oramai imperante) scena di Baltimore, con disco uscito la scorsa primavera per Merge (e una data l’11 novembre alla Casa 139 di Milano in supporto ai Dr. Dog). Cantano sia lei (chitarra) sia lui (batteria). Il timbro di lei e’ molto bello, ricorda un po’ S. Vega e un po’ C. Love. Il live crea un’atmosfera pre-serale fantastica. Le canzoni riescono miracolosamente a conciliare chitarre anche spigolose e rumorose (sembra a tratti di sentire la PJ Harvey di Dry) con un cantato parecchio dreamy e soave. Da tenere a bada. Di Phosphorescent, che tutti spacciano per il nuovo Bon Iver e che fa un set interamente acustico, ne parlero’ poi (venerdi’ suonera’ con tutta la band).
Dopo una veloce sosta a casa per un boccone al volo e una mini scorta di redbull, me ne vado alla Music Hall of Williamsburg a vedermi i concerti di Jay Reatard (visto anche venerdi’, ne parlero’ poi), The Dutchess & The Duke, King Khan and the BBQ Show e Mission of Burma (un sincero plauso a chi ha messo insieme la bill). Di Seattle, The Dutchess and the Duke sono un lui e una lei che cantano e suonano la chitarra acustica accompagnati da un tizio alle percussioni che sembra abbia addosso the cheapest John Lennon Halloween costume ever… or Liam Gallagher, can’t decide (v. qui). Visti per la seconda volta dopo che fecero spalla per il Fleet Foxes a luglio. Anche qui confermo il giudizio positivo. Sara’ per una mia malsana passione per ogni tipo di tributo alla British Invasion, ma trovo il loro songwriting ottimo.

 

 

The Dutchess & The Duke – Reservoir Park (MP3)

 

 

E che dire di King Khan? Presentatosi come al solito con un costume improponibile (abitino d’oro cortissimo, gambe nude, pezzo sotto di un bikini e parrucca alla Stevie Wonder), il re del revival garage/soul fa ancora una volta divertire tutti. Certo, gli Shrines, la sua altra band, sono tutta un’altra roba, anche se il combo ridotto del BBQ Show gli permette molta piu’ improvvisazione e di fare, se possibile, ancora di piu’ il cazzone. Dopo pochi secondi tutta la sala si dimena a ballare rapita dalle diavolerie di uno dei migliori frontmen in circolazione. Se capita dalle vostre parti andatelo a vedere anche senza conoscere una mezza canzone. Chiudono i leggendari Mission of Burma. Che concerto, mamma mia: mi aspettavo sapessero suonare parecchio bene, ma non cosi’ bene! Tiratissimo, adrenalina a gogo e loro che non sbagliano nemmeno un accento. Due serie di bis da tre pezzi, pescati tra i pezzi storici del repertorio. Peccato suonino cosi’ tardi, ma per fortuna che l’open bar di Beck’s tiene il morale di tutti parecchio su di giri. Torno a casa alle due e mezza che sono uno straccio, come faro’ domani?

 

(Mission of Burma)

 

 

 

(Continua)

 

 

mercoledì, 29/10/2008

Italia Brasile New York una fazza una razza

Nessuno dei Brazilian Girls è brasiliano, e solo uno è una ragazza; la prima volta che parli di loro non puoi fare a meno di cominciare così.

 

La loro leader, Sabina Sciubba, è nata in Italia e cresciuta a Monaco e a Nizza. Ora vive a New York City, dove la band si è formata nel 2003 durante una jam session improvvisata in un locale dell’East Village. I Brazilian Girls cantano in (almeno) 5 lingue, spesso usate all’interno della stessa canzone (e a volte della stessa frase), e pubblicano per la Verve, leggendaria etichetta jazz. Ovviamente non suonano jazz neanche per sbaglio, ma un caleidoscopico e incategorizzabile pop cosmopolita che flirta con certa elettronica europea da club, con la samba, con il downtempo, col melò di Kurt Weill, con le colonne sonore di Morricone e con un sacco di altra roba che se continuo a elencarla non faccio altro che confondervi ancora di più.

 

Il loro ultimo disco, eloquentemente intitolato New York City, è uscito a inizio Agosto ed è stato l’inevitabile colonna sonora della seconda metà della mia Estate; su queste pagine non ve ne avevo parlato, e mi sembra appropriato farlo adesso, ora che l’Autunno si fa più rigido e le giornate più corte. Non so bene perchè.

I just want good time. Tortelloni.

 

 

Brazilian Girls – St. Petersburg (MP3) (ALT)

Brazilian Girls – Noveau Americain (MP3) (ALT)

 

martedì, 28/10/2008

Shockingly absurd food inventions

Il burro a stick, la forchetta a motore, il cono di pizza e il porta-patatine da auto: questo e altro su 12 shockingly absurd food inventions.

 

lunedì, 27/10/2008

If that really is your name – Part two

di
"Oh Valerie Plame, if that really is your name, I will shout the same from on high.
Dear Valerie Plame, I’ll look for that long exchange, outside of the bureau de change in Shanghai.
I was just some stupid boy on a bus when your nom de guerre was code name Caroline.
So my Vespa became your chariot From the green zone Marriott to be etched upon my mind."

Valerie Plame è la canzone dei Decemberists che apre il bellissimo Always the bridesmaid, trio di singoli pubblicati dalla band di Portland. Una dolce attesa prima del loro quinto album Hazards of love, in uscita ad Aprile, per la seconda volta sotto l’egida della Capitol. Sei canzoni che segnano un ritorno alle sonorità di Picaresque, dicono alcuni – o addirittura dei due primi album. Staremo a vedere. Per quanto mi riguarda, personalmente, Meloy e soci hanno raggiunto risultati tali che ogni delusione non sarebbe che relativa, all’interno di un amore cieco e incondizionato. Ma è un problema mio.

 

Nel frattempo, tutti si chiedono, chi è Valerie Plame?

 

 

Valerie Plame: ma è davvero quello il suo nome? Se proprio vogliamo metterla giù dura, il nome esatto della bella signora bionda nella fotografia è Valerie Elis Plame Wilson, tenendo conto del cognome del marito Joseph C. Wilson, l’ex ambasciatore del Gabon e di São Tomé. E costei è la protagonista di una tra le vicende politiche più note del decennio negli states: il cosiddetto Plame affair o Plamegate.

 

Per farla breve (ché è una faccenda lunga e complicata) nel Luglio del 2003 Wilson scrive un corsivo nel New York Times intitolato "What I didn’t find in Africa". Il succo dell’articolo è: le dichiarazioni dell’amministrazione Bush riguardo ai rapporti "plutonici" tra Niger e Iraq, tra le principali giustificazioni dell’intervento militare nel paese asiatico, erano semplicemente esagerate e inaffidabili. Qualche giorno dopo, il noto giornalista conservatore Robert Novak scrive un articolo nel Washington Post in cui, rispondendo alle precedenti accuse di Wilson, diceva, tra le altre cose, che Valerie Plame, la moglie di Wilson, era un’agente della CIA sotto copertura.

 

Oops.

 

Come l’informazione fosse arrivata a Novak, e di seguito al pubblico dominio, è successivamente al centro di uno degli scandali di spionaggio più imponenti della storia americana. Che portò alla condanna di Irve Lewis Libby, detto Scooter. Giuro. Scooter: chi era costui? Non altro che il capo delo staff di Dick Cheney. Ah, ecco. Ostruzione della giustizia, spergiuro, falsa testimonianza ad agenti federali. Uno dice, in galera e buttano via la chiave. Nah. Due anni di condanna. Che divennero due anni di libertà condizionata e una notevole multa in denaro. Toh, guarda.

 

Tre anni più tardi, nel Luglio del 2006, Joseph Wilson e Valerie Plame (la cui carriera nella CIA era ovviamente terminata nel momento in cui la sua copertura era stata sputtanata) sporsero una denuncia civile nei confronti di Scooter, del vicepresidente Dick Cheney, e dell’allora vice capo dello staff di Bush, il rubicondo e viscido Karl Rove, per il loro ruolo nello sputtanamento in questione. Il giudice incaricato archiviò la causa. Per capirci, a Robert Novak non hanno nemmeno detto bif, anche se ora sta morendo per un cancro al cervello.

 

Tutto qui? E Valerie? La nostra cara Valerie Plame? Ha scritto un libro, è uscito un anno esatto fa, e si intitola Fair Game: My Life as a Spy, My Betrayal by the White House. E visto che in America l’occasione fa l’uomo ladro, pur essendo un paese dove possono far saltare la copertura di un agente della CIA per vendetta politica senza che nessuno si faccia un giorno di carcere, qualche tempo fa i coniugi Wilson hanno annunciato la loro collaborazione come consulenti a una sceneggiatura di un film tratto dal libro.

 

E dicono che Valerie Plame sarà interpretata da Nicole Kidman.

If that really is her name. Oh, yes, it is.

 

 

The Decemberists – Valerie Plame (MP3)

The Decemberists –
Valerie Plame (live @ Daily Show with Jon Stewart)
(video streaming)

 

lunedì, 27/10/2008

Oh inverted bookshelf

Fatta unicamente per stupire i vostri visitatori, ma assai meno per essere usata, la Inverted Bookshelf ha un trucco semplice (fasce elastiche, vedere qui) tanto che potete costruirvela anche da soli. Però fate in modo di usarla il meno possibile, secondo me si rompe (e rovina i libri). (via)

 

venerdì, 24/10/2008

Il primo videoclip al mondo in formato Excel

Una cosa talmente figa da ridefinire il concetto stesso di ‘figo’: via Giavasan il primo videoclip al mondo in formato Excel. Andate sul sito degli AC/DC e scaricate il file .XLS. (ovviamente dovete avere la macro abilitate).

 

Io ho provato su un paio di computer (un PC con OpenOffice Calc e un Mac con Excel) e non mi funziona, ma immagino che un’installazione classica su Windows con Excel non fallisca. Altrimenti si può vedere su YouTube, qua sotto. Una vera meraviglia

 

 

venerdì, 24/10/2008

Mimì Clementi stasera a Get Black! (con Simon Reynolds)

di

Questa sera, alle 21.00, a Get Black! (per chi è a Bologna, sui 103.1 di Radio Città Fujiko, per chi è fuori sede in streaming da qui):

 

 

_ Per i "Ferri del Mestiere" avremo in diretta Emidio — Mimì — Clementi, anima, parole e voce dei Massimo Volume che ci racconterà la storia di una reunion in cui tutti noi trentaequalcosa enni abbiamo sperato da quando eravamo venticinqueequalcosa enni. Chi li ha sentiti suonare quest’estate, ad esempio a Frequenze Disturbate, ne ha scritto così.

 

 

_ Al Quiz Black regaleremo "Hip-Hop-Rock" di Simon Reynolds (celebrato e celeberrimo autore di "Post-Punk"). Il nuovo volume raccoglie, in 452 pagine targate ISBN edizioni, gli articoli, i saggi e le recensioni che il più grande critico musicale vivente ha scritto dal 1985 al 2008, raccontando il confine, dice Reynolds, mobile, labile e alle volte impercettibile, tra musica "nera" e musica "bianca", tra il rock underground dei Sonic Youth e il rap dei ghetti alla 50 Cent.
Reynolds, per chi non lo sapesse, è un bastardo. E’ un bastardo geniale e stronzissimo, uno che con la faccia da culo che tu metteresti su per andare a trovare a Natale una lontana zia di tua madre scrive:

"Morissey elabora e interpreta il flusso dell’adolescenza: il tentennamento tra agorafobia e claustrofobia, possibilità e vincoli, la sensazione che il corpo e i significati culturali ad esso attribuiti siano una gabbia. Morissey cristallizza questo flusso, lo plasma in distici, giochi di parole, aforismi, guizzi introspettivi, una sapienza che ci rassicura. […] Gli Smiths sono una sinossi del dolore."

Un bastardo, appunto. Perché tu leggi una cosa così e sai che non potrai mai più parlare degli Smiths nella tua vita senza che ti rimbombi in testa quella "sinossi del dolore".
Ma a Get Black! non guardiamo in faccia nessuno, neanche quando la faccia è quella di Reynolds. Il quiz black di questa settimana riguarderà gli Smiths, quindi siate preparati.

 

 

_ Parleremo in diretta con Stefano Brugnara, dell’Arci Emilia Romagna, che insieme a Homesleep Music e agli Yuppie Flu ha organizzato Colla+eral 2008, la rassegna musicale volta a valorizzare le collaborazioni artistiche e sinestetiche, i progetti paralleli, insoliti ed inusuali. Colla+eral è iniziato ieri sera, al Maffia di Reggio Emilia, con il concerto dei riuniti Massimo Volume e procederà con una scaletta eccezionale che toccherà molti fra i più importanti circoli Arci della Regione (tutte le informazioni qui)

Siateci tutti.

 

 

Bonus Tracks:

The Smiths –
Girl Afraid (live) (MP3)

Massimo Volume – Atto Definitivo (MP3)

 

giovedì, 23/10/2008

Indies Go Green!

Mentre un sondaggio rivela che gli inglesi sono i più propensi in Europa a condividere docce e bagni per ridurre sprechi e risparmiare sull’elettricità, il Governo Italiano minaccia di bloccare l’attuazione del protocollo di Kyoto in Europa per la riduzione delle emissioni di CO2 nell’atmosfera.

 

Per non essere sempre l’ultima ruota del carro, ecco un decalogo semi-serio ad uso e consumo di musictecnologicofili eco-sostenibili:

 

1. Raccogli i mozziconi delle tue sigarette (+1 punto per sigaretta)

 

2. Se compri birra in bottiglia, recupera il vetro! (+2 punti per bottiglia). Se puoi, preferisci la spina! (+ 2 punti)

 

3. Quando vai ai concerti, dividi il viaggio in auto con gli amici* (o vacci in bicicletta = +3 punti)
*se sei di Bologna chiedi un passaggio al titolare di questi blog per andare al Covo, che lui è ben contento di fare il tassì – specie da quando c’è una pattuglia ogni tre metri fornita di alcooltest (su consiglio del dottorGola).

 

4. Quando puoi, lava a freddo (e le tue magliette a righe non si rovineranno, magicamente) (+3 punti)

 

5. In casa d’inverno non superare i 20°: il look emaciato è un classico mai fuori moda…(+3 punti)

 

6. Dopo ore al tuo pc o mac, centinaia di ore ad ascoltare l’ipod, millenni al cellulare, forse è il momento di comprare un caricabatterie solare (su Eco Geek Living e Select Solar ce ne sono moltissimi). (+3 punti).

 

7. Scegli i concerti giusti. I Radiohead hanno fatto solo il primo passo: (qui e qui). (+3 punti a concerto).

 

8. Scegli il vintage! Vecchi cappotti, vecchi maglioni e jeans, niente è più a zero emission. Alternativamente puoi scegliere abiti alla cannabis  (+2 punti a capo).

 

9. Prova un modo di rendere ecologica la tua vita in camera da letto… (+ 2 punti)

 

10. Costruisci un’ecogym nel tuo cortile.

 

 

Poi, volendo essere pignoli, si potrebbe dire che sarebbe cosa buona scegliersi dei governanti che si preoccupano per l’ambiente. Ma questa, temo, è tutta un’altra storia.

 

 

Foto | www.thegeekweekly.com

 

giovedì, 23/10/2008

We have to get baaaaaaack

Online da un paio d’ore, il primo trailer ufficiale della quinta stagione di Lost. Jeez.

 

mercoledì, 22/10/2008

Ocean of sound / Ocean of words

Fino ad oggi non avevo mai sentito parlare di Jean Shin. Poi, a distanza di 5 minuti, sono incappato in due sue opere d’arte diverse su siti diversi (pubblicate, tra l’altro, per motivi diversi) e sono rimasto colpito.

 

 

 

Sound Wave è un’onda gigantesca fatta di vinili, bellissima per quello che rappresenta ma anche un po’ spaventosa, tutta nera e tagliente com’è. E’ in mostra al Museum of Arts and Design di NYC per l’esposizione Second lives (articolo del New York Times), dedicata alle opere che immaginano una seconda vita per i vecchi oggetti "riciclati". Concetto tutt’altro che nuovo, ma sempre in grado di regalare più di una suggestione.

 

 

 

Textile è quasi uguale ma anche molto diversa. Non c’entra nulla con la mostra di cui sopra (sta al Fabric Workshop and Museum di Philadelphia), e il mare di tasti cha la compone è interattivo e per niente casuale. Così, oltre a rispondere alle azioni dei suoi spettatori (che possono scrivere dei messaggi), i suoi tasti raccontano una storia, componendo in sequenza tutti i testi delle e-mail scambiate tra la sua autrice e i suoi fabbricanti manuali a proposito della creazione dell’opera. Che così facendo racconta se stessa.

 

[e per un concetto un po’ diverso con una realizzazione simile c’è anche Key Promises. Promesse infrante nei tasti di una tastiera. Io, ad esempio, ho sempre trovato un po’ sinistro il tasto Control]

 

martedì, 21/10/2008

Terra Nostra

Il viaggio di Inkiostro/Batteria Ricaricabile negli episodi-pilota in musica delle serie più trascurate dalla maggioranza modaiola continua con Terra Nostra. Sfortunata nella collocazione iniziale su una rete secondaria, la storia degli emigranti italiani in Brasile ha saputo più che raddoppiare i suoi fedelissimi nel tempo. Per raccontarla sono qui con noi Kanye, sedici cavalli di potenza, la delocalizzazione del gospel, un Mark Lanegan dolente come un Johnny Cash della techno, la terra promessa, gli Eurythmics, il Brasile.

terra_nostra

lunedì, 20/10/2008

Random Monday Madness (and Gaming)

Bello, The Eyeballing Game. Semplice, veloce, pronto a dare dipendenza e a costringere alla sfida come i solo i giochi migliori riescono a fare. Il suo scopo è misurare la capacità di corretta visualizzazione geometrica del giocatore, chiamato a bisecare rette, dimezzare angoli, trovare il centro ai cerchi e ricostruire parallelogrammi. Il mio record è 4.6 (il punteggio più è basso meglio è), che mi colloca intorno alla media. Chi riesce a fare di meglio?

 

venerdì, 17/10/2008

Più per tradizione che per altro

Dopo le palline di Josè Gonzalez, i palazzi di vernice e i conigli di pongo, ecco Domino City, la nuova pubblicità del Sony Bravia (già visto mille volte su questo blog). La musica, se ve lo steste chiedendo, è scritta da un ignoto tizio di Singapore e cantata dal leader di un’ignota band di Los Angeles. Niente di speciale, forse, ma non è poi male.

 

venerdì, 17/10/2008

Amico Fuoco

Finalmente ti raggiungo al bar ti vedo,
sei tu "mon amour"
le tue gambe allucinanti
"me rendent fou, me rendent jaloux"

Questo post è un remix

Non c’è più l’hype di una volta. E’ un gruppo di cui molti tessono le lodi già da mesi, e che – eppure – misteriosamente non è già famosissimo. Diskoinkiostro li segnalava già a giugno anche se li sentiva già da prima, e prima che esca il loro disco d’esordio (sennò che hype è?) non posso che dare inizio al coro, e magnificare le grazie degli Aeroplane, qui alle prese con una rilettura dei Friendly Fires.

Il singolone Paris diventa disco-dream-pop dolceamaro (con una proporzione 33,33%/33,33%/33,33% tra i tre generi) imbevuto di synth trattenuti, viulini svolazzanti e una voce di donna spacca la pista a colpi di spleen sognante. Come una versione disco dei Delgados, degli Stars più europei ed elettronici, oppure dei Phoenix che decidono di vendere la cowbell di prima e indossare una parrucca buffa alla Farah Fawcett.
Una bella scoperta (o, se preferite, conferma). A fine Novembre suonano a Verona, qualcuno li porti anche a Bari, dai. Buttate via i vostri trench e compratevi un eskimo.

remix

 Friendly FiresParis (Aeroplane Remix)

giovedì, 16/10/2008

Wombat rock

Che i Wombats fossero degli adorabili cazzoni si era capito già da un po’. Una band che nel suo secondo singolo cita Bridget Jones e nel terzo invita a trovare il lato divertente delle canzoni dei Joy Division -blasfemia!- fa capire da subito che non gioca neanche nello stesso campionato della massa di fighetti pieni di sè che in media compone le giovani band della terra di Albione, e non può che stare subito simpatica.

 

E infatti il trio di Liverpool è tra le mie band favorite della sua generazione (ne ho già parlato qui, qui e qui); grazie anche all’ottimo esordio che contiene (almeno) tre singoli che ancora riempono la pista degli indie-dancefloor, ai loro live carichi, entusiasti e scatenati, e alle cover di canzoni bislacche che talora si divertono ad inserire nei loro set (sentite qua sotto).

 

Le ultime news li danno candidati agli Mtv Europe Music Awards come Best UK Act (sono contro corazzate come i Ting Tings, Duffy, Adele e Leona Lewis; non hanno speranze), e pronti a uscire a dicembre e a Febbraio con due nuovi singoli. Capace che fanno pure un bel secondo disco. Le carte ci sono.

 

[i Wombats suonano stasera all’Estragon di Bologna. Se vi interessavano le date di Milano, Roma o Treviso, beh, ve le siete perse]

 

 

The Wombats – Bleeding Love (Leona Lewis cover) (MP3)  [ALT]

The Wombats – Everything I do (Bryan Adams cover) (MP3)  [ALT]

The Wombats – Patience (Take that cover) (MP3)  [ALT]

The Wombats – There she goes (The La’s cover) (MP3)  [ALT]

 

mercoledì, 15/10/2008

Appunti per una pièce da spogliatoio


Da qualche mese a questa parte ho preso la decisione di fermare la lenta ma inesorabile demolizione del mio corpo ricominciando a fare sport. Dopo un periodo passato a fare attività che appartengono alla categoria "noia mortale" (cyclette, corsa, aratura manuale dei campi fuori Settimo Milanese) ho deciso di staccare dal chiodo la racchetta da tennis e vedere se valevano di più i dodici anni di attività o i dieci di inattività. Se avete scommesso sulla seconda complimenti, avete vinto, passate alla cassa e ritirate il buono omaggio.  

Tra gli elementi collaterali al fare sport che possono rivestire grande interesse sociologico c’è senza dubbio il filone dei cosiddetti "discorsi da spogliatoio" (o, come li chiamano i sociologi tedeschi, gewurtztraminer), che spesso riservano grandi sorprese. Il rilascio di endorfine dovuto all’attività fisica appena conclusa, unito a quel minimo di intimità necessaria a svestirsi davanti ad una persona estranea e sessualmente non attraente porta le persone a denudarsi in maniera anche metaforica, lasciando emergere parti dell’io sconosciute e sommerse. Questo fa si che vengano formulati discorsi di grande pregnanza filosofica e poetica, che potrebbero rivaleggiare con le più grandi pièce teatrali della nostra cultura contemporanea.

(Va anche detto che questi discorsi sono nulla a confronto di ciò che accade negli spogliatoi femminili, almeno a giudicare da alcuni filmati che mi è capitato di visionare per sbaglio convinto che avrei assistito a Caos Calmo.)

Certo dell’alto valore teatrale e, perchè no, poetico del monologo che ho ascoltato oggi, mi sono riservato di arrivare a casa e appuntarmelo, sai mai che torni utile a qualcuno.

Luogo: spogliatoio di circolo tennis. La stanza che ospita lo spogliatoio è divisa a metà dalle docce. Due amici quaranta-cinquantenni chiacchierano, probabilmente convinti di essere soli, mentre si svestono per farsi la doccia dopo la partita. Entrambi lombardi, uno dei due ha un accento che tira verso il Veneto, e di quelle parti ha la caratteristica erre arrotata. Dopo una breve disamina della partita, quello dei due che pare aver perso – il veneto –  porta il discorso verso una decisa deriva esistenzialista. Il dialogo che segue ha forma di monologo perchè l’amico non controbatte alle affermazioni del primo ma si limita ad ascoltare e talvolta interviene annuendo o sogghignando. Pur non vedendo la persona che parla, la immaginiamo con lo sguardo perso nel vuoto, come in trance, mentre dal profondo della sua anima emergono concetti profondi ma al tempo stesso estremamente limpidi.

<RUTTO SONORO>,
…ieri sera l’ho trombata, ma di malavoglia…
…il problema… è che non c’è più l’amore…
…eeeehhh, beato te che sei innamorato, beato te…
…certo che poi, alla fine, l’uomo innamorato è l’ombra di se stesso.


Sipario. Applausi.

martedì, 14/10/2008

Cascate

Del disco di Arnoux  mi sono innamorato perdutamente una sera in cui pioveva.
Il che, per un disco che si chiama Cascades e che è evidentemente acquatico fin dalla sua copertina, è talmente perfetto da essere quasi troppo scontato.

 

Ero uscito dal lavoro tardi, che era già buio, ero stanco e mi trascinavo verso casa lentamente con il suo disco in cuffia. La consonanza emotiva tra la mia condizione psicofisica e i suoi pezzi circolari, in larga parte costruiti su loop di chitarra arpeggiata o pianoforti pigri, con aperture quasi indietroniche, uno xilofono più virtuoso di quanto non sembri e un paio di voci che giocano a nascondersi, è stata così perfetta che l’ho ascoltato per tre volte di fila, e alla fine le sue atmosfere ambientali (che a volte ricordano certe cose degli Hood o dei Mice Parade) mi avevano completamente conquistato.

 

Arnoux è il progetto solista di Fabio Arnosti (già bassista dei Ten thousand bees), è pubblicato dalla Knifeville e costa solo 10 euro, spese di spedizione incluse. E’ davvero bello.

 

 

Arnoux – Fishing bottles in the middle of a lake, Akko, Israel (MP3)

Arnoux – Today, a rainy day (MP3)

 

 

 

E poi c’è il live in the tracking room, una serie di video registrati e messi online da Atracoustic, con micro-intervista iniziale e live dall’altissima qualità e dalla cura eccezionale (la loro realizzazione potrebbe competere con celebri serie di live come quelle di PitchforkTV o della Blogotheque), che mi ha confermato che in questo caso ci troviamo davvero di fronte a qualcosa di piccolo ma grandioso. Che fa rumore come una goccia che cade ma in realtà, dentro, è fragoroso come una cascata.