suoni

giovedì, 31 03 2005

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Inkiostro singles watch
Weezer –Beverly Hills (mp3 e streaming) Pitchfork l’ha stroncato prendendolo bellamente per il culo, ed è difficile dargli torto quando nell’eterna diatriba del ci sei o ci fai la canzone si fa dimenticare in un nanosecondo. Peccato.
Disco Drive – All about this (mp3) C’è un termine tecnico per descrivere un pezzo del genere: spacca. L’uscita del disco è imminente, accattatevillo. E il primo che dice «Che palle, ancora punk-funk» va fuori dalla porta.
Afterhours – Ballata per la mia piccola iena (mp3 chez Enver e streaming) Il bizzarro risultato della somma algebrica tra Quello che non c’è (la canzone) e le atmosfere di Black Love degli Afghan Whigs. Carico di pathos e assai poco singolabile, ma davvero niente male.
Gorillaz – Feel good (mp3) A parte il fatto che la melodia mi ricorda Staring at the sun degli U2 (e non credo sia un complimento), il nuovo singolo del side project di Damon Albarn funziona. Ma i tempi di Clint Eastwood sono ben lontani…
Subsonica – Abitudine (mp3 e anteprima streaming) Un po’ un pastrocchio di electro e chitarroni in salsa radiofonica: cerca di accontentare tutti e forse finisce per non accontentare nessuno. Da rivedere.
Nine Inch Nails – The hand that feeds (mp3) – Terra chiama Reznor: meno ritmi ballabili e ritornelli Mtv-friendly, qua vogliamo spleen e rabbia, come ai vecchi tempi. Chiaro?
Hot Hot Heat – Goodnight Goonight (mp3) Sembrerà anche un pezzo dei Greenday, ma che vi devo dire, io l’adoro. Il resto del disco, tra l’altro, è anche meglio. Sempre lode e gloria alla band canadese.
Yuppie Flu – Our nature (anteprima streaming) Una spanna sopra la già notevole versione demo uscita quasi un anno fa sul primo numero di Losing Today. L’anthem che gli mancava.

mercoledì, 30 03 2005

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Linkorama
Poco tempo, poca voglia e molte cose per le mani, in questo periodo. Intrattenetevi con un po’ di link:
_Meravigliosamente inutile: Uncyclopedia, l’enciclopedia (anzi, wikipedia) di informazioni scorrette.
_Grottesco: l’esercito israeliano non si fida dei soldati che giocano a Dungeons & Dragons.
_Geniale: il Leonardo del futuro ci illustra cosa sono i rapporti sessuali verticali. Standing Ovation e applausi.
_Ben fatta: la migliore recensione di Human after all dei Daft Punk è quella di Sentire Ascoltare.
_Ben fatto: The Cool Out scopre che Robot Rock, primo singolo estratto dal suddetto nuovo disco dei Daft Punk, è assai più che campionato (leggi: plagiato di peso) da un vecchio pezzo di funky hard rock. [via Batteria ricaricabile
]
_Catartico: una cosa che da bambino non sopportavo di vedere nè di sentire: le dita scrocchiate.

_Sublime: per fare un tavolo di vuole un fiore; per fare un mobile ci vuole un…libro.
_Non meritevole di aggettivi: la nobile arte del pen spinning. Niente meno.

venerdì, 25 03 2005

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Il suono della polvere
Dove vanno i beat morti? Che fine fanno tutti quei rullanti che l’elettronica ha disgregato, tutte le ritmiche senza più dimora, e tutte le grancasse che non riconoscono più la familiare strada dei 4/4 e finiscono ad inseguire ogni riverbero errabondo fino a perdersi? Che ne è delle gocce di blips e glitches che si infrangono contro questo o quel pattern come onde sugli scogli? Scompaiono? Evaporano? Cadono per terra come polvere?
Me lo chiedevo qualche giorno fa, mentre realizzavo che in un’intera giornata passata a spostare mobili e riempire scatoloni il mio stereo non aveva mandato niente di diverso da quello che, con un termine meravigliosamente privo di qualsivoglia uniformità referenziale, viene chiamato indietronica. Piuttosto appropriatamente, musica piena di polvere per una stanza piena di polvere.
Ero partito da Boom Bip, un genio astratto e strumentale tanto inafferrabile quanto gommoso, esattamente come l’astuccio che rende il packaging del suo cd uno dei più belli mai visti. Il suo Blue Eyed in the red room fa il paio con il debutto dei Tunng, che ne sembra la versione più ipnotica e folktronica, e continua idealmente sulla stessa strada percorsa da FourTet nel suo capolavoro Rounds. Consacrato sull’altare del dio FourTet è pure Fog, che ha lasciato da parte la ricerca della pop song perfetta che portava avanti col suo progetto Hymie’s basement per mischiare i Radiohead di Kid A con più o meno qualunque delirio gli venisse in mente, nel suo ultimo 10th avenue freakout.
Con una partenza del genere lo slittamento verso i climi glaciali di Emilie Simon è dietro l’angolo, e la qualità del suo secondo disco La marche de l’empereur, a metà tra la Bjork più vespertina e certe colonne sonore che mischiano carillon e impeti orchestrali, difficilmente lascia indifferenti. Ma quando l’intimità che si cerca è un po’ più obliqua e meno zuccherosa, viene in aiuto mamma Morr col nuovo disco di Masha Qrella, una che tra chitarra e laptop si finge irrisolta ma che invece la sa assai lunga. E se la Morr tenta di ampliare il suo suono accogliendo trasfughi di altre etichette, perchè non dargli soddisfazione e non godersi il sapore alienato delle derive sempre più teutoniche dei Tarwater, diventati ormai un perfetto ibrido mostruoso di Kraftwerk, indietronica e Joy Division?
Quando si parla di Morr, però, non si può non parlare dei Notwist, i quali -guarda caso- proprio adesso se ne tornano fuori con un grande disco per propria neonata etichetta, la Alien Transistor. Nel nuovo progetto, nome in codice 13 and God, a dargli man forte ci sono i Themselves, ennesimo combo Anticon in cui milita il leggendario Dose One (uno che ha impresso le sue rime scattose su capolavori del genere come They Removed All Trace That Anything Had Ever Happened Here degli Hood, F.K.O. dei Subtle e un qualunque brano dei cLOUDDEAD); il sodalizio Morr-Anticon è ormai talmente rodato che non ci si rende conto di ascoltare due diverse band insieme. E il disco ti stende.
Alla fine del viaggio, i dubbi amletici sul destino delle polveri glitch sono ancora senza risposta. Rimane la sensazione che siano sempre qui, disperse nell’aria, pronte a seguirne l’ennesimo mulinello e a tornare solide nel prossimo disco di post-punk roccioso e senza fronzoli. Pronte anche, nel frattempo, a dimostrarsi l’unica colonna sonora possibile di questi in between days di sole pallido, caldo tiepido e micropolveri.

giovedì, 17 03 2005

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I’ll be your mirror
Il nuovo disco dei Perturbazione è fatto per piacere a chi non conosceva i Perturbazione. Ma ciò non implica che non piacerà a quelli a cui già piacevano. Certamente però, non piacerà a quelli a cui non piacevano.
Il bisticcio è voluto, anche se di bisticci ce ne sono ben pochi in questo disco. Ed è inutile nascondere che ci un po’ ci dispiace, perchè i loro bisticci ci piacevano assai; ma è anche inutile nascondere che Canzoni allo specchio è un gran bel disco. Del resto, si sa: In circolo è stato una pietra angolare dell’indiepop made in Italy (LA pietra angolare, per quanto riguarda l’indiepop cantato in italiano), e la sua urgenza espressiva e le sue grandi canzoni sono virtualmente impossibili da eguagliare. Soprattutto se il vecchio, miracoloso, equilibrio tra spigliatezza e derive zuccherose ora vacilla spesso in favore di queste ultime, e se i pezzi non sono tutti esattamente memorabili come un tempo.
Poi, in realtà, bastano una manciata di brani (Dieci anni dopo, A luce spenta, Seconda persona, Il materiale e l’immaginario) a farci ricordare perchè loro sono una spanna davanti a tutti, e quando alla formula si aggiunge la produzione perfetta di Paolo Benvegnù e l’apporto decisivo di una manciata di Baustelle, di Giardini di Mirò e di Sweaters, le vette toccate sono davvero alte. Ok, manca l’Agosto del caso, IL pezzo che buchi la cortina d’indifferenza dell’ascoltatore italico medio per proposte così raffinate (ancorchè inequivocabilmente, nobilmente e genuinamente pop); ma i due singoli hanno un piglio che potrebbe riservagli una certa fortuna -soprattutto ora che il marchio è Mescal- e chissà che Se mi scrivi non porti con sè un destino da piccolo tormentone estivo.
Più la riscossione di un debito che una battuta d’arresto, più una conferma che una smentita, più un ottimo disco per chi non conosce il sestetto torinese che un’evoluzione senza macchia che convincerà in toto i vecchi fan. Per una volta è il caso di essere altruisti, e augurare ai Perturbazione la fortuna che si meritano. Con la sicurezza che, la prossima volta, arriverà di nuovo il disco che ci meritiamo.

martedì, 15 03 2005

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Piccoli fragilissimi .mov
Per festeggiare l’uscita, tra circa un mese, del nuovo EP di Paolo Benvegnù Cerchi nell’acqua (5 pezzi -tra cui la cover di In a manner of speaking dei Tuxedomoon- + video realizzato da Tommaso Cerasuolo dei Perturbazione) ecco un po’ di omaggi multimediali: oltre al concerto intero già segnalato mesi fa, qua ci sono un po’ di mp3 live acustici assai carini. Inoltre, da questa pagina si possono scaricare vari spezzoni video (in .mov), piuttosto lo-fi, della sua performance del 25 Febbraio 2003 Al Vapore di Marghera.
[nella stessa pagina, inoltre, filmati live di Red worms’ farm, Ronin e Good Morning Boy. Buona visione.]

giovedì, 10 03 2005

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E’ il momento di aggiornare l’agenda
Nel loro campo, immagino, lo fanno tutti. Per qualcuno è un bel momento, per qualcun’altro no, per me è sempre un mix di entusiasmo, strana angoscia e amare considerazioni sull’emorragia economica che comporta; in ogni caso, per un music-junkie il momento di aggiornare l’agenda dei concerti non è un momento qualsiasi.
Il periodo a venire, da queste parti, è di quelli impressionanti; gli abbiamo pure dedicato la scorsa puntata di Airbag, il cui podcasting* lo-fi è -come sempre- scaricabile ancora per 24 ore da qui. Si comincia già stasera con Sondre Lerche all’Estragon, concerto da non perdere -anche se è da solo, vabbè- perchè da queste parti il suo esordio qualche anno fa è stato tra i dischi più ascoltati. Si continua domani coi Trail of dead al Covo (sempre che il sottoscritto, bloccato in radio fino alle 22.30, riesca a entrare), delle cui performance live si dicono meraviglie anche se su disco non mi esaltano particolarmente. Sabato è la volta dei Beat up, sempre al Covo (ci vado? non ci vado? mi piacciono? boh), anche se -potendosi teletrasportare a Roma- il Losing Today party con DJ set dei Sad Pandas sarebbe da non perdere. Domenica poi c’è Howe Gelb a Gradara (PU), la cui lontananza sarà probabilmente compensata dall’unicità della location e della performance. Non ci sarò, ma chi può non se lo perda. Dalla settimana dopo, poi, le cose si fanno ancora più complicate. Urge uno schema dei selected gigs:
_ven 18/03 – Settlefish (release party), Covo (il nuovo disco è notevole, e ha anche una grafica da paura) 
_sab 19/03 – Apparat, Covo (ignoro quasi tutto, ma in questo periodo basta che io legga indietronica..)
_dom 20/03 – Wedding present, Estragon (temo saranno sacrificati. mi convincete?)
_gio 24/03 – Paolo Benvegnù, Covo (una certezza. poi esce il nuovo EP)
                     Ted Leo, Atlantide (lo so, il vero scenester andrebbe qua. quindi mi sa che non sono un vero scenester)
_ven 01/04 – Giardini di Mirò, Estragon (a volte ritornano, ed era ora. ma a quando un disco nuovo?) 
_mer 06/04 – Blonde Redhead, Estragon (a volte ritornano 2. moralmente imperdibili)
_ven 08 e sab 09 /04 – AfterhoursEstragon (vedremo se il nuovo disco merita…sono assai curioso)
_sab 09/04 – Patrick Wolf, Covo (dopo due dischi del genere, come si fa a non andarci? come?)
_mer 13/04 – L’altra, Club 74 (Lindsay, ti amo. canta per me)
_gio-ven-sab 14-15-16/04 – Tarwater (gio), Fourtet (ven), LCD SoundSystem e Prefuse 73 (sab), TDK Dance Marathon – Mi (Dance Marathon? vediamo se qualcuno riuscirà a ballare i Tarwater o Fourtet..però con dei nomi del genere come si fa non fare la trasferta?) 
_gio 21/04 – Micah P. Hinson, Covo (non ho ancora deciso se mi piaccia, ma finalmente i nodi verranno al pettine…ci è o ci fa?)
_ven 22/04 – Perturbazione, Covo (ed è solo l’inizio…oh, se lo è…)
_sab 23/04 – Jens Lekman, Covo (eventone. e basta.)
                       Feist, Velvet – Rn (peccato perdersela…mettersi d’accordo no, eh?)
_mer 26/04 – Niobe, Club 74 (rischio narcolessia alto, ma potrebbe stupire)
_ven 28/04 – Ronin, XM24 (finalmente vengono in città….era ora!)
_ven 06/05 – Antony and the Johnsons, Teatro Masini – Faenza (sono un po’ terrorizzato all’idea…non so bene perchè, ma ho davvero paura)
_mar 10/05 – Lou Barlow, Covo (l’ultimo disco…vabbè, lo sapete. ma solo il nome impone la presenza)
_sab 14/05 – Offlaga Disco PaxCovo (li amiamo alla follia, il disco è bello e loro sono dei grandi. serve altro?)
_gio 19/05 – Adam Green, Covo (è il tipo di concerto che rischia di demolire -o di consacrare- un -piccolo- mito. non oso immaginare che caldo farà per un sold-out al Covo a fine Maggio…)
UPDATE: secondo il sito di DNA, il concerto è il 28 Maggio. Mettetevi d’accordo, basta che non dà pacco…
_ven 20/05 – Isis + Jesu, Estragon (so già che non avrò voglia di andarci. però il bizzarro "post-metal" degli Jesu non mi dispiace per nulla)
[* sì, lo so, è un semplice archivio di mp3, e ce l’abbiamo da sempre. ma visto che adesso che lo chiamano in altro modo sembra anche una cosa nuova, io mi adeguo. chissà che qualcuno non ci caschi]

giovedì, 24 02 2005

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Gioca con le api ma non punge
Lo dirò comunque, tanto è quello che pensereste tutti se vi metteste ad ascoltare l’intera discografia di Tori Amos, da Y Kant Tori read a The beekeper: l’unico modo per riuscire ad avere di nuovo da lei un buon album, di questi tempi, è che qualcuno abbia la decenza di rapire sua figlia ed ucciderla. Per una donna che ha raggiunto incredibili vette nella sua carriera portando il fardello di una violenza sessuale (Little Eartquakes) e di un aborto (From the choirgirl hotel) questa conclusione è ovvia: una Tori Amos felice, serena e materna è irrilevante, sterile e tirata a lucido come il suo volto sulla copertina del disco. Tori: è finita.
Con una massiccia dose di cinismo e senza troppi peli sulla lingua (ma -purtroppo- a ragione), il sempre lucido Dom Passantino di Stylus Magazine stronca così The Beekeeper, ultima fatica di Tori Amos, da pochissimo uscita per Epic. Difficile dargli torto: a meno di sconvolgenti rivelazioni al ventesimo ascolto, il nuovo disco della cantautrice americana è di gran lunga il suo disco più brutto. Una versione minore del già poco originale -ma riuscito- disco precedente (Scarlet’s Walk), al meglio; un lungo, noioso e autoreferenziale lavoro di un’artista che si è irrimediabilmente imborghesita e ha ormai poco da dire, al peggio.
Come capita anche a Passantino (la cui recensione continua su toni altrettanto feroci), tanta acredine non è casuale. Nonostante qua da noi sia mostruosamente sottovalutata, ritengo da sempre Tori Amos una delle autrici e performer migliori che ci siano in giro, e dopo tanti bei dischi (i due citati da Passantino, sono, non a caso, anche i miei preferiti) incappare in una lavoro tanto palesemente poco ispirato è una vera delusione. Certo, ci sono una manciata di buone canzoni (il singolo Sleeps with butterflies è melenso ma irresistibile, The power of orange knickers -duetto con Damien Rice, mica pizza e fichi- è una ballata classica incomprensibilmente ma apprezzabilmente trattenuta, Mother revolution è jazzata e drammatica quel tanto che basta a svettare nella noia imperante del resto del disco), ma su diciannove (!) brani è un po’ poco.
Tori stavolta ha deciso di giocare all’apicultrice, ma c’è be poco che punge da queste parti. La felicità per l’arte è una brutta bestia, si sa. E anche senza stare a sperare in drammi famigliari, almeno un po’ di maretta gliela possiamo augurare, no?

lunedì, 21 02 2005

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Inkiostro video aggregator
+ Fischerspooner – Just let go (tasto destro, salva con nome) – La loro Emerge è stato uno dei pezzi più ballati degli ultimi anni. Scommettiamo che il nuovo singolo -meno immediato, ma non meno bello- non sarà da meno? E il video tiene botta.
+ Bravery – Honest mistake (streaming) –
Per la serie ‘una next big thing al mese’, ecco i Bravery: prendete gli Strokes, aggiungetegli i Franz Ferdinand più anni ’80, et voilà, ecco l’ennesimo gruppo dell’anno. Se ne sentiva il bisogno? Probabilmente no: ma il disco funziona che è una meraviglia, e il video è assai carino. A latere, sono in copertina su Vogue Uomo di questo mese, che ha uno speciale sull’indie. Senza parole.
+ The Blow – Knowing the things that I know (tasto destro, salva con nome) – L’indie finisce su Vogue? Faccia pure, e si diverta. Io, da parte mia, alle riviste patinate preferisco una sconosciuta band che tra twee e indietronica fa un video in cui i protagonisti giocano a Magic. Che dite, mi si nota di più? 
+ Babyshambles – Killamangiro (streaming) – La nuova band dell’ex Libertines Pete Doherty, un uomo che entra ed esce di prigione e dalle cliniche di riabilitazione come dal letto di Kate Moss. Finora, a giudicare dallo stile immutato, non pare essergli servito granchè.
+ New Order – Krafty (streaming) – Il nuovo singolo dei New Order è una meraviglia, non c’è storia. Il suo video è anche più bello, pieno di quella tensione amorosa adolescenziale che nessuno vorrebbe dimenticare mai. Fortuna che ci sono in giro pezzi così. (via Polaroid)
+ James Yorkston & the Athletes – Shipwreckers (streaming) – Dal mio folkster preferito del momento, un video assai poco rurale. La contea di Fife me l’aspettavo diversa, ma la canzone merita assai.

+ Emilie Simon – Flowers (tasto destro, salva con nome) – Ho scoperto da poco la tenue elettronica glaciale di questa francesina, e me ne rammarico. Questo pezzo è del disco vecchio, ed è tanto (troppo?) pop; ma il video è una vera delizia.
+ Beck – Black tambourine (streaming) – Il disco non è neanche uscito e siamo già al secondo video: stavolta non più retrogaming come in Hell Yeah ma retrocomputing, con un clip interamente realizzato in ASCII-art. E ogni volta è sempre meno divertente. 
[le puntate precedenti del video aggregator sono qui  e qui]

venerdì, 18 02 2005

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Non si esce vivi dagli anni ’90
Lo dico? Lo dico. Il revival degli anni ’80 ci ha rotto i coglioni. All’inizio era divertente: tutti a ballare i Buggles ed Enola Gay con la faccia da scemi, a discutere dell’importanza dei paninari e del raeganismo per una generazione intera e a rivalutare i capelli cotonati e gli scaldamuscoli. Ma sono anni ormai, e noi ci siamo stufati di sentirci dire dai fratelli più grandi che noi a quel tempo eravamo piccoli e che quindi ogni nostalgia di quel periodo è per forza posticcia.
Ci siamo stufati di sentirci giovani, vogliamo sentirci un po’ vecchi anche noi: quando arriva questo benedetto revival degli anni ’90? Quando tornano di moda i camicioni di flanella, la lambada e Brandon Walsh? Ridateci la sana vecchia angoscia della generazione X, Pamela Anderson che corre sulle spiagge di Malibu, il grunge, il big beat, il french touch, il crossover, tangentopoli, l’ansia di essere alternativi, i rave, Trainspotting, videomusic, la pecora Dolly, il trip-hop, gli slacker di periferia, la new age e le vere boy-band, Twin Peaks e i Fool’s Garden, X-files e il Loollapalooza, Enrico Brizzi e la mucca pazza, Non è la rai e il britpop.
Basta Take on me, quando si potrà tornare a ballare senza sentirsi dei completo coglioni (ma anzi sobriamente à la page) Think about the way, Short dick man e This is the rhytm of the night? Del punk-funk facciamo a meno per altri 20 anni: al Covo vogliamo Mmm-bop degli Hanson (che non ha nulla da invidiare ad Hey Ya, secondo me) e I am happy dei Soerba..
[e anche stasera, ad Airbag, si parla di anni ’90. Alle 21 in streaming, o per una settimana dall’archivio mp3]

giovedì, 17 02 2005

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Musicofili di tutto il mondo, unitevi
Oggi sono un po’ stanco. Stamattina mi sono svegliato presto, e ieri sera ho fatto le 3. No, niente notti brave, ma semplicemente una serata passata insieme ad una Task Force nel tentativo di finire Nanopops, il quiz iconografico definitivo per il vero musicofilo. Scaricatevelo, e siate pronti a sputare sangue.
 

mercoledì, 26 01 2005

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Inkiostro Video Aggregator
Un’altra puntata del vostro wannabe V-blog preferito:
Beck – Ghettochip Malfunction (Hell Yes – 8-bit remix) (streaming) Nuovo singolo per Beck, già remixato in versione a 8 bit. Un’ode all’estetica da retrogaming.
LCD Soundsystem – Daft Punk is playing at my house (streaming) Due buone idee (parodiare -abbastanza ovvio- l’epocale video di Around the world e rappresentare i livelli dello stereo con omini colorati) buttate un po’ via. Con un video all’altezza, un singolone del genere poteva lasciare il segno.
Bjork – Triumph of the heart (streaming)
Il ritorno del buon Spike Jonze, per un video surreale come e più del solito. Il gatto da solo vale tutto il clip.
The Kills – The good ones (streaming)
Stiloso? Stiloso. Ben fatto? Ben fatto. Inutile? Inutile.
Devendra Banhart  – A ribbon (tasto destro, salva con nome)
Atmosferico al punto giusto, e realizzato magnificamente. Anche se non l’ha diretto lui, dietro c’è lo zampino di Gondry.
Postal Service – We will become silhouettes (streaming)
Tenta di essere raffinatamente vintage, invece è banalmente kitsch. E ancora al duo americano manca un video alla sua altezza.
Pinback – AFK (tasto destro, salva con nome)
L’immagine del telegrafo per spiegare la musica dei Pinback? Ci sta, ci sta. Fatto con pochi soldi, ma con dentro l’anima.
Adem – Ringing in my hear (streaming)
Il meglio che abbiamo, in attesa che qualcuno porti in Italia l’autore di uno dei dischi dell’anno. Promoter: sveglia!
Steriogram – Walkie-Talkie man (tasto destro, salva con nome)
Ignoro chi siano, e pare che non mi perda niente. Questo video ‘tessile’, però, è decisamente brillante. Dirige Michel ‘sì sono sempre io’ Gondry.

venerdì, 21 01 2005

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Succede – Winter 2005 nastrone
Succede che sia un periodo molto indaffarato, di quelli in cui ti svegli presto, lavori tanto e arrivi a sera che vuoi solo collassare a letto il più presto possibile. Succede che in un periodo del genere tu sia molto stressato, e quando sei stressato non hai quasi voglia di ascoltare musica. Succedono però altre due cose, contemporaneamente: il motorino ti lascia -di nuovo- a piedi e Bologna viene coperta da una copiosa nevicata. Succede quindi che tu sia costretto a tornare a muoverti a piedi, dopo anni che non lo facevi, e a riesumare il claudicante lettore cd/mp3 per fornire una colonna sonora ai tuoi interminabili spostamenti. Succede che, volta dopo volta, nei dischi nuovi che stai ascoltando trovi un buon numero di pezzi assai carini, e succede che li riunisci in un nastrone. Succede che lo posti sul blog.

1. Lcd Soundsystem – Daft punk is playing at my house (mp3 – grazie a Enzo)
state fermi, se ci riuscite.
2. Bloc Party – Like eating glass
se sento ancora dire in giro che sono i nuovi Franz Ferdinand..
3. Moving Units –Between us & them
sì, lo so che loro sono i Television without personality (cit.), ma a me fanno impazzire. nel loro genere (e nel 2004) tra i migliori.
4. Hood – The negatives
indietronica melodrammatica, wow. 
5. Radio Dept – This past week
dura combattere con le aspettative alte. Eppure c’è chi ci riesce.
6. Postal Service – Be still my heart (mp3)
Ben Gibbard basta che respiri, e da queste parti ci si ammutolisce.
7. Tori Amos – Sleeps with butterflies (mp3)
sigolo che anticipa il nuovo disco. melenso a livelli quasi insopportabili, ma incantevole.
8. Vancouver – The poser, the lovers and the poet (mp3)
se n’è già scritto: la band parmense ha fatto centro.
9. Stars – Your ex lover is dead
la scena canadese regala ancora perle: il miglior indiepop che ci sia in giro al momento.
10. Aqueduct – The suggestion box
onore al fiuto de laLaura. Una scoperta.
11. Jens Lekman – A man walks into a bar
da You are the light EP, una delle migliori canzoni in assoluto del genietto svedese.
12. Low – Monkey (mp3)
volume e pathos: i Low non sono più quelli di una volta. O siamo cambiati noi?
13. Patrick Wolf – Tristan
il secondo disco è ancora meglio del primo, ed è tutto dire. e questo pezzo spacca.
14. Iron and wine – Woman king (mp3)
meno sussurrato, più ritmato. uno dei suoi pezzi migliori di tutti i tempi.
15. Kings of Convenience feat. Bart Davenport – Gatekeeper (Feist cover – live) (mp3)
nevicava, che vi devo dire.
16. The Decemberists – The engine driver
come al solito non mi convincono al 100%. ma come al solito c’è sempre una canzone che mi fa secco.
17. Nick Cave & the bad seeds – Under this moon
come capita spesso, una B-side migliore dei pezzi del disco. Un classico fin dal primo ascolto.
18. Beck – Hell Yeah (mp3)
Beck is back (ahaha), ed è quello di una volta. Hell Yeah!
[parte di questi pezzi potrete ascoltarli stasera su Airbag, che per il resto ha una rutilante monografia dedicata all’alcool]

lunedì, 20 12 2004

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I miei 10 dischi del 2004
E’ stata dura, ma anche quest’anno è fatta: ecco la mia top ten musicale per l’anno che sta per finire. Poteva andare peggio, via.
[Avvertenza: toni molto celebrativi. Se siete allergici all’ironia, alle classifiche e all’esaltazione smodata di dischi che a voi potrebbero anche non dire nulla, passate oltre. Per tutti gli altri: accomodatevi e polemizziamo pure]

10. Lars Horntveth – Pooka
Come scrivevo qui, la musica di Lars Horntveth è quanto di più simile a una (bella) serata d’autunno mi sia capitato per le mani da un po’. L’indietronica incontra il jazz che incontra le colonne sonore, il tutto con una perfezione talmente matematica che -ne sono sicuro- se ne scoprissi l’algoritmo che ne descrive il suono sarebbe lo stesso che determina la traiettoria di una foglia quando cade dall’albero. Basta ascoltarlo, e si spiega da sè.

9. Piano Magic – The troubled sleep of piano magic
Scrivevo qui: L’ho capito dalle prime note di Saint Marie che un disco così fuori dal tempo, che se ne frega più o meno di tutto e di tutti, mi avrebbe conquistato. Colpisce al cuore più che al cervello, e non se ne va più. E’ passato quasi un anno, e non se n’è andato.

8. Blonde Redhead – Misery is a butterfly
Sempre da qui: Non perchè da anni sono tra i migliori, non per la costante evoluzione senza passi falsi, non per l’hype che li circonda nè perchè 2/3 hanno origine italiana: solo e semplicemente perchè è bellissimo. Languidezza impagabile, qualità altissima, classe rara.

7. Wilco – A ghost is born
Non pensavo l’avrei messo nella mia top ten: nella sua interezza non mi ha mai preso del tutto. Ma qualche giorno fa l’ho riascoltato, e mi sono accorto di quanto Jeff Tweedy abbia spesso detto quasi tutto quello che c’era da dire, e quasi sempre nel modo in cui andava fatto. Ed è proprio quel quasi a fare la differenza. Imperfetto, per fortuna. 

6. Iron and Wine – Our endless numbered days
Se il 2003 è stato l’anno del del punk-funk, il 2004 è stato l’anno del ritorno del folk. Folk in grande stile, però, che dietro a una voce e una chitarra nasconde una produzione impeccabile e arrangiamenti curatissimi. Come quello di Sam Beam, che con l’aiuto di Brian Deck ha trovato il modo giusto per cantare dei suoi interminabili giorni contati. Poi ci sono le canzoni, ovviamente. Ma che’vve lo dico a’ffà? 

5. Jens Lekman – When I said I wanted to be your dog
Immaginate Frank Sinatra ai tempi dell’indiepop: quello che otterrete è abbastanza vicino a Jens Lekman. Il cui disco d’esordio (arrivato dopo talmente tanti EP che noi l’adoravamo già) al primo ascolto è già un classico. Questione di personalità, e qui ce n’è da vendere.

4. Morrissey – You are the quarry
Se fosse il libretto delle giustificazioni del liceo scriverei: motivi personali. Per me quello appena trascorso è stato l’anno della riscoperta degli Smiths e di Morrissey, e il fatto che sia coinciso col suo ritono in grande stile, con quello che è probabilmente il suo più bel album solista, mostra un’appropriatezza che non può non essere celebrata. Senza storie, uno dei più grandi là fuori.

3. Adem – Homesongs 
Metà di questo disco è buon folk ottimamente arrangiato (Adem è un amichetto di Four tet, non scordiamolo); l’altra metà -semplicemente- ti fa secco. Almeno 5 pezzi di un’intensità e una tristezza devastanti, seriamente pericolosi per l’equilibrio umorale. Maneggiare con cautela. [Un mp3]

2. Pinback – Summer in Abaddon
Non riesco a spiegare perchè mi piaccia tanto; ci ho già provato ma non credo di esserci riuscito. Un disco che mi è tanto familiare nei suoi riferimenti quanto incomprensibile nel suo esito. Una matassa geometrica da dipanare ascolto dopo ascolto, che dopo 3 mesi nel lettore sta ancora tra i dischi in heavy rotation. Praticamente un miracolo, di questi tempi. [Un mp3]

1. Modest Mouse – Good news for people who love bad news 
C’è bisogno di dirlo di nuovo? C’è dentro Float on, e già potrebbe bastare. Ma poi, come ho già scritto, qui si parla del disco giusto al momento giusto, che con la sua aura da the good times are killing me (in qualunque dei due sensi lo si voglia interpretare) è stato la colonna sonora di un sacco di cose. Quei ricordi rimarranno attaccati come dei post-it, e il fatto di non poterli strappare via sarà contemporaneamente inebriante e insopportabile. Ed è esattamente ciò che dovrebbere accadere a tutti i buoni dischi.
Un disco lungo un anno. Forse di più.

lunedì, 13 12 2004

nessun titolo

Inkiostro video aggregator
Visto che di (ottimi) M-blog ce ne sono in abbondanza, oggi (ma solo oggi) mi reinvento V-blog.
+ Chemical Brothers – Galvanized (tasto destro, salva con nome) Un tempo non sbagliavano un colpo, nè coi video nè coi singoli. Con questo li hanno sbagliati entrambi?
+ Morrissey – I have forgiven Jesus (streaming) Il buon Moz nelle inedite vesti da prete. Ho detto tutto.
+ Joanna Newsom – Sprout and the bean (tasto destro, salva con nome) Come al solito a metà tra Vashti Bunyan, Alvin superstar e Loreena McKennit. Adorabile o insopportabile?
+ Unicorns – Jelly Bones (tasto destro, salva con nome) Completamente fuori di melone. Giaggià.
+ Broken Social Scene – Acoustic live @ Kataweb (streaming) Ben 5 canzoni live, in acustico, negli studi di Kataweb, per i protagonisti di uno dei concerti dell’anno.
+ Nick Cave & the bad seeds – Breathless (tasto destro, salva con nome) I coniglietti! Argh, i coniglietti! Aiuto, qualcuno faccia qualcosa!
+ Bloc Party – So here we are, Helicopter, Little thoughts e Banquet (tasto destro, salva con nome) Videografia completa -finora- per la promessa rock (già mantenuta) del 2005.
+ Castanets – As you do (tasto destro, salva con nome) Gran pezzo folk da un disco interessante ma un po’ sopravvalutato. Il video è tra i più brutti mai visti, però.
+ Go! Team – Ladyflash (tasto destro, salva con nome) Con una canzone del genere si poteva fare un video memoriabile. E invece no.

lunedì, 22 03 2004

Ricordi e rosmarino

[mettetevi comodi, è un po' lungo; del resto l'argomento lo merita]

Se siete stati almeno una volta a Granada, in Andalusìa, non avete potuto non notarle; durante il giorno, agli angoli delle strade del centro, le donne zingare avvicinano i turisti parlandogli senza vergogna o cortesia, tentando di convincerli ad accettare i rametti di rosmarino portafortuna che offrono in cambio di qualche spicciolo. Ve lo ricordate, il rosmarino? Sì, vero? Bene, è esattamente quello che Suzanne Vega vuole da voi. Di per sè, ovviamente, non si tratta di niente di eccezionale. Il rosmarino, però, è un simbolo, e come tutti i simboli ci permette di ricordare cose ben più importanti, come i momenti in cui li abbiamo ricevuti, e ciò che hanno significato per noi. E' proprio per questo che Suzanne Vega ha scelto questa parola, Rosemary, per dare il titolo alla sua canzone più bella, che proprio di Granada -e del ricordo– parla.
Rosemary è una perla nascosta: non si trova su nessuno degli album della cantautrice newyorkese, ma esclusivamente come inedito suoi suoi due Best (Tried and True e Retrospective), e nonostante la sua grande bellezza (o forse proprio per questo), è praticamente sconosciuta al grande pubblico.

Do you remember when you walked with me,
down the street into the square?
How the women selling rosemary
pressed the branches to your chest,
promised luck and all the rest,
put their fingers in your hair?

E' una canzone che vuol fare ricordare, e vuol farsi ricordare, che parla del viaggio in una delle città più affascinanti del mondo, dell'incontro fulminante che vi è avvenuto, e della magia delle cose che non possono essere. Parla di un accident of fate, della coincidenza che ha fatto incontrare Suzanne con una persona di cui noi non sappiamo (e non sapremo) niente di più, dei giorni passati insieme, e delle passeggiate primaverili attraverso i bellissimi giardini della città.
Quando sono stato a Granada, quasi tre anni fa, il primo posto che ho visitato non è il grandioso complesso di palazzi e giardini dell'Alhambra, nè il pittoresco quartiere moresco dell'Albaìcin, e neppure la monumentale zona cristiana, ma la sconosciuta e deserta Carmen de los martires, niente di più che una villa ottocentesca diroccata con un piccolo parco intorno. Non potevo esimermi, ovviamente, dal seguire i passi di Suzanne Vega, e dal farmi incantare dalla placida e quotidiana bellezza di un parco, arso dal sole, le cui glorie sono ormai passate, e le cui assenze sono più importanti delle presenze:

In the Carmen of the Martyrs,
with the statues in the courtyard
whose heads and hands were taken,
in the burden of the sun;
I had come to meet you
with a question in my footsteps.
I was going up the hillside
and the journey just begun.

La «domanda nei suoi passi» (anche voi ne avete conosciute di persone i cui passi erano delle domande?), l'attenzione per le parti delle statue rubate dal popolo nel corso dei secoli (per il loro presunto potere beneaugurante), lo sguardo non comune che si sofferma sui dettagli minimi invece che sui soggetto sotto i riflettori (ricordate l'arcifamosa Tom's diner, con la sua descrizione di una tavola calda in un giorno qualunque?) sono tutte espressioni esatte della cifra stilistica di Suzanne Vega.
In Italy in Spring -probabilmente la sua migliore poesia (non contando i suoi testi, ovviamente)- l'autrice newyorkese spiega la sua poetica, illustrando chi sono le persone a nome di cui tenta di parlare:

«Who do tou speak for?»:

«The man in the corner
with the wish to be free.
The girl with no voice,
and no choice against the hardened language»

L'attenzione al linguaggio, lo sfrozo nel modellarlo per fargli assumere la forma più vicina possibile al pensiero, è un tema tipico in Suzanne Vega. Ad esempio in Language (da Solitude Standing, 1987), la folksinger si rammarica per l'impossibilità delle parole, «solide», di cogliere le sfumature, «liquide», del pensiero, che in un attimo se ne vanno senza tornare mai più.
Ma sono i versi finali di Italy in spring, altissimi, a condensare in modo perfetto la particolarità e l'unicità della sua voce. Continuando a rispondere alla domanda «A nome di chi parli?», Suzanne Vega risponde:


«The person in the cell
with the window so high
that you fall to your knees
if you want to see the sky»

La potenza e la semplicità dell'immagine della persona in prigione, che a causa dell'altezza della finestra è costretta ad inginocchiarsi per vedere il cielo, e la rima che incornicia queste parole, sono l'esempio migliore dell'alchimia sottile su cui si regge l'efficacia lirica delle composizioni dell'autrice newyorkese. E ciò ci permette di capire appieno la strofa successiva di Rosemary, in cui una serie di rime e allitterazioni sono il modo migliore per alludere ai sogni che si affacciano alla nostra realtà senza potervi accedere:


My sister says she never dreams at night
there are days when I know why;
those possibilities within her sight,
with no way of coming true.
'Cause some things just don't get through
into this world, although they try.

L'interpretazione dell'assenza di sogni come rifiuto delle realtà alternative -a volte desiderabili, quasi sempre impossibili- che essi profilano non è casuale. Il legame con il tema principale della canzone -il ricordo- è chiaro: il viaggio a Granada è stato memorabile, e sarà ricordato soprattutto per le cose che non sono successe, per quelle che sono state sognate, desiderate, sfiorate (We skirt around the danger zone and don't talk about it later, canta l'autrice in Marlene on the wall) ma non si sono compiute, assenti come le parti delle statue della Carmen de los martires.
E così arriva inaspettato il finale della canzone, dopo neanche 3 minuti, brusco e improvviso come un risveglio inatteso, ma dolce esattamente come la cosa che un attimo prima si stava sognando.
Ed è una semplice richiesta: Ricordami.


All I know of you is in my memory
And all I ask is you remember me

 

[Potete trovare Rosemary nel primo best di Suzannne Vega, Tried and True (A&M, 1998), mentre Italy in spring è nel libro Solitude Standing – Racconti, poesie, canzoni inedite (Minimum fax, 2000), di cui è comunque consigliatissima l'edizione originale (The passionate eye – The collected writings of Suzanne Vega, HarperCollins, 1999), molto più bella graficamente e ricca nei contenuti]