[Si cercano suggerimenti per interpretazioni creative della figura che campeggia sul retro dei deodoranti Axe. Io la trovo un po’ inquietante.]
[Si cercano suggerimenti per interpretazioni creative della figura che campeggia sul retro dei deodoranti Axe. Io la trovo un po’ inquietante.]
Dopo un sabato al mare (all’Hana-bi di Marina di Ravenna, ovviamente) in cui, più o meno per caso, sotto il tuo ombrellone si sono ritrovati amici, parenti, colleghi di lavoro, compagni di radio e blogger (a un certo punto eravamo circa in 20; e l’unico che conosceva tutti ero io), e dopo una serata segnata dalla follia collettiva generata dal concerto degli I’m from Barcelona, stavo guardando qualche frammento del video (quasi) integrale del concerto, girato e postato da Icepick sul suo (giovane) blog, e ho pensato che, in un anno, non sono molte le giornate in cui si riesce a sentirsi così.
[la foto è di accentosvedese]
Se si è appassionati di musica in Italia è difficile non aver incrociato i Mariposa. Autori vulcanici e molto prolifici, straordinari padroni di casa dell’ottimo show radiofonico distribuito Magazzeno Bis (le puntate sono ancora tutte scaricabili da qui), e gestori de La famosa etichetta Trovarobato, i Mariposa travalicano i generi e non fanno parte di nessuna parrocchia. Un’identità originalissima e sfuggente che in termini di popolarità e successo paga poco, ma che gli permette -e non da oggi- di essere una delle band italiane che ha davvero qualcosa da dire.
Il loro ultimo disco, Best Company, è uscito qualche mese fa, e raccoglie molte delle cover registrate dalla band in circa 10 anni di attività. C’è il singolone Obla-di Obla-da ibridato con il tema di Altrimenti di arrabbiamo, originariamente uscito sulla compilation Let it boom (è davvero un must; potete ascoltarlo e scaricarlo dal loro MySpace); ci sono De Andrè, Jannacci e Gaber, ci sono gli Stormy Six e i Gong, ma soprattutto c’è la folle cover della Smells like teen spirit italiana (Male di miele degli Afterhours, ovviamente), pubblicata la prima volta un paio di anni fa su Lo zecchino d’oro dell’Underground. Come gli vengano in mente idee simili per me è un mistero; di solito, però, funzionano. Lunga vita ai Mariposa.
Mariposa – Male di miele (Afterhours cover) (MP3)
[i personaggi di Charlie Brown ridisegnati in versione manga. Qui sopra Lucy, Linus e Charlie Brown, altri ancora (peggiori, se possibile) qui]
[previously: The Simpsonzu, la versione anime dei Simpson]
Questa mattina mi sono presentato in ufficio con uno zaino da trekking pieno di vestiti, un paio di libri e lo spazzolino da denti, e ho dichiarato «Stasera dormo qui». La notizia non ha suscitato reazioni apprezzabili. Ho provato a rilanciare spiegando che ho dovuto lasciare la casa per qualche giorno a una ragazza indiano-neozelandese, ma anche questo dettaglio vagamente mondano è caduto nel vuoto. Allora ho grugnito, mi sono seduto, e ho cominciato a lavorare.
Sono un po’ stanco, stamattina. Ieri sera, dopo 10 ore di lavoro spese a litigare con Zope, javascipt, CSS e una community di esibizionisti, ho passato tutta la serata a stirare una montagna di camicie arretrate, guardando un paio di puntate della pessima ultima serie di The O.C. L’altroieri, invece, dopo mezza giornata trascorsa a riprendermi dal caldo, sono stato al concerto in spiaggia di un trio femminile newyorkese che vedeva tra le sue fila una sosia di Mischa Barton, l’incrocio tra Emily The Strange e Chloe Sevigny (cit.) e una specie di fotomodella travestita daù bibliotecaria porca. Il giorno prima ho comprato un paio di scarpe di tela da 30 euro, e la sera ho visto un concerto su un balcone (sul balcone il concerto, non io). Venerdì ho trascorso qualche ora nella stessa stanza con una copia degli prima edizione degli Iuvenilia di Carducci (me’cojoni), e la sera mi sono quasi commosso passando alla radio Videoginnastica degli Scisma. Il giorno prima ho lavorato da casa, praticamente in mutande, tutto il giorno, e ho prodotto quanto di solito produco in una settimana.
Sì, sono giorni un po’ strani, questi qua.
Sarà il caldo impossibile o saranno le vacanze che si avvicinano: quel che è, ma torna il Monday Gaming. Da tempo non incappavo in un giochino diabolico e contagioso come Bloxorz: un principio banale, poche regole, livelli ben costruiti e una lunghezza di tutto rispetto. Bolla, a cui va la mia gratutudine per la segnalazione, ne scrive estesamente, definendolo «il gioco definitivo. in assoluto» ed elencando 5 motivi per cui non potete fare a meno di giocarci. Come dargli torto?
In un’annata in cui lo stereo è stato monopolizzato da ottime riconferme piuttosto che da nuove scoperte (se dovessi buttar giù su due piedi una classifica del dischi dell’anno, in cima ci starebbero LCD Soundsystem, Wilco, Modest Mouse, Maximo Park, !!!, a non molti altri), era normale cadere vittima anche del ritorno di Iron and wine. Il barbuto folksinger del South Carolina esce a settembre con il nuovo The shepherd’s dog, che fa seguito all’ormai classico Our endless numbered day e all’ancora migliore Woman King EP e ne è in qualche modo la summa, incorporando le sue ballad sussurrate, figlie di una tradizione americana che evoca fattorie del west, verande e sedie a dondolo, all’interno di arrangiamenti, percussivi e quasi sincopati, decisamente più curati. Nella sua totalità il disco non è probabilmente all’altezza dei precedenti; ma bastano un paio di canzoni (il bellissimo singolo Boy with a coin, in rotazione altissima sul mio lettore mp3, e la ballata Resurrection fern) per spazzare via (quasi) tutti gli altri folkster impegnati nel tentativo di creare un nuovo suono classico per la tradizione americana. Il segreto, secondo me, sta nella barba.
Iron & Wine – Boy with a coin (MP3)
Iron and Wine – Resurrection fern (MP3)
L’altro giorno, sconsolato, mi guardavo in giro: le Crocs sono ovunque. Le mostruose calzature a metà tra lo zoccolo della nonna e il sandalo che i genitori costringono i bambini ad indossare per camminare sugli scogli sono la perfetta materializzazione estiva del peggior incubo di ogni amante del buon gusto. Sono talmente brutte che rivalutano in un sol colpo generazioni e generazioni di sandali ortopedici, scarpe traspiranti, infradito più o meno tamarre, espadrillas, ciabatte col calzino bianco di spugna e via andare. Bush si è fatto fotografare mentre le indossava (foto), c’è chi si sposa con quegli abomini ai piedi (foto) -mi chiedo che genitori siano- e l’altra sera, in centro, ne ho incrociate almeno una ventina.
Per conoscere il nemico c’è un bell’articolo di Slate, e per combatterlo c’è la bibbia www.IHateCrocs.com (sottotitolo: «odio le Crocs così tanto che ho comprato il dominio»), la cui autrice si esibisce in memorabili opere distruttive come quella qua sotto. La resistenza è appena cominciata.
[fotografato ieri sera in Via Indipendenza, a due passi da Piazza Maggiore. Strategia di marketing virale? Volantino di laurea? Velata campagna di protesta sociale? Semplice presa per il culo? Nel dubbio, anche se sarei curioso, io il numero non l’ho chiamato]
Con il doppio finale col botto di Bullets (insieme al singolo Bricks uno degli episodi migliori del nuovo Good Arrows, in uscita tra poco più di un mese) e The Pioneers (la splendida cover dei Bloc Party che l’anno scorso ha monopolizzato i miei ascolti) i Tunng ieri sera hanno concluso nel migliore dei modi il concerto in Piazza Verdi che apre la rassegna estiva Julive. Negli anni su queste pagine si è parlato spesso e volentieri della band inglese, per la sua perizia nello sporcare un folk ctonio e ipnotico con certa glitchtronica che, se sulla carta sembra assai distante, nella realtà realizza una quadratura del cerchio che permette alla band di sgusciare fuori dai limiti che di solito intrappolano i gruppi folk. Era la terza volta in un anno che li vedevo live, e confermo l’ottima impressione: i Tunng sono qui per restare.
Tunng – Bullets(MP3)
Tunng – The Pioneers (Bloc Party cover) (MP3)
[E quando uno crede di avere una vita triste, vede il video di questo tizio che vive con cento sex dolls, e più che trovarlo inquietante (cosa che indubitabilmente è), lo trova anche in qualche modo rincuorante, perchè c’è chi sta messo peggio di lui. Parecchio peggio, via]
[La collapsing bookshelf KC riassume bene lo spirito e le condizioni psicofisiche in questo inizio settimana. Grazie a Paola per la segnalazione]
Io ho sempre sognato di essere Madrox, l’Uomo multiplo – 9 Superhero Powers That Would Be More Trouble Than They’re Worth.
Eternal sunshine è qui – Che tra poco Lacuna,Inc. diventi realtà? (grazie Palaz)
Plagio, plagio! – L’ultimo singolo di Avril Lavigne, Girlfriend, è copiato da I wanna be your Boyfriend, un oscuro pezzo di una oscura band della fine degli anni ’70? L’interessata smentisce offesa. Giudicate voi:
Avril Lavigne – Girlfiend (30 sec) (MP3)
The Rubinoes – I wanna be your boyfriend (30 sec) (MP3)
Non ve l’avevo mai detto? Nuxx è un genio – Sul suo blog, Nuxx firma uno spettacolare mash-up verbale tra il testo di Robespierre degli Offlaga e quello de Gli Anni degli 883: 883 Disco Max – Gli Anni di Robespierre.
Il brand è importante – Interessantissima categorizzazione dei loghi delle organizzazioni terroristiche. Vanno per la maggiore: la stella (sì, ci sono anche le BR), un fucile, due fucili (o altre armi) incrociati, teschi, animali con più teste, simboli religiosi in genere.
I know a place where no cars go – Ieri sera a Ferrara gli Arcade Fire sono stati eccezionali. Non sono mai stato un loro grande fan (come avrete intuito dalle volte che ne ho parlato su queste pagine; e, ancor di più, dalle volte che NON ne ho parlato), ma il loro concerto è stato uno dei migliori che io abbia visto di recente. I pezzi che su disco non mi convincono dal vivo hanno un senso, i singoli spaccano, la band è eccellente e lo show è magnificamente orchestrato. Status di culto pienamente meritato. Scarica:
Arcade Fire – Live @ NPR 17/02/07 (MP3 – 1 file, 77 minuti)
Arcade Fire – Live in Boston, 10/05/07 (link – 19 MP3)
Quanto a fondo può zoomare? – I rivoluzionari segreti del pinch, il gesto introdotto dall’iPhone per zoomare le immagini.
Gente con troppo tempo libero /1 – Periodic table of the internet.
Gente con troppo tempo libero /2 – Anch’io vorrei tanto inserire il mio cellulare nel joypad di un Nintendo NES.
Tale padre, tale figlio? – Jethro Lazenby, primogenito nato fuori dal matrimonio di Nick Cave, dopo aver fatto il modello, ora ha recitato in un film. Nome d’arte? Jethro Cave, ovviamente.
Ci ha preso gusto – Il misteriosissimo trailer del misteriosissimo film di JJ Abrahms (Mr. Lost): anche se il film magari farà cagare, è già l’operazione di marketing ad essere una piccola opera d’arte. (grazie Junkiepop)
Il solito, geniale, Leonardo – Il duce, le tette e la televisione estiva: Leonardo su Piste.
[ Pensiero stupendo /1 invece vedeva come protagonista un iPod]
NME sta antipatico a tutti, è chiaro. La fatua regina delle riviste musicali inglesi, regno delle next big thing usa e getta e dei nuovi generi musicali a colazione (quest’anno vengono serviti il new rave, il dubstep e chissà cos’altro, non sono aggiornato) è ormai buona giusto per fare un po’ di colore e poco più, e la sua autorevolezza è in caduta libera da anni. Da quando però ha deciso di sposare la causa della giunonica Beth Ditto, già leader dei The Gossip, attivista lesbica e nuova regina del cool (pare sia pure amica di Kate Moss; leggere e guardare la foto per credere), qualcosa, forse, è cambiato. Per quanto sponsorizzare ogni tre per due la straripante Beth possa essere una mossa furba e poco autentica, la cosa paga un po’ per tutti; il giornale ci fa la figura del paladino delle minoranze che sfida i canoni della bellezza femminile a favore dell’autenticità, i The Gossip fanno il botto e ora sono freschi freschi di firma con una major, e magari -dubito, ma chissà- in giro c’è qualche ragazzina anoressica in meno.
In quest’ottica, cosa c’entra la copertina (che in realtà è la controcopertina, ma vabbè) dell’ultimo NME, che fa il verso alla nota cover con Beth Ditto nuda mettendo nei suoi panni Eddie Argos degli Art Brut, un altro che in quanto a mettere in discussione i classici canoni della bellezza non scherza? Forse niente. O forse no. L’autoironia dei due personaggi è la chiave di volta, ma il messaggio che oltre ai The View, Little Man Tate, Klaxons e compagnia cantante c’è vita intelligente nell’universo, passa.
NME rimane una lettura tendenzialmente inutile e vacua ma, non so, adesso a me sta un pochino più simpatica.
The Gossip – Listen up! (MSTRKFT remix) (MP3)
Art Brut – Post soothing out (MP3)
Non so come ha fatto a sfuggirmi fino ad ora una perla del genere: Tom Jones che al concerto in onore di Lady D rifà I bet you look good on the dancefloor degli Arctic Monkeys. Se vi piace Tom Jones, non è neanche male.
Tom Jones – I bet you look good on the dancefloor (Arctic Monkeys cover) (MP3)
Prima di guardarlo, di Everything’s gone green sapevo solo una cosa (ma ve la dico dopo). Per il resto non avevo mai sentito nominare il regista Paul Fox (che infatti ha diretto appena una manciata di film a me ignoti e un po’ di episodi di serie Tv a me ignote), nè il protagonista Paulo Costanzo (che ha fatto un po’ di teen movies di poco riguardo e interpretava il nipote del protagonista nello spin-off di Friends, Joey), non avevo letto recensioni di alcun genere nè il film mi era stato consigliato (è uscito negli Usa solo da un paio di mesi, e prima solo in Canada); insomma, non avevo assolutamente idea di cosa mi sarei dovuto aspettare.
Titoli di testa. Metropoli occidentale. Maschio quasi trentenne, WASP. Nel giro di un giorno per motivi futili perde casa, lavoro e ragazza, per lo più insoddisfacenti. Ha una famiglia bizzarra. Non sa cosa vuole dalla vita. Un paio di eventi curiosi. Un paio di incontri fatali ma irrisolti. Trova un nuovo lavoro. Conosce nuova gente. Guarda il mondo da un oblò, si annoia un po’. S’innamora, ma anche no. Fa i soldi. Si monta la testa, ma anche no. Finale. Titoli di coda.
Sembra ordinaria amministrazione, già. Il nuovo Garden State? La commedia indipendente che vince il Sundance ma che non piace neanche alla sua giuria? Muccino, magari?
Macchè: Coupland. Everything’s gone green è il primo film interamente scritto da Douglas Coupland.
Di film su trentenni che non sanno cosa vogliono dalla vita ne abbiamo visti a decine, e di solito fanno schifo. Alcuni hanno qualche buona idea, o la colonna sonora giusta, oppure sono semplicemente ben fatti; e anche se siamo ben consci del loro valore, basta poco per rispecchiarcisi e attribuirgli un valore superiore a quello che hanno. Funzona così.
La cosa che stupisce è che un nome leggendario come Coupland, già autore di 3/4 libri assolutamente fondamentali e di almeno altrettanti (i più recenti) progressivamente sempre più insoddisfacenti, scelga un genere così ritrito per il suo esordio come autore cinematografico.
Non che la sua penna non si veda. tutt’altro. Il film è pervaso (funestato, direbbe qualcuno) da parecchi temi cari alle sue produzioni più recenti: genitori che invecchiando diventano incoscenti come bambini (e finiscono per impegnarsi in strane coltivazioni nel seminterrato), Vancouver e la sua surreale abbondanza di set cinematografici, l’ossessione per le professioni bizzarre (ma che lavoro è il ‘designer di campi da golf’?), la Cina e la mafia cinese, rapporti sessuali e sentimentali raccontati (e forse vissuti) nel modo meno sessuale che si possa immaginare, e così via. Coupland che cita Coupland, anche qui.
Ed esattamente come nel recente JPod (del quale, peraltro, è in preparazione nientemeno che una serie Tv, che debutterà in Canada già il prossimi Gennaio; ho i brividi al solo pensiero), Coupland vuole strafare, e, mettendo troppa carne al fuoco, nella seconda parte del film rovina anche quanto di buono ha seminato nella prima metà.
Perchè, e questa è forse la scoperta più lieta di tutto Everything’s gone green, la trasposizione dello stile letterario di Coupland sullo schermo funziona, e il suo spirito rimane intatto, perdendo in verve ma guadagnando in forza e nitidezza, nutrendosi dei paesaggi mozzafiato di Vancouver e dell’ottima recitazione dei protagonisti, per riuscire nell’impresa sempre improbabile di rendere su schermo le peculiarità di un autore sulla carta.
Come al solito le buone idee ci sono (alcune sono ottime, come le riflessioni sul rapporto col denaro, e forse anche col capitalismo, che delineano l’immagine di un Coupland quasi politico che mi incuriosisce molto), ma vengono progressivamente ignorate a favore di un intreccio confuso e piuttosto futile che sfocia in un finale dimenticabile che lascia l’amaro in bocca. Volendo vedere il bicchiere mezzo vuoto, la piega narrativa che stanno prendendo gli ultimi lavori di Coupland è inspiegabile e inquietante; concentrandosi sul bicchiere mezzo pieno, il Coupland cinematografico ha un suo perchè che in futuro potrebbe darci qualche soddisfazione. Chissà. Finchè continua coi titoli presi da canzoni inglesi degli anni ’80, semaforo verde, siamo con lui.
Oggi sono un po’ più stanco del solito. In queste notti dormo molto male (e dire che non è neanche troppo caldo), e faccio spesso dei sogni assurdi. In quello di ieri, ad esempio, c’era Fabrizio Frizzi con ai piedi delle Crocs, che conduceva una puntata de I soliti sospetti in cui le professioni da indovinare erano Pittore, Giocatore di tennis, Collezionista di pipe, Giardiniere, Puttana, proprio come in quella canzone di Remo Remotti. C’è qualcosa che non va, dite?
Remo Remotti – Professionismo e non (MP3)
[come molte delle librerie segnalate da queste parti, la See Saw Bookshelf probabilmente è più bella vuota. Più che altro mi chiedo: se la riempi sta in equilibrio?]
[grazie a Emanuel]
Lasciamo perdere lo storyline (recuperare un bicchiere di latte??!?), l’inevitabile caricamento lento e il fatto che rifarsi ai giochi da tavola riporta l’interazione indietro di 20 anni: Get the glass è forse il web-game in flash visivamente più bello mai visto. E non è neanche male da giocare, vi dirò.
[grazie Magenta]
Come ricorderete, un paio di settimane fa ho dedicato un post ad Alessandro Raina, controverso personaggio della scena musicale indipendente capace di attirare sia lodi per le sue recenti produzioni che critiche e prese per il culo per il personaggio un po’ maudit che da sempre incarna. Dopo aver letto il post, Raina mi ha scritto una lunga (anzi: molto lunga) mail in cui argomenta le sue scelte e risponde a molte delle critiche che riportavo, sollevando molti punti interessanti che in più di un caso vanno oltre il suo caso specifico. La riporto interamente qui (su suo permesso); se avete una decina di minuti a disposizione merita la lettura e, se volete, un commento.
Caro Inkiostro,
ti scrivo innanzitutto per ringraziarti delle belle parole che spendi sul mio disco e sulla mia cover dei Bloc Party. Ho letto il post in un luogo non casuale. Oggi sono stato a Bologna, all’Alpha studio, il luogo dove anni fa entrai da sprovveduto fan dei GDM per cantare una loro canzone, e dove rimasi per i tre giorni successivi in cui mi fu dato il compito di cantare praticamente tutte le canzoni che avrebbero poi composto Punk… not diet.
Oggi ero lì per mettere la voce su un brano di un gruppo che ha qualche affinità con i GDM e sono stato ben felice di farlo, ancora di piu’ sapendo che prima di me aveva fatto la stessa cosa Jonathan Clancy. Apparire su un disco dove canta anche lui è motivo di soddisfazione. Il gruppo in questione sono i Kobenhavn Store.
Ti scrivo perchè mi sembri un ascoltatore entusiasta e preparato, pertanto trovo opportuno fare alcune considerazioni sul tuo post, che mi ha fatto tornare alla mente episodi importanti, belli e a volte un pò tragicomici della mia vita recente. E’ vero, i primi concerti con i GDM mi videro fragile e incerto. Ero un fan che di punto in bianco veniva catapultato su palchi davanti ai quali non c’erano mai meno di 4 o 500 persone (per non parlare delle migliaia dei festival grandi, tipo Urbino, Neapolis o Sherwood). Improvvisamente passavo dallo stare in prima fila ai concerti del mio gruppo preferito a diventarne il cantante, e -volenti o nolenti- il frontman. Si colse da subito una grande ostilità della ‘base’.
Si sa, l’Italia è un paese provinciale e conservatore in tutto, cerca disperatamente una dimensione cosmopolita e ricade perennemente sulle polemicucce da quartiere e soprattutto guai a toccargli le sue piccole sicurezze. E i GDM, come band strumentale Mogwai-derivata, erano una certezza per chi non aspettava altro che sentire Jukka aprire i suoi dodici delay e Corrado far ruggire i distorsori.
Dopo i primi concerti mi resi conto di una cosa. Chiunque ci fosse stato al posto mio sarebbe stato lapidato, anche se nessuno considerava mai quanto fosse difficile cantare intonati su un simile muro di suoni, con poche prove alle spalle e un gruppo che ancora non aveva assimilato la presenza di una nuova sorgente sonora…Se aggiungi che al primo concerto fra il pubblico c’era Emidio Clementi, un altro mio idolo di allora, puoi ben capire quanto me la facessi sotto.
Eppure senza quei concerti deboli e impacciati forse non sarei arrivato, poche settimane fa, a vivere l’esperienza indimenticabile e quasi imbarazzante di scoprire uno dei miei artisti preferiti in assoluto (Glen Johnson dei Piano Magic) intento ad ascoltare rapito il mio soundcheck e alla fine stare venti minuti a complimentarsi al punto da comprare tre copie dello stesso disco. Senza le secchiate di merda che presi ai tempi di Punk not diet forse quel soundcheck non l’avrei mai fatto.
Nessuno, in quei mesi, parlò dei pienoni che facemmo sistematicamente in Germania o in Grecia dove il pubblico non veniva al concerto con l’unico scopo di tornare a casa e scrivere sul sito della band o sul suo blog quanto se la tirasse il cantante, nessuno in Italia ebbe tutta questa fretta di scrivere sul proprio blog di tutti quei ragazzi che assimilavano i brani e li cantavano, dopo averli in un primo momento rifiutati , centinaia di persone che provavano a non farsi le pippe sul perchè io mi buttassi a terra, o urlassi o portassi i capelli in un certo modo. E magari dopo il concerto si avvicinavano e scioglievano le loro riserve in chiacchierate piene di inaspettato cameratismo.
Non so da chi sia composta l’ Indie Crew Italica, ho un’impressione ma te la risparmio. Detto ciò sostenere che ho rischiato di snaturare il suono dei GDM o la loro immagine è assurdo. Cantai su brani già arrangiati e registrati, non ci fu mai un mio minimo intervento a livello di songwriting o arrangiamento. E dubito che mi sarebbe stato permesso di farlo, almeno il primo anno. Ti racconto un aneddoto. L’ultima canzone che interpretai con i GDM è ‘Given Ground’. Scrissi il testo e lo cantai. Jukka all’inizio la bocciò perchè gli sembrava ‘troppo Coldplay’.
Per la cronaca la canzone è stata il primo singolo del disco.
Ad oggi sono convinto che se i GDM stessi non avessero messo in discussione il proprio suono, pagando in prima persona oggi il prezzo delle grandissime difficoltà poste dal cantato in un gruppo con una simile impostazione sonora, avrebbero seriamente rischiato di diventare una cover band di sè stessi.
A livello di immagine posso solo esprimere un concetto che ho sempre fatto mio. Un gruppo che suona musica pop, dedicata ai giovani, che appare sui giornali e vende prodotti di intrattenimento come dischi, t-shirts o dvd non può, nel
2007, prescindere dal concetto di comunicazione visiva. Non può non avere un immaginario e lavorare su di esso. Questo non centra un cazzo con le cretinate da studio di design milanese. O con la moda banalmente intesa. Ma se a tutt’oggi posso individuare un problema mai risolto in seno ai GDM quello è proprio il lato estetico della loro musica, che è enorme, e non è mai stato adeguatamente valorizzato, forse per paura, forse per mancanza di idee all’altezza delle canzoni, forse per un rifiuto mentale del rischio di apparire troppo ricercati (o fighetti che dir si voglia). E’ un problema che trovi nelle copertine della maggior parte dei loro dischi, nei video, nelle foto istituzionali della band. Da par mio, a suo tempo, ho provato ad introdurre un’attitudine, forse nei modi e nei tempi sbagliati, e con poca convinzione. Tanto per il fan medio della Italy Indie Crew se mi facevo la crestina volevo fare ‘l’emo’ e se mi mettevo la matita ero frocio. Poco male. Resto convinto che l’iniziativa di creare e investire sull’immaginario di una band del genere fosse e sia doverosa, anche se a tanti fan delle il concetto stesso di estetismo applicato all’indie rock suona come una bestemmia. E allora teniamoci le riviste con le foto sgranate, le copertine oscene e le band che sembrano ritratte alla fiera del salumaio. E poi facciamoci le seghe sui servizi di Cat Power per ID. Loro sono stranieri e possono farlo! Noi no. Noi al massimo le fanzine (perchè diy è sano) e al massimo le poppe di Violetta Beauregarde. Avanti popolo. E intanto continuiamo a comprare The Wire o tutte le testate straniere (di musica e non) che con il design e la comunicazione visiva lavorano da sempre. Siamo italiani, e per quanto anticlericali, siamo ben fieri dei nostri tabu’. Amen.
Leggo poi qualcosa che mi ha sinceramente inquietato, ossia che sarebbe sbagliato apprezzarmi perchè lavoro (o meglio lavoravo) in una boutique. Senza considerare il razzismo e lo snobismo implicito in un giudizio del genere ( la crew mi avrebbe accettato piu’ facilmente se avessi fatto il falegname o l’operaio, ovvio) lasciami dire che il modello l’ho fatto insieme a dieci altri commessi perchè il buon Kean Etro ha voluto così, e mi sono divertito anche perchè la cosa è durata circa venti minuti. Ma non ho il fisico per fare il modello (nel caso farei l’attore). Provassero quelli della crew a lavorare otto nove ore al giorno dal lunedì al sabato (piu’ due domeniche al mese) in piedi, al servizio di miliardari con la puzza sotto al naso o di trafficanti ucraini che comprano un tanto al chilo e ti trattano come se fossi il loro tirapiedi, con il fiato sul collo di un manager che minaccia di licenziarti se per una volta non vendi 20 mila euro di roba, con contratti precari e gli staordinari non sempre pagati. Quel lavoro mi fu offerto in un periodo di estrema necessità. Lo accettati ritenendomi idoneo a svolgerlo.Così come avevo fatto prima il fruttivendolo o il centralinista. Io dico che sarebbe carino se la crew, e gli addetti ai lavori tutti, pensassero un pò di piu’ ai fatti propri e all’onestà intellettuale di chi vogliono deridere invece di strumentalizzare la vita privata delle persone per prendersene gioco anonimamente.
Avessi potuto da subito fare della musica il mio strumento di sostentamento, potendoci dedicare 24 ore al giorno l’avrei fatto, ma esiste una cosa chiamata gavetta, che è concetto differente dall’isteria condita di sorrisini di gruppi creati in funzione di quello che brand new trasmette o peggio di quell oche l’NME propone come next big thing. Band che dopo venti concerti venti vengono già paragonato a nomi che hanno scritto la storia della pop music -in questo fiancheggiati proprio dagli amici blogger o webwritersche sono diventati giornalisti… per ispirazione divina. Mi dispiace ma andare a suonare mantenuti dai genitori o sulla base di cachet con cui non pagheresti nemmeno la benzina della macchina è una cosa diversa dal rischiare in prima persona per anni e lavorare, farsi fumare il cervello, studiare, leggere, in funzione di un progetto artistico e di una vocazione che a un certo punto viene ricompensata, anche economicamente, da chi la promuove. In tutto questo non ho paura a dichiarare di non sentirmi particolarmente ‘indie italiano’ e ambizioso. Esiste un’ambizione sana, che è un valore fondante di qualsiasi opera (artistica e non). Demonizzare questa parola è sempre ingeneroso, perchè si disprezza anche la sana ambizione che è figlia dei sogni di bambino, è sofferenza pura ed è spesso l’unica leva, insieme a una grande passione, che ti permette di andare oltre la confusione e il qualunquismo di un luogo o di un periodo storico in cui tutti reclamano la propria fettina di spazio per dire, scrivere, suonare la loro.
Un’epoca in cui gli utenti hanno sempre piu’ difficoltà a capire la differenza fra un artista con una storia alle spalle e le next big thing create dal web, finendo per ascoltare tutto in modo random, con il rischio di non riuscire piu’ ad amare nulla in modo esclusivo, ma facendosi piacere un pò tutto. E’ un punto di vista neo-moralista e sicuramente reazionario, che trovo però (amaramente) inevitabile.
Infine, in tutta sincerità, caro Inkiostro, io proprio non capisco questo accanimento nei confronti di tre foto che ho postato su un sito. O meglio lo capisco ma solo alla luce del livore e del provincialismo dell’utente medio della musica indie italiana (specie se la musica in questione è fruita con casualità, in mp3 con l’ipod pur di ascoltare tutto e tutti, e il contenuto che vi è dietro è assimilato per sentito dire sui forum o i blog).
Perchè, ti chiedo, mensilmente io ricevo contatti, segnalazioni o richieste da contatti stranieri che sono nati e cresciuti in seno alle culture che mi affascinano, o hanno studiato Pasolini o i costumi della Repubblica di Weimar, o sono cresciuti a pane e Godard, e con costoro intraprendo bellissime corrispondenze per poi scoprire che sui forum italioti qualche utente anonimo ha le prove definitive del fatto che sono finto? Quali sarebbero i clichè dell’artistoide bohemienne ? La copertina di un libro? Il kajal ? Una bella ragazza che si solleva la gonna? Ma dai!
Io lo so bene, Inkiostro, di stare sul culo ad alcuni. So bene di poter suscitare perplessità o battute in base al mio look o alle mie passioni. O al fatto che sono un pò bacchettone. O al fatto che mi scrivono molte ragazze. Ciò è una contingenza dei tempi moderni e dell’edonismo terra terra di questi anni. So bene che un tot di utenti, nel calore confortante della loro scrivania, ridono di me nel vedermi fotografato da una cara amica, un pò per gioco e un pò no, davanti a una locandina della Dietrich. Ma al contempo mi chiedo perchè nella crew ci si fermi sempre e solo alla superficie e spesso questa superifcie la si giudichi in modo grezzo e violento. E ignaro dei presupposti. Quale strana cultura critica può mai emergere da una tale schizofrenia? Siamo davvero tutti sicuri di possedere un background tale, in merito alla cultura europea degli ultimi ottant’anni, da poter comprendere, deridere e liquidare l’autenticità di un’opera o di un artista, guardandolo per trenta secondi su my space ?
Qualcuno ha mai verificato quanto sia sana e solida la mia passione per la cultura francese….per il burlesque…per certi alfabeti stilistici che dall’arte rinascimentale arrivano fino al pret a porter degli anni 70…per il neorealismo…per i dandy (di cui Totò e Charlot rappresentano una straordinaria metafora)…per Elio Petri o il grande Eduardo…così come per il calciomercato o la pizza salsiccia e friarielli ???? Temo che in pochi, fra i miei detrattori, lo abbiano fatto. E io banalmente mi chiedo a cosa porti diffamare la gente sulla base delle proprie pruderie. Quale strana soddisfazione provi l’utente anonimo a scrivere ‘Raina è ridicolo e finto’ se nemmeno mi conosce. Sarei molto piu’ tranquillo se queste persone passassero mezz’ora con me e poi traessero le stesse conclusioni.
Ma a questa gente interessa comunicare faccia a faccia ? O gli interessa solo ridere e covare risentimento con il ditino puntato ?
E’ piu’ che lecito che a tanta gente non freghi una ceppa della repubblica di Weimar o di Charlotte Gainsbourg. Ma ti chiedo, Inkiostro, cosa facciamo noi poveri umani per onorare coloro o ciò che amiamo?
Deponiamo fiori sulle tombe, attacchiamo poster alle pareti, ci vestiamo in una certa maniera, facciamo nostro uno slogan. Perchè mai io non dovrei rivendicare le mie passioni e i miei eroi sulla mia pagina personale? E’ davvero sinonimo di inautenticità? Io credo di no e credo che il tempo sia sempre galantuomo. Credo che certe foto o certi libri siano un modo efficace di far capire a un utente a cosa io mi ispiri e che tipo di sensibilità artistica io possieda.
Cosa si dovrebbe dire allora dei poser strafatti di mdma fuori dai club perchè è new raveo di quelli che non fanno una piega quando gli amichetti della rete li paragonano ai mostri sacri della musica sulla base di un demo registrato male?
Credo che non sia mai per caso se su un sito internet generalista come my space compare la cover di un libro di Nimier. Se sono io a postarla stai certo che ci metto la firma e la faccia, ed è anche per evitare l’oblio a quel libro. Perchè l’ho letto e mi ha -in una piccola misura- cambiato la vita. Se qualcuno ha interesse a discutere con me di questo film o di quella diva del cinema anni ’30 si faccia avanti. E poi potrà a buon titolo dichiarare se tutto ciò che diffondo sono sterili clichè. E se io sono finto.
Nel mio piccolo o meno faccio l’artista, ho la fortuna di frequentare grandissimi artisti dai quali imparo quotidianamente e spero di consacrare la mia vita a valori che oggi sono sempre meno ‘stilosi’. Negarlo sarebbe molto piu’ ipocrita di quanto per qualcuno è irritante che io abbia una determinata considerazione di ciò che faccio.
E se un artista è anche un piccolo grande narcisista che chiede a tot persone di ascoltarlo o leggerlo o guardarlo mentre si dimena su un palco mi vorrai concedere una o due foto ‘in posa’? Non è forse questo parte di un prodotto e della storia di un progetto? Non sono io forse, in quelle foto, niente piu’ che la personificazione di un personaggio? Di cosa è fatta la storia del rock ‘n’roll? Di soli educandi in giacca e cravatta ? Di soli nerd con i pantaloni larghi e lerci ? Di soli drogati che a trentanni vogliono dimostrarne sedici? Per fortuna no.
Ma non per questo è lecito affermare che chiunque si identifichi in uno stile sia finto o falso. E’ un insulto gratuito e volgarotto. Molto piu’ volgare di qualsiasi clichè dell’artistoide bohemienne. Pensi davvero che io passi le mie giornate davanti allo specchio? Ti dirò che al momento la mia massima preoccupazione è capire se la Juve risucirà a prendere Gabriel Milito, che è un fenomeno.
Mi dispiace Inkiostro se mi consideri un presuntuoso perchè ho cercato di far luce, insieme ai miei collaboratori, su una serie di figure (alcune delle quali rimosse) del novecento italiano. Quel novecento l’ho sentito mio e l’ho rappresentato a mio modo. Forse nell’atto stesso di produrre arte (o provare a farlo) c’è presunzione, non so. Io sarei meno categorico. Ci sono sempre piu’ cose in cielo e in terra che in tutta la nostra filosofia.
Con questo ti chiedo scusa per la lunghezza di questa mail, che immagino ne renda piuttosto noiosa la lettura, ma spero che la considererai un atto propositivo e rispettoso verso i tuoi contenuti.
Sincerely
Alessandro Raina
[un paio di emmepitrè, che non guastano mai:]
Raina /Petris / Spazio – A Room Forever (MP3)
Raina /Petris / Spazio – Red Cloud Slaughtered Beach (MP3)