indie-gestione

domenica, 07 02 2010

Ancora Scisma per un giorno

L’unica cosa brutta del sapere che, dopo L’ultimo valzer di sette anni fa, 4/6 degli Scisma hanno di nuovo suonato insieme è stato il non poterci essere. Del resto la reunion estemporenea che ha avuto luogo la scorsa settimana al Vicolo BioBar di Salò (la leggendaria creperia che probabilmente dirà qualcosa a più d’uno di voi) ha l’aria di essere stata una cosa tutta per famiglia, primissimi fan e affini.

Fortuna che al giorno d’oggi ci sono le fotocamere digitali e il Tubo a permetterci di essere là. E a ricordarci quanto ci mancano.

 

Qui sotto vi metto la mia all-time favourite L’equilibrio, ma andate qua e guardatevi tutti i video (soprattutto Rosemary Plexiglas, Simmetrie e L’Universo).

 

martedì, 02 02 2010

YouTube killed the Gondry star

E’ un problema solo mio o l’ultimo video di Michel Gondry (per Open your heart di Mia Doi Todd), pur essendo un classico video alla Gondry, è un po’ deludente? Non sarà che anni di video virali e filmati user-generated su YouTube e Vimeo, spesso creati da gente con pochi soldi, tanto tempo e (a volte) una buona idea (esattamente come molti dei video del Gondry degli anni d’oro), hanno ormai definitivamente rovinato il terreno per giochini di questo genere?

 

lunedì, 01 02 2010

Banjo alla conquista del mondo

In quello strambo e incoerente piccolo mondo che impropriamente chiamiamo musica indie, Banjo or freakout è ormai una piccola celebrità. Il suo grado nella catena alimentare continua lentamente a salire, e se esistesse una cosa insensata come una classifica internazionale dell’hype, Banjo si troverebbe al momento piuttosto in alto, e certamente sarebbe il nostro connazionale nella posizione più elevata della lista.

 

La sua storia è nota: Alessio Natalizia, già voce e chitarra dei torinesi Disco Drive, si prende una lunga pausa dalla band, si dedica a un progetto solista di pop riverberato, narcolettico e sognante e complice la sua residenza londinese e un blog pieno di cover personalissime comincia ad attirare le attenzioni dei tastemaker che contano. Seguono vari tour in ottima compagnia (a breve sarà in giro con i Soft Pack), un EP e un po’ di singoli e tra poco l’LP di esordio, in corso di registrazione in questi giorni a New York City con la produzione di Nicolas Vernhes (già al lavoro con Animal Collective, Deerhunter, Dirty Projectors e Fiery Furnaces) e -pare- il marchio Bella Union (Fleet Foxes, Midlake, Devics, chevvelodicoaffà). 

 

Un paio di settimane fa Banjo è stato ospite da quel bell’omino di Huw Stephens su BBC Radio1 e ha registrato una session live nei leggendari studi di Maida Vale, proponendo i suoi pezzi migliori (tra cui la mia preferita Left it alone e la nuova Move out) e parlando della sua musica, della registrazione del disco e, ovviamente, dell’Italia. Dove -l’amara verità- facendo musica del genere non uscirai mai dai soliti piccoli circuiti, e certamente non arriverai mai a suonare negli stessi studi in cui hanno suonato Bowie o Hendrix.

 

 

Banjo or freakout – Left it alone (Maida Vale BBC1 session) (MP3)

Banjo or freakout – Move out (Maida Vale BBC1 session) (MP3)

 

 

Huw Stephens 22 jan 2010  – Puntata completa (MP3)

 

lunedì, 25 01 2010

In ricordo di Max

Max era una persona speciale, di quelle che, anche se sei fortunato, ne incontri poche in una vita.

Con una capacità e una determinazione inimmaginabili è stato l’anima e il cuore del Covo per quasi 15 anni, portandolo a raggiungere una fama internazionale che rasenta il culto, con una programmazione di concerti che compete con quella dei club delle città più grandi del mondo e un dancefloor dallo stile unico. Max è partito da niente, e animato solo dalla sua passione è arrivato a fare uno dei più bei mestieri del mondo in uno dei più bei posti del mondo.

Che è tale in buona parte grazie a lui.

 

Max non era una persona facile. Lo sguardo sardonico, il sarcasmo acuto di chi la sa lunga, una quantità di responsabilità impossibili da indovinare da fuori e il desiderio di rimanere sempre a margine delle luci lo rendevano sfuggente e difficile da conoscere. Era una persona che ti dovevi conquistare.

Qualche anno fa un paio di volte andai a cena a casa sua. Mangiammo una pizza, bevemmo vino, chiacchierammo fitto e guardammo 24 hour party people, uno dei suoi film preferiti, che racconta la storia di Tony Wilson e del meraviglioso disastro della scena musicale di Manchester di fine anni ’80 (quella dei New Order, della Factory Records, degli Stone Roses, dell’Hacienda, degli Happy Mondays). Quella storia, spiegò, rappresentava in pieno la sua visione delle cose: l’attitudine do it yourself sempre in bilico tra genialità e pura incoscienza che riesce a costruire qualcosa di immortale, fragile e irripetibile. Era un modello chiaro e dichiarato, perseguito con tenacia per anni e a poco a poco raggiunto e, forse, superato.

 

Negli anni Max è riuscito a fare cose enormi, guidando un locale che è sulla cresta dell’onda da più di 20 anni, attraversando opposte mode musicali, crisi economiche, ricambi generazionali e dissennate politiche comunali, regalandoci centinaia di concerti indimenticabili e alcune delle migliori serate della nostra vita. Ma soprattutto, è riuscito a mettere in piedi pezzo dopo pezzo una squadra solida e capace che porterà avanti la sua visione delle cose e che tra un paio di mesi accompagnerà il club a festeggiare i 30 anni di vita. Una longevità che pochissimi club del genere possono vantare nel mondo. Forse nessuno, a questi livelli.

 

Da ora in poi, ogni volta che andremo al Covo non riusciremo a guardare l’angolo dietro al bar dove Max era solito stare, taciturno ma sempre presente, anche se sappiamo che lui sarà per sempre lì. E ogni volta che mi capiterà di mettere i dischi al Gate 1, la sua sala, la sua assenza renderà l’umile mestiere del DJ contemporaneamente più difficile e più imperativo di quanto sia mai stato.

Nei mesi e negli anni a venire continueremo a ballare, cantare, vedere concerti, ubriacarci e ascoltare la migliore musica che ci sia in circolazione come abbiamo sempre fatto e non possiamo fare a meno di fare, e come la musica che amiamo ci richiede. Da ora in poi lo faremo anche per lui.

 

giovedì, 21 01 2010

Eye of the Rural Alberta Tiger

Il disco d’esordio dei Rural Alberta Advantage Hometowns è stato senza ombra di dubbio uno dei migliori dischi usciti lo scorso anno. Molti, come il sottoscritto, col tempo se lo sono un po’ dimenticato perchè in realtà l’album risale (almeno) all’anno prima, quando era stato autoprodotto dalla band stessa e aveva avuto una certa fortuna in alcuni festival americani e su qualche blog. Io ne parlai su queste pagine ad agosto del 2008, e poi ebbi modo di vederli dal vivo al South by Southwest dello scorso anno, occasione in cui il loro indie-folk sguaiato e NeutralMilkHotellico mi conquistò senza possibilità di ritorno.

 

Ieri l’etichetta della band (la benemerita Saddle Creek) ha pubblicato un 7 pollici che, dietro il singolone Drain the blood presenta una curiosa versione acustica di Eye of the Tiger, grande anthem dei misconosciuti Survivor pubblicato nel 1982 e reso celebre da Rocky III (di cui era il tema).

So che c’è chi si sta adoperando per portare i Rural ALberta Advantage in Italia a fine primavera. Facciamo in modo che la cosa si avveri, ok? Altrimenti vengo là e vi spiezzo in due.

 

 

 

The Rural Alberta Advantage – Eye of the tiger (Rocky III OST cover) (MP3)

 

 

 

[sì, lo so che «Ti spiezzo in due» è da Rocky IV. Ma poi non mi veniva la chiusura]

martedì, 19 01 2010

Best celebrity Street View sighting EVER

Sembra davvero troppo bello per essere vero: Wayne Coyne, già cantante e uomo-che-cammina-in-una-biglia-gigante-sulle-teste-del-pubblico nei Flaming Lips, è stato fotografato per caso da Google Street View mentre fa il bagno in una vasca all’aperto nei sobborghi di Oklahoma City, dove vive (e, come è noto, dove gli hanno pure intitolato una via). A riportare la notizie è il Daily Telegraph, che l’ha ripescata su un forum di fan della band che sono riusciti a riconoscere Coyne su Street View da "Blob in the bath", l’installazione che mise in piedi sul suo giardino in occasione dell’Halloween del 2007, quando la foto evidentemente è stata scattata:

Coyne can be seen lounging outdoors beneath a hand-painted sign that reads "Blob in the Bath", in what must be a contender for strangest ever celebrity Street View sighting.

 

The bizarre display was spotted by fans of The Flaming Lips as they explored the suburb of Oklahoma City where the 49-year-old performer was raised and still lives with his family.

 

"Wayne, you’re a beautiful weirdo," posted one commenter on the band’s official forum, whose members alerted the Google Sightseeing blog to their find. […]

 

A video posted on MySpace indicates that the "Blob in the Bath" installation was part of the neighbourhood Hallowe’en celebration hosted by Coyne and his wife Michelle in 2007. The bath was apparently rigged up to boil like a cauldron.

 

Other images on the social networking website show Coyne dressed in a long white wig sitting on a lavatory next to the bath, both of which appear to be splattered with fake blood. [#]

Potete vedere Coyne su Street View e fare 4 passi nei dintorni di casa sua qui. Se qualcuno capita dalle parti di Oklahoma City mi raccomando salutatemelo. 

 

 

 

The Flaming Lips feat. Peaches & Henry Rollins – The great gig in the sky (Pink Floyd cover) (MP3)

 

 

lunedì, 18 01 2010

Musiche, maschere, vita

E’ da un po’ che volevo scrivere qualcosa su PJ Harvey – Musiche, maschere, vita, il bel libro scritto da Stefano Solventi e da poco pubblicato da Odoya Edizioni sulla cantautrice del Dorset e sulla sua ormai quasi ventennale carriera. Volevo lodare Solventi (già tra le migliori penne de Il Mucchio e Sentire Ascoltare) per essere riuscito come forse nessuno prima di lui a rendere giustizia alla figura di Polly Jean e alla sua complessità; e volevo consigliarvelo, ai fan come ai neofiti, perchè è un bel modo per ripercorrerne la carriera (e avere una scusa per riascoltarne i dischi) o per approcciarsi per la prima volta alla sua multiforme grandezza.

 

Poi però, prima di mettermi a scrivere, ho cercato in rete una canzone da linkare a corredo del post, e visto che ho già pubblicato l’estate scorsa video e MP3 delle sue canzoni più recenti, mi sono messo a cercare qualche nuova cover. E purtroppo mi sono imbattuto in questa inutilissima versione di This is Love (da Stories from the city, stories from the sea) firmata dagli inutilissimi The Feeling (un gruppo tra le cui fila milita il marito di Sophie Ellis Bextor, per dire), e mi è passta la voglia di scrivere il post.
Il libro però leggetelo, ché è bello.

 

 

The Feeling – This is love (PJ Harvey cover) (MP3)

 

 

venerdì, 08 01 2010

Inkiostro 2009/2010 – A floating nastrone

Da queste parti gli ultimi mesi sono stati un po’ strani. Accadimenti di segno opposto si sono susseguiti senza comporsi in uno scenario sensato, di quelli che se li guardi da un lato dovresti essere soddisfatto in modo imbarazzante mentre se la guardi dall’altro ti chiedi come fai ogni giorno a stare ancora in piedi.

Un paio di giorni fa, peraltro, questo blog smarrito ha compiuto 7 anni (fa paura, sì), e l’unico modo giusto per festeggiare la ricorrenza (o piangerla) è un nastrone. Che rispecchia fedelmente la completa mancanza di senso e direzione di questi mesi, cambia atmosfera repentinamente, insegue cose dell’anno passato di cui mi sono reso conto troppo tardi e promesse future che con buone probabilità non verranno mantenute.

 

Scaricatelo traccia per traccia, o in un unico ZIP in fondo. Dovrebbe essere in formato comodo pure per iPod e affini.

 

 

01. Real Estate – Beach Comber (MP3)

Un beach comber è una persona che vive rivendendo gli oggetti trovati sulla spiaggia. Letteralmente, però, vuol dire «colui che pettina la spiaggia». Che mi piace di più: è naif, poetico e un po’ sonnacchioso come tutto il disco dei Real Estate.

 

02. Via Audio – Hello (MP3)

Il pezzo che apre il nuovo disco dei Via Audio mi ricorda Goodnight Moon degli Shivaree, ed è un complimento. Elegante, flemmatico e un po’ fatale. Prodotto dal Jim Eno degli Spoon.

 

03. Notwist – Come in (MP3)

Come da copione, la B-side (dal singolo di Boneless) che è migliore di tutti i pezzi dell’ultimo disco messi insieme. Come in, but One step inside doesn’t mean you understand.

 

04. Massive Attack – Pray For Rain (feat. Tunde Adebimpe) (MP3)

I Massive escono indenni da due decenni di attività vissuti al ralenty, pubblicando un disco nuovo -bellissimo- che non ci fa rimpiangere l’attesa. La collaborazione con il lead singer dei TV on the radio (già anticipata nell’EP di qualche mese fa) è praticamente perfetta.

 

05. Toro Y Moi – Blessa (MP3)

Fenomeno annunciato per l’anno che si apre, l’alfiere del chillwave Chazwick Bundick sa il fatto suo. Atmosfere amniotiche che partono dagli Animal Collective per arrivare all’indietronica ambientale e al soul più riverberato. Il genere non mi esalta, lui invece mi piace un sacco.

 

06. His Clancyness – Mistify The Ocean (MP3)

Del progetto solista del buon Mr. Clancy (Settlefish, A classic education) abbiamo già parlato, e nel mentre il nostro si è fatto notare anche sui blog e sulle webzine che contano oltreoceano. Questo, che risale a pochi giorni fa, è di gran lunga il suo pezzo più bello. Stuck on repeat.

 

07. Local Natives – Wide Eyes (MP3)

Il Guardian scherzosamente li definisce «The Weekend Foxes, A Fleet of Arcade Vampires On Fire», per i loro intrecci vocali e l’attitudine a certa grandiosità nelle melodie che ricordano i suddetti 3 beniamini di PItchfork. Ma c’è qualcosa di male ad essere accomunati ad alcune delle indie-band più di successo degli ultimi anni? Io, come ciliegina sulla torta, ci sento anche certi tribalismi post-milleniali che mi ricordano gli Yeasayer…

 

08. Yeasayer – Madder Red (MP3)

…Yeasayer che col nuovo disco scelgono di farsi talora più accessibili, sposando le inquietudini sciamaniche e ipnotiche che ce li hanno fatti scoprire con un indie-rock classico e dalle basi solide che spesso non disdegna ritmiche da pista da ballo. In alcuni casi (come questo), l’equilibrio è perfetto.

 

09. Bear in heaven – You Do You (MP3)

Le coordinate geografiche (Brooklyn) e musicali non cambiano molto, anche se i BPM si rallentano e compaiono un arpeggiator e una spaesatezza quasi kraut, a colorare lo splendido disco di una di quelle band di cui non sai niente se non che ti piace, e va benissimo così.

 

10. Wild Beasts – All The King’s Men (MP3)

Voce à la Anthony, cavalcate di tom e timpani, chitarre liquide e una struttura quasi teatrale, per il realismo magico della band britannica che suona un genere indefinibile di cui in definitiva so dire solo una cosa: mi piace.

 

11. Sleigh bells – Ring ring (MP3)

Indie-pop meets r’n’b, con volume e distorsione di tutt’altro tenore rispetto alla violentissima e spettacolare Crown on the ground che già abbiamo celebrato. Ma risultati non meno eccitanti.

 

12. Christmas Island – Twenty Nine (MP3)

Jangling guitar, ritmo basilare, coretto surf e una melodia che si stampa nella testa. Non serve altro per fare un grande pezzo. L’isola di Natale, tra l’altro, esiste davvero.

 

13. The Swimmers – A Hundred Hearts (MP3)

Chi sono The Swimmers? Perchè non ho mai letto niente di loro? E perchè questo pezzo mi ha fulminato al primo ascolto, e da innocuo pop orecchiabile è diventato un piccolo tormentone del mio jukebox personale?

 

14. The Soft Pack – Down On Loving (MP3)

Tra i miei preferiti al SXSW dello scorso anno, gli ex Muslims arrivano finalmente al disco d’sordio, che come è ovvio non può che confermare le ottime premesse. Rock’n’roll blueseggiante veloce e scazzato senza pose o pretese. Is this it? Yes.

 

15. Surfer Blood – Floating Vibes (MP3)

Un’abbondante dose di Shins, la freschezza dei Vampire Weekend meno world, un riff stile Death Cab epoca Photo Album: pensate un po’ se non mi possono piacere. E se non possono piacere a voi.

 

16. The Drums – Let’s Go Surfing (MP3)

Indie-pop bass-driven con ottime intuizioni e un paio di piccoli anthem; ce n’è di che ben sperare. In Inghilterra sono già super-hype da mesi, e ora che sono anche sulla cover di NME non li ferma più nessuno.

 

17. Devendra Banhart – 16th & Valencia, Roxy Music (MP3)

Io Devendra Banhart lo odio. Agli esordi il suo freak-folk poteva incuriosire, alla lunga ha rotto le balle come le sue frequentazioni radical-chic e le fascinazioni latine da due soldi. Il disco nuovo, però, è su major. Ha un singolo banale e orecchiabile con un testo bruttissimo. L’hanno stroncato tutti. A me qualcosa ricorda addirittura Beck. Mi piace.

 

18. Midlake – Acts of man (MP3)

Al disco nuovo mancano degli instant classic come Roscoe o Head Home, ma il mood volutamente affranto, monotono e soffocante rafforza un’identità più forte di quanto credevamo. Occhio alle vene.

 

19. Madeleine Peyroux – Between The Bars (Elliott Smith cover) (MP3)

Può una nuova versione (super-classica,  jazzata, bellissima) di un pezzo che hai ascoltato milioni di volte incastrarsi sul tuo lettore senza speranze di fermarsi? Eccome se può.

 

20. Bon Iver – For Emma (live Feat. Eau Claire Memorial Jazz Band) (MP3)

Da solo o con un’orchestra jazz, l’esordio di Bon Iver rimane il disco più bello degli ultimi anni.
Per Emma, una vita fa.

 

 

FULL DOWNLOAD – Inkiostro 2009/2010 Floating nastrone (ZIP > Hotfile)

 

 

 

[la copertina viene da qui]

 

giovedì, 07 01 2010

La verità vi prego sulle classifiche di fine anno

Anche quest’anno ho lietamente saltato il tradizionale rituale della classifica dei dischi di fine anno. A un po’ di sano sarcasmo sull’argomento (firmato Diesel Sweeties), però non posso rinunciare.

 

lunedì, 04 01 2010

Il miglior mash-up di tutti i tempi?

Quando ti imbatti in un mash-up che sembra talmente scontato e naturale che ad ogni acolto le canzoni originali che lo compongono diventano sempre di più un ricordo sfumato, vuol dire che il DJ (in questo caso DJ Bootox) ha fatto centro. Seven Nation Army dei White Stripes e Smells like teen spirit dei Nirvana: a match made in heaven.
(via Giavasan)

 

lunedì, 04 01 2010

Una carriera disegnata male

E’ difficile dire il contrario: Damon Gough, in arte Badly Drawn Boy, ha avuto una carriera tutta sbagliata.
E’ partito 10 anni fa col botto di The hour of the bewilderbeast, un disco trascinato da tre singoli clamorosi che ha contribuito a ridefinire il concetto di pop inglese, e che ha imposto l’iconico nerd schivo, burbero e ipersensibile con barba e cappello come uno dei nuovi messia della musica d’autore britannica.
Promessa mantenuta dalla successiva colonna sonora di About a Boy, che oltre a essere un divertissment un po’ meno impegnativo di un reale LP di inediti riusciva ad essere un gran disco (anche qui con dei singoli spettacolari), suggellando l’appropriatissima associazione con l’arguta sensisbilità a metà tra mainstream e underground del film, e con l’alta fedeltà adulta e genuina di Nick Hornby.

 

Da allora il ragazzo disegnato male si è un po’ perso. I tre dischi successivi hanno fallito il confronto con gli esordi in modo più catastrofico di quanto chiunque potesse immaginare, e anche se la penna, quando fa centro, rimane davvero inarrivabile (come nella mia preferita Another devil dies), Gough è gradualmente scomparso da tutti i radar musicali ed è stato rubricato come una bella promessa ormai non mantenuta.

 

Dopo più di 3 anni di assenza quasi totale dalle scene (di questi tempi davvero un’eternità), Badly Drawn Boy è ritornato in punta di piedi, e nessuno sembra essersene accorto. Il nostro ha infatti scelto un ritorno tutt’altro che in grande stile, mantenendo un basso profilo che non stupisce e che anzi gli calza a pennello.

Da 15 giorni è uscito il nuovo album Is there nothing we could do?, colonna sonora del film per la tv inglese The fattest man in Britain che racconta la storia vera del ciccionissimo Georgie Godwin e del record che era fiero di detenere; con un argomento del genere pare proprio che Gough faccia di tutto per rimanere uncool. Il disco è presentato dall’omonima ballata Is there nothing we could do?, che ci mostra un Badly Drawn Boy in ottima forma, con la sua inconfondibile calligrafia dolceamara e il tocco dei giorni migliori. La versione su disco è penalizzata da un arrangiamento un po’ mellifluo, che appesantisce inutilmente quella che dalla versione acustica pare invece un piccolo gioiellino. Centro mancato di poco.
Ma ci siamo abituati a storcere il naso, col ragazzo disegnato male.

 

 

 

Badly Drawn Boy – Is there nothing we could do? (acoustic – live) (MP3)
Badly Drawn Boy – Is there nothing we could do? (MP3)

 

 

giovedì, 31 12 2009

A Blue Moon New Year’s Eve

Blue Moon: è una di quelle espressioni che si sentono da sempre ed è il titolo di un celeberrimo standard jazz/pop eppure quasi nessuno sa davvero cosa voglia dire. Di certo io non lo sapevo fino a ieri, quando mi hanno spiegato che la Blue Moon è la seconda luna piena di un mese, che avviene una volta ogni 2 o 3 anni (per la precisione ogni 2.7154 anni) e che quest’anno capita esattamente stasera, per l’ultimo del’anno. Non esattamente una cosa comune. Da wikipedia:

A blue moon is a full moon that is not timed to the regular monthly pattern. Most years have twelve full moons which occur approximately monthly, but in addition to those twelve full lunar cycles, each solar calendar year contains an excess of roughly eleven days compared to the lunar year. The extra days accumulate, so that every two or three years (on average about every 2.7154 years), there is an extra full moon. The extra moon is called a "blue moon." Different definitions place the "extra" moon at different times. […]

The term "blue moon" is commonly used metaphorically to describe the rarity of an event, as in the idiomatic expression, "once in a blue moon." [#]

Da noi con ogni probabilità il maltempo impedirà di vedere la luna, ma se a un certo punto della nottata doveste scorgere uno squarcio tra le nuvole, spegnete Disco Samba e mettete su questa canzone, nella versione di Atlas Sound o in una delle decine di versioni più classiche che esistono. Buon Anno.

 

 

 

 

 

Atlas Sound – Blue Moon (MP3)

 

 

mercoledì, 30 12 2009

Ormai è ovvio che mi sono proprio bevuto il cervello

Ma oggi tutto quello che ho voglia di postare è questo medley in cui Sam Tsui (ignoto studente di musica americano che ha già avuto i suoi 15 minuti di web-celebrità con questo video in cui cantava i più famosi pezzi di Michael Jackson insieme a varie copie di se stesso) rifà i più noti singoli di Lady Gaga. Tu chiamala, se vuoi, crisi di mezza età in anticipo.

 

giovedì, 24 12 2009

Merry Christmas after all

 

Crocodiles + Dum Dum Girls – Merry Christmas baby (please don’t die) (MP3)

 

 

lunedì, 21 12 2009

Campane rotte

Mi aspettavo qualcosa di diverso e -forse- di migliore dalla collaborazione tra il premiato produttore Danger Mouse (già super-star del bastard pop con il Grey Album, deus ex machina degli Gnarls Barkley e produttore per Gorillaz, Beck, Sparklehorse, Rapture e via andare) e James Mercer (voce, autore e ora più o meno unico titolare degli indie-blockbuster The Shins) sotto il nome Broken Bells.

Il singolo The High Road (che precede il disco in uscita a Marzo) è stato appena diffuso in rete, e devo dire che dopo un paio di ascolti non sono particolarmente impressionato. I suoni sono perfetti e lo stile non si allontana troppo dalle cose più laid back dei Gorillaz con la strofa di una delle ballad di Chutes too narrow, ma mi pare mancare la zampata che lascia il segno (e il ritornello è davvero brutto). Voi che dite?

 

 

Broken Bells – The high road (MP3)

 

 

venerdì, 18 12 2009

E tutto quello che mi sento di dire oggi è

 

Spingete Play, è un ordine.

 

 

Walt Ribeiro’s OrchestraPoker face (instrumental orchestra version) (MP3)

 

 

martedì, 15 12 2009

Heaven knows this is a useless cover, now

Le date italiane dei Kings of Convenience di un paio di mesi fa hanno chiaramente mostrato il duo norvegese a un bivio: non aiutati dalla qualità altalenante del’ultimo Declaration of dependence, il lato ballata de loro repertorio ha mostrato un po’ la corda, nettamente surclassato dai pezzi un po’ più uptempo (diciamo così), con arrangiamenti più ricchi e ritmiche un po’ più veloci. Forse nel tentativo di riconciliare il pubblico con la loro natura più intima, i re della convenienza hanno chiuso la data di Roma con la cover di un classicone degli Smiths – l’inno dell’internazionale indie Heaven knows I’m a miserable now – suonata voce e chitarra dal solo Erlend Øye. Ascoltate e giudicate voi: riconcilia o no?

 

 

Kings of Convenience – Heaven knows I’m a miserable now (The Smiths cover – live in Rome 2009) (MP3)

 

Kings of Convenience – Live in Rome – full concert (RadioDue Rai rip) (MP3)

 

 

[foto Kekkoz]

 

lunedì, 14 12 2009

Welcome to 1994

A Maggio all’Estragon suonano i Pavement.

A Giugno a Ferrara ci sono i Pixies.

• Nelle classifiche di fine anno, si piazzano bene i dischi di Pearl Jam e Alice in Chains.

Jack John Frusciante è di nuovo uscito dal gruppo (via).

 

venerdì, 11 12 2009

Will you hold my hand when I go?

Ogni tanto capita che bei dischi che avrebbero tutte le caratteristiche per sfondare (o almeno attirare un po’ di attenzione da stampa e blog) cadano invece in uno strano gorgo di indifferenza e vengano immediatamente dimenticati anche se non lo meritano.

E’ più o meno quello che è successo a Yeah So, il disco d’esordio degli Slow Club pubblicato a inizio anno dalla sempre trendissima Moshi Moshi, che avrebbe avuto tutte le carte in regola per sfondare (sono un duo uomo-donna con formazione à la White Stripes, sono inglesi, suonano un brioso folk-pop molto orecchiabile) e che invece non si è filato quasi nessuno.

Peccato perchè è un disco caruccio, con belle ballate, veloci cavalcate folk che diventano quasi country ma che contemporaneamente flirtano con il rock’n’roll e un paio di testi naif ma ispirati, come quello del mio pezzo preferito, la opener When I go, che racconta una variazione sul tema «se per quell’anno nessuno di noi due è sposato, ci sposiamo tra noi?».

 

If we’re both not married by twenty-two
Could I be so bold and ask you?
If we’re both not married by twenty-three
Will you make my year, and ask me?

 

If we’re both not married by twenty-four
Will you pass me those knee pads and I’ll get on the floor
If we’re both not married by twenty-five
I hope that there’s some childish spark still alive

 

Cos there are so many lessons
That I just never get to learn
And there are so many questions that still burn, like

 

Will you hold my hand when I go?

 

Slow Club – When I Go (MP3)

 

 

giovedì, 10 12 2009

Il regalo di natale dei Portishead (per Amnesty)

Portishead have released a brand new track – ‘Chase the Tear’ for Amnesty International.

It’s now available as an exclusive download single from 7 digital with all earnings going towards Amnesty’s human rights work. ‘Chase the Tear’ is a reference to a paper tear-style ‘tear’, not a tear from an eye!

Nuovo pezzo dei Portishead, che si può acquistare online per supportare Amnesty International. Spettacolo.

 

mercoledì, 09 12 2009

The Evolution of the hipster

[Clicca sull'immagine per ingrandire]

 

Un paio di settimane fa citavamo Paste Magazine e le sue classifiche con il meglio di fine decennio. E dall'ultimo numero di Paste viene questo ritratto dell'evoluzione dell'hipster, che dall'emo di inizio millennio, passando per lo scenester, il twee, il montanaro, la vintage queen e il Williamsburghese fino al recentissimo meta-nerd, tenta di descrivere fasi e tipologie di una subcultura che non esiste.   

E' ovvio che vederle come fasi successive e così cronologicamente connotate è un mero pretesto per emulare il celebre e pluri-parodizzato grafico dell'evoluzione, ed è anche ovvio che il giochetto delle descrizioni brevi e ironiche funziona solo fino a un certo punto (e presta il fianco a tutte le ironiche prese per il culo del caso); però provate a fingere di non conoscere gente che ricade a puntino in uno stereotipo o nell'altro, se ci riuscite. E a fingere di non esserci caduti anche voi, almeno qualche volta…

lunedì, 07 12 2009

La cuffia di lana

Neff knitted headphones

 

(grazie a thisKID)

 

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venerdì, 04 12 2009

Il cinema indie, un non genere già andato a male

Cosa cercate, voi, in un buon film?

Quando decidete cosa andare a vedere al cinema, cosa affittare al videonoleggio, cosa guardare sulla pay-tv o cosa scaricare da Bittorrent, in base a cosa scegliete un film? Cercate qualcosa di noto o qualcosa di ignoto? Preferite film che parlino in modo quanto più fedele di vite simili alla vostra, o sperate di evadere lontano? Cercate di rispecchiarvi il più possibile nei personaggi o venite irritati dalla pretesa di parlare di cose a voi familiari?

Io pendo spesso per la prima ipotesi, lo ammetto. E lo considero in buona parte un difetto, che mi tiene lontano da generi che sovente scarto a priori (scoprendo poi anni dopo di essermi perso dei capolavori), in favore di storielle senza sale che srotolano riferimenti di cultura pop in cui mi ritrovo. Storielle senza sale come quelle del cinema indie.

 

Il cinema indie è una mostruosità. Il cinema indie (in cui il vaghissimo termine che tanto amiamo è da intendersi nel senso pitchforkiano del termine, di quella cultura pop per lo più anglosassone che vorrebbe opporsi al mainstream ma è di fatto costretta a metterne in piedi una versione distorta e snob, condannata tanto all’irriducibile inseguimento del futuro quanto alla venerazione del passato) era una rarità fino a qualche anno fa, mentre ora, scoperto un segmento di mercato ingenuo e appetibile, è diventato un vero e proprio filone, con capostipiti nobili (dalle grandi commedie degli anni ’80 a recenti film di culto come Eternal sunshine of the spotless mind, I Tenenbaums o Lost in translation) e produzione abbondante. Il suo target (e i suoi protagonisti) siamo noi, tardoadolescenti, twenty e thirty-something occidentali con buoni titoli di studio, discreto potere di acquisto e una declinazione di gusti su musicacinemalibriinternet che ci fa sentire migliori di coloro che ci circondano.

 

 

 

Nel momento in cui si è rivelato come un genere, il cinema indie era già morto.

L’inizio della fine è stato Garden State. Un film terribile, diretto e interpretato dall’icona del puccismo Zach Braff (meglio noto come J.D., protagonista di Scrubs), tenuto in piedi unicamente da una bella colonna sonora, infilata a forza nella storia nella celebre scena "Devi sentire questa canzone, ti cambierà la vita" che ha consacrato gli Shins. Un film impossibile da raccontare, tanto la trama è esile e i dialoghi pretestuosi.

 

 

 

In mezzo c’è stato Juno. Inaspettatamente apprezzato dal pubblico, Juno è stato in grado di parlare a pubblici diversi, smarcandosi dai luoghi comuni delle commedie tutte indie-pop e dialoghi quirky (che pure incarna) con una storia ben scritta e un po’ più carne al fuoco del solito.Sotto sotto rimane una commediola di poche pretese e media gradevolezza, ma in mezzo agli altri film del suo genere riesce a fare un figurone.

 

 

 

Il punto più basso del genere è stato probabilmente toccato da Nick and Norah’s infinite playlist, un film così brutto che al confronto Juno sembra un’opera di Truffaut. Mai vista un’esibizione tanto sfacciata di riferimenti fin dalla prima scena (una carrellata dei poster appesi in camera dal protagonista; sottile), un namedropping così furibondo, una storia così inverosimile. Il fatto che in teoria sia una commedia da teenager rischia di essere un’aggravante invece che un’attenuante.

 

 

 

Ormai, come dicevo, esce una commedia indie ogni paio di mesi. Adesso anche in Italia è il turno di 500 days of Summer (da noi 500 giorni insieme), che vuol raccontare una storia d’amore atipica che, guarda caso, cade in tutti i luoghi comuni del caso: vestiti vintage per lei, vulcanica e appassionata (Zooey Deschanel, già chanteuse retrò con She & Him e ora moglie di Ben Gibbard dei Death Cab for Twilight Cutie), cardigan e sneakers per lui, timido ma sensibile (l’ex bambino prodigio Joseph Gordon-Levitt); e (oltre a un imbarazzante product placement dell’IKEA su cui è meglio sorvolare) un paio di scene topiche sulle note degli Smiths. Audace!

 

 

 

A confronto con 500 days of Summer, Away we go (già presentato con grosso timore su queste pagine mesi fa) fa un vero figurone, perchè quanto meno è un film vero; il regista (Sam Mendes, quello di American Beauty) conosce il mestiere e gli attori pure, ed è già un inizio. Ma è anche una fine: la trama (firmata dall’ex formidabile genio Dave Eggers e da sua moglie) vede il verosimile scenario di una coppia di trentenni in attesa di un figlio che vagano per gli States alla ricerca di una città in cui stabilirsi a vivere. Succede un po’ a tutti, del resto.

 

 

 

Negli states è da poco uscito Paper Heart, che osa di più nella forma quindi fallisce in modo ancor più sonoro. Si tratta di un finto documentario/reality sulla protagonista Charlene Yi e la sua difficoltà a innamorarsi (son problemi); il protagonista maschile è Michael Cera (già in Juno e in Nick and Norah; get a real career, dude) nel ruolo di se stesso e la cosa fa accapponare la pelle al solo pensiero. La sua faccia da culo fa prudere le mani per tutto il film, così come le risatine della protagonista e la vacuità dell’intera operazione. Quando la Yi imbraccia la chitarra e si mette a registrare col suo Macbook una canzone twee-pop / freak folk per il suo amato (la trovate qui sotto) si comincia ad augurarsi l’estinzione del genere umano. O, quantomeno, ci si sente pronti per darsi all’horror.

 

 

 

[sullo stesso argomento ma spettro un po’ più ampio e opinioni un po’ diverse e meglio argomentate: Blueblanket su queste pagine, mesi fa]

 

 

 

The Shins – New slang (MP3)

The Moldy Peaches – Anyone else but you (MP3)

Charlene Yi – Perfume (MP3)

 

giovedì, 03 12 2009

nel dubbio: postare nick cave su inkiostro è come postare tette su asphalto, no?

di

scrivendo una mail ad un’amica sono finito a rileggermi, a distanza di 14 anni, il testo di disco 2000, scoprendo all’improvviso tutta un’aura di malinconia glam che all’epoca era rimasta (almeno per me) sepolta sotto i synth e di cui mi sarei accorto solo con help the aged. all’epoca tutti – giornali, giornalisti e fanzinari assortiti – cercavano "i nuovi smiths" e se ne venivano fuori coi gruppi piú improbabili. io ricordo i gene, per dire, e credo di essere l’unico al mondo (rumore aveva cercato di pomparli per qualche numero, e per me all’epoca rumore era il vangelo – ah, beata ingenuità adolescenziale).

 

ecco, a distanza di un quindicennio sono ormai sicuro che "i nuovi smiths" fossero proprio i pulp, ce li avessimo di fronte agli occhi e non ce ne siamo accorti perché eravamo troppo fessi e snobisti e poi perché in fondo i pulp erano nati pure prima degli smiths. chissà perché questa illuminazione mi riempie di una tristezza infinita, come se fossi deborah e all’improvviso mi accorgessi di jarvis il nerd appostato fuori dalla mia finestra.

 

dovendo illustrare il post, ero incerto fra una cover di nick cave (in onore di inkiostro, che co-ospita questo post) e una dei franz ferdinand, entrambe vecchie di lustri ma che non ricordo di aver mai visto postate su un blog italiano. nell’incertezza, eccole entrambe.

 

 

giovedì, 03 12 2009

L’unica band che non fa video per promuovere la musica, ma musica per promuovere i video

Qualcuno se li ricorda gli OK Go? Nel 2006 avevano avuto i loro 15 minuti di celebrità grazie ai coreograficissimi video A million ways (quello dove ballano senza tapis roulant) e Here it goes again (quello dove ballano con i tapis roulant); poi sono scomparsi nel dimenticatoio che la loro anonima musica meritava.

Ora i nostri ci riprovano: in occasione dell'uscita del nuovo disco Of the blue color of the sky (che esce a Gennaio ed è prodotto nientemeno che da Dave Fridmann) è appena stato diffuso il video del singolo WTF?. Ancora una volta un pezzo non proprio immortale (ma meno ruffiano dei vecchi singoli, va detto) con un video assolutamente distintivo, che fa un uso creativo di una tecnologia datata e sembra, ancora una volta, interessare alla band più della musica.

Visto l'impegno che ci mettono, viene da chiedersi se non gli convenga direttamente cambiare mestiere.