novembre 2011

mercoledì, 30/11/2011

Daria vive!

[da DeviantArt, via]

martedì, 29/11/2011

Micro web-tv crescono

di

La curiosità tecologica, la pochezza della tv generalista tradizionale e la voglia di "qualcosa di buono e fresco" porta a occuparci di web tv. L'occasione è data poi da AltraTv, primo osservatorio sulle micro web tv italiane e sui micromedia iperlocali in rete,  che giovedì 1 dicembre a Bologna in Sala Borsa organizza “TeleVISIONI del mondo: come le web tv diventano start up”, durante l’incontro verranno premiate le migliori web tv 2011 con il contest Teletopi, gli oscar delle web tv italiane.

 

 

Stasera a Impronte Digitali su radiocitta'fujiko ne parliamo con Giampaolo Colletti, fondatore e direttore di AltraTv. Ormai sono 533 le web tv in Italia, di cui 51 in Emilia Romagna, e molte di queste sono sulla strada si un modello di business sostenibile. Per fare di più dovranno trovare investirori, riuscire a mettersi in network e con pochi mezzi inventarsi qualcosa di nuovo e con qualità.

 

 

Ci riusciranno ? Sì secondo la "madrina" del progetto Carmen Lasorella (proprio lei e devo dire in gran forma), che ora dirige San Marino RTV. Come anticipazione qui sotto l'audio con la sua intervista.

 

MP3 Carmen Lasorella

 

MP3 IMPRONTE DIGITALI – Altra TV

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martedì, 29/11/2011

Ascolta tutte le canzoni dei Beatles. Contemporaneamente.

Non si è ancora spento l'eco della data di Paul McCartney in città (ci sono andato? no. Preferisco le rockstar quando sono vive) che online fa la sua comparsa l'epico delirio All Together Now – Everything the Beatles ever did, una follia che come dice la descrizione, sovrappone tutte le canzoni mai prodotte dal Beatles, in modo che la più lunga parta per prima e che le canzoni finiscano tutte e 226 insieme. Provate a spingere Play: intorno al quarto minuto vi scoppierà il cervello. Garantito.

 

 

lunedì, 28/11/2011

Affinità e divergenze

lunedì, 28/11/2011

Cento pagine su quella certa band chiamata The Smiths

Lo scorso weekend ho passato un numero di ore decisamente esagerato a leggere il numero speciale di NME e Uncut interamente dedicato agli Smiths, in cui mi sono imbattuto per caso in libreria qualche giorno fa. 

Cento pagine di articoli nuovi e (soprattutto) degli anni '80, interviste e recensioni dalle pagine di Melody Maker o NME di 25 anni fa, foto, recensioni, memorabilia e approfondimenti assortiti sulla band di Morrissey, Marr & company. Niente di lotananamente nuovo sotto il sole, ma si sa, a noi fan degli Smiths questo importa poco, vogliamo solo sentirci raccontare ancora e ancora la storia della band di Manchester, avere una nuova scusa per riascoltare da cima a fondo la loro discografia (cosa che ovviamente ho fatto), avere una nuova occasione per rileggere chi sono e cosa hanno fatto i protagonisti delle bellissime copertine del loro LP e singoli e avere ulteriori conferme che, a parte i poveri detrattori senza speranza, il mondo è unanime nel considerarli una delle band più influenti degli ultimi 30 (se non 50) anni.

Pechè quando non riusciamo più a dare l'attenzione che vorremmo alla bulimica e sterminata produzione musicale contemporanea, non resta che fermarsi, guardare indietro e tornare ai cari vecchi punti saldi. Che è una cosa che, sono sicuro, Morrissey stesso approverebbe. 

 

 

Bonus:

We see lights – Hope you like The Smiths

 

venerdì, 25/11/2011

If my brain was a program

Il loro primo singolo Poisoned Apple Pie mi piaceva un sacco e non ho mai capito perchè il loro nome, anche undeground, sia sempre rimasto poco noto. Ora gli Atari da Napoli sono tornati con un nuovo disco, e ancora una volta il singolo che lo presenta è davvero notevole (e il video forse ancora di più). If my brain was a program sta da qualche parte tra i Postal Service e le cose meno chitarrose dei Phoenix, e se tutto il disco è così, direi che perchè diventino noti è solo questione di tempo.

 

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giovedì, 24/11/2011

Per poterti sognare

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mercoledì, 23/11/2011

Ma no, sto benissimo

(via)

martedì, 22/11/2011

iJobs arriva a Impronte Digitali

di

Ebbene sì anche qui ci accodiamo a coloro che hanno da dire e scrivere su Steve Jobs e il suo genio. Lo facciamo stasera alle 19 a Impronte Digitali su radiocitta'fujiko con Riccardo Bagnato, giornalista esperto di non profit e nuove tecnologie, che ha pubblicato iJobs, una biografia non autorizzata uscita per Manni Editore.

 

Un libro molto documentato e di agevole lettura che racconta la cronologia Apple accostando le strategie industriali e invettive dell'azienda ad un ritratto di Jobs, franco e avventuroso quanto richiede il personaggio. Nella nostra chiacchierata metteremo anche curiosità varie e frivole, il confronto editoriale con l'altra grande bio e le inevitabili domande sul futuro. Qualche spunto verrà anche ispirato dall'intervista fiume di Leonardo, da usare come antipasto alla nostra.

 

MP3 IMPRONTE DIGITALI – Riccardo Bagnato iJobs

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martedì, 22/11/2011

Dizionario della Crisi / 2

di


debito (s.m.)

 

Debito è parola antichissima, che probabilmente nasce assieme alle primissime regole del diritto. Prima di essere un sostantivo è un participio passato e vuol dire dovuto. Rimanda quindi a un impegno preso, che s'intende vincolante. Nella prima edizione del Vocabolario della Crusca (1612) è definito come "obbligazione di dare, o restituire altrui, che che si sia, e s’intende più comunemente di danari". In altre parole, come dice il Dizionario Universale Critico Enciclopedico di Francesco Alberti di Villanuova, del 1825, si tratta della "obbligazione di pagare altrui qualche somma di danaro".

 

Tuttavia la cosa non è così triviale come potrebbe sembrare. Il dovere che sta dietro al debito è il fondamento del diritto civile. Pacta sunt servanda, dice il motto latino. Cioè: i patti vanno rispettati. O, se si vuole, le promesse vanno mantenute. E se la promessa riguarda la restituzione di una somma presa in prestito, be', quei soldi vanno ripagati. Come sbotta Shylock, nel Mercante di Venezia (Atto III, Scena III): I’ll have my bond; speak not against my bond. Dove bond, qui, vuol dire proprio quello di cui stiamo parlando – visto che deriva dal verbo bind, cioè "legare, vincolare". Bond è legame, ma anche debito. (Un'altra parola della crisi, molto alla moda tra i più indebitati, è eurobond – cioè: che il debito lo paghi l'Europa). Per Noah Webster, autore del primo dizionario americano della lingua inglese, bond vuol dire "any thing that binds", qualsiasi cosa che vincola – cioè, aggiunge "obligation".

 

Il debito è quindi, per quanto fastidioso possa essere, ciò che lega gli uomini al rispetto degli impegni assunti. Volendo filosofeggiare, qualcuno potrebbe dire che il debito è il fondamento del vivere civile. Possiamo liberarci così, a cuor leggero, di un impegno così essenziale e basilare? Disconoscere i nostri doveri, come se non li avessimo mai assunti?

 

Il debito dello Stato è detto pubblico, perchè gira e rigira ricade su chi di quello Stato è cittadino. Per il Sabatini-Coletti, debito pubblico è "il complesso dei debiti contratti dallo Stato prendendo a prestito denaro da privati, laddove gli introiti fiscali non siano sufficienti, allo scopo di coprire il proprio fabbisogno finanziario". In America si parla di government bonds o Treasury bonds. E noi diciamo infatti "buoni" del Tesoro. Ma il buono (dal latino bonum, che secondo il Dizionario Etimologico Le Monnier deriva da una radice indoeuropea che vuol dire "utilità") è tale solo per chi i soldi li deve ricevere, non per chi li deve dare (per gli uni è buono, per gli altri è bond). Fu Alexander Hamilton, primo Ministro del Tesoro USA, a inventarsi il debito pubblico federale americano, dopo un lungo braccio di ferro con chi voleva che ogni stato badasse al suo, di debito (Jefferson in testa). Ma questa è un'altra storia (che ci riporta all'Eurobond che i Tedeschi non vogliono sentir nominare). Dopo 220 anni dall'approvazione del progetto di Hamilton, il debito pubblico americano ha aperto un account twitter. Un po' triste, in verità: twitta solo link per avere informazioni sul debito e segue solamente 4 altri twitterer: il Dipartimento del Tesoro, la Casa Bianca, un'altra agenzia del Tesoro e la Zecca Federale (che, nonostante quel che si potrebbe pensare, ha un account un po' più movimentato).

 

Il debito pubblico italiano è invece sempre stato fonte di guai. Già nel 1870, in una "lettera di un deputato a' suoi elettori" intitolata Politica finanziaria e riduzione del debito pubblico nel Regno d'Italia, un parlamentare lamentava:

 

Dappoichè si fu costituito il regno d'Italia , già molte esposizioni finanziarie abbiamo udito; tutte si rassomigliano: tutte espongono: situazioni del tesoro con gravi e progressivi disavanzi — bisogni urgenti di cassa — domande di straordinarie provvisioni di fondi, alienazioni, incameramenti, regìe, imprestiti sotto tutte le forme — domande d'imposte nuove — speranze nel progresso della ricchezza pubblica — ipotesi, calcoli, promesse d'un prossimo pareggio. Ebbene, che avvenne? Si divorarono i prodotti delle vecchie tasse e delle nuove che raddoppiarono le vecchie gravezze, e inoltre si divorò in ogni anno una provvisione straordinaria di oltre quattrocento milioni procacciata sempre con sciagurati accatti (quattro mila milioni in dieci anni), e finalmente or ci troviamo — pressochè in fin di risorse — con un disavanzo […] Dell'orribile dissesto quali sono le maledette, le infernali cagioni? L'Italia, amici miei, come altra volta dai barbari, è invasa da un'orda di selvaggi interessi: sono interessi di ambizioni immoderate, immense; interessi di cupidigie insaziabili, sfacciate; interessi di militarismo; interessi di partiti, di provincie, di regioni — di chi poco o nulla vorrebbe conferire alla cassa sociale, e prendervi la parte più opima; in una parola, sono gli interessi di un egoismo insensato, che conduce alla rovina universale o al disonore.

 

Insomma, a parte la punteggiatura bizzarra, i soliti vizi atavici. Che fare quindi? Uno slogan di qualche anno fa diceva: Cancella il debito. Ma nessuno pensava che dopo l'Uganda sarebbe toccato a noi. Oggi qualcuno lo pensa. E lo chiede. Come Padre Alex Zanotelli che firma un appello in cui si chiede la cancellazione del debito pubblico italiano. E il vincolo? il dovere? il legame? Chi è indignato dice: non è il nostro debito. E formalmente ci può anche stare, perchè lo Stato è lo Stato e i cittadini sono i cittadini (anche se lo Stato si indebita per spendere e questa spesa si chiama anche sanità, cassa integrazione, difesa, servizi sociali, sicurezza, insegnanti eccetera eccetera). Ma anche ammesso che il debito non sia nostro, lo è, ahimé, il credito. I dati dicono che poco più di metà dei buoni del tesoro sono in mano a Italiani. Il che vuol dire che cancellare il debito significa cancellare il credito – e chi di voi ha prestato soldi allo Stato non li riavrà indietro.

 

Perchè, scrive von Pufendorf ne Il diritto della natura e delle genti (nella traduzione di Giovanni B. Almici del 1757), con la nascita di una obbligazione da parte degli uni "gli altri acquistano un diritto, che avanti non avevano. Conciosiacché l’obbligazione va sempre insieme, e del pari con il diritto. Onde subito che una persona entra in qualche obbligazione, ad un’altra succede in istanti un qualche diritto, che vi risponde”. E, viceversa: morto il debito, muore il credito. Che è appunto, dice il Vocabolario della Crusca "quello, che s' ha ad aver da altrui, e per lo più moneta".

 

La preghiera che unisce tutti i cristiani recita: dimitte nobis debita nostra. Cioè: cancellaci il debito. Ma aggiunge: sicut et nos dimittimus debitoribus nostris. In breve: rinunciamo ai nostri crediti purché ci siano tolti i debiti. Siete pronti a farlo? Perchè, ricordiamoci, le promesse, poi, vanno mantenute.

martedì, 22/11/2011

I don’t do too much talking these days

[Robin Peckold (Fleet Foxes) & Alela Diane – These Days (Nico Cover – live al Teatro Smeraldo, Milano, 20/11/2011). No, a Bologna non l'hanno fatta, maledetti]

lunedì, 21/11/2011

Ritorno al futuro

Il progetto Back to the future della fotografa argentina Irina Werning è una di idee cose semplici semplici realizzate da Dio che finiscono per mandarmi fuori di testa. Non c'è bisogno di spiegare cosa sia: guardate le coppie di foto qua sotto e capirete.

 

 

[Lea B 1980 & 2011 Paris]

 

 

 

[Fer 1981 & 2011 Buenos Aires]

 

 

 

[Daphne 1986 & 2011 Paris]

 

 

 

[The Zurbanos 1999 & 2011 Buenos Aires]

 

 

 

[Christoph 1990 & 2011 Berlin Wall]

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venerdì, 18/11/2011

Sono stato in libreria

Nonostante abbia ordinato più di un centinaio di euro di libri appena a fine Agosto per approfittare degli ultimi scampoli di super-sconto prima che entrasse in vigore la legge Levi, in questo periodo in libreria stanno uscendo talmente tanti titoli interessanti che c'è da spendere di nuovo praticamente la stessa cifra.
Degli acquisti più recenti ho letto ancora solo Cosa volete sentire, e ci metterò mesi a smaltire il nuovo A. M. Homes (che se sbaglia anche questo si gioca tutto il credito accumulato con Questo libro ti salverà la vita), il nuovo Coe (che il credito per i romanzi se l'è giocato tutto; ma questa è una biografia, e la sua vecchia biografia di Bogart era molto carina) e il Foster Wallace postumo (per cui mi sa che aspetterò l'Estate, per controbilanciare la tristezza).
Ho però un altro paio di titoli (che da noi sono appena usciti ma che ho già letto in inglese nei mesi scorsi) da consigliarvi senza se e senza ma.

 

 

Craig Thompson  – HABIBI (Rizzoli Lizard)

Mi sono avvicinato alla nuova, mastodontica, graphic novel di Craig Thompson con tantissima paura. Sono passati 8 anni da Blankets, e non sarebbe la prima volta che un autore, dopo aver creato quasi casualmente un capolavoro universalmente riconosciuto, si blocca e non riesce più a produrre niente di alto livello. Thompson si è fatto attendere e ci ha fatto sudare, ma il pericolo è scampato: Habibi è bellissimo. E' seriamente uno dei fumetti graficamente più belli che io abbia mai visto (aiutano il formato gigante e la copertina deluxe), dotato di una fantasmagoria visionaria e molto evocativa, di un modo di narrare complesso ma scorrevole e molto moderno, e di una storia che uccide.
Costa 35,00 euro, ma li vale tutti.

 

Compra Habibi (Amazon.it / IBS)

 

 

 

Jennifer Egan – Il tempo è un bastardo (Minimum Fax)

Ignorate il titolo, vi prego. Di solito dalle parti di Minimum fax fanno le cose per bene, ed è vero che A visit from the goon squad (una cosa tipo «Una visita dalla squadra degli sgherri») non vuol dire quasi niente neanche in originale; però scegliere la strada frase da bacio perugina, per di più svelando la metafora del titolo che nel libro è chiarita parecchio avanti nel testo, è veramente un crimine. Cercate si soprassedere, però, perchè il libro lo merita. Il romanzo più recente di Jennifer Egan ha vinto tutti i premi che poteva vincere (su tutti il Pulitzer e il Booker prize) ed è uno splendido patchwork di storie e voci intrecciate intorno ad alcuni personaggi, che sperimenta (con parsimonia) forme diverse, e risulta naturalissimo sia quando il punto di vista è quello di una manager discografico di una certa età, sia quando è quello di una publicist troppo poco priva di scrupoli, sia quando a parlare è un'adolescente californiana che suona in un gruppo punk, o anche 30 anni dopo, un'altra adolescente che scrive il suo diario in forma di presentazioni di Powerpoint (sic). Una specie di affresco in stile Franzen sminuzzato come lo farebbe un Foster Wallace meno cervellotico (ma femmina), pieno di ottimi passaggi e dotato di una voce autentica e ispirata. Pare che la HBO ne farà una serie tv, e ci sta. Consigliatissimo.

 

Compra Il tempo è un bastardo (Amazon.it / IBS)

giovedì, 17/11/2011

Dizionario della Crisi / 1

di


 

disinteresse (s.m.)

 

Appoggiare il Governo Monti? Festeggiarlo? Tollerarlo? Fargli opposizione? Le ragioni che muovono i nostri parlamentari sono complesse. A volte indecifrabili. L'idea che tutti vogliono offrire al popolo è quella della responsabilità, del sacrificio, del mettersi a disposizione del Paese, anche contro i propri interessi personali. Per il PDL si tratta di rinunciare al governo guidato dal proprio leader e ritirare la richiesta di elezioni. Per il PD si tratta di rinunciare a elezioni in cui avrebbe buone probabilità di vincere. Tuttavia, per entrambi i partiti maggiori, si tratta anche di non essere direttamente immischiati né fisicamente presenti in un governo che con ogni probabilità aumenterà le tasse, taglierà la spesa pubblica e varerà riforme dolorose.

 

La rinuncia all'interesse di parte – in nome del famigerato Interesse del Paese – nasconde anche una forte attenzione ai propri interessi. E questa ambiguità è tutta racchiusa in una parola che i secoli hanno sottilmente trasformato e svilito – con un'incredibile accelerazione negli ultimi anni.

 

In una scena di Bugsy di Barry Levinson (1991), il gangster interpretato da Warren Beatty corregge un tizio perchè confonde due parole americane: uninterested, che vuol dire non interessato; e disinterested, che vuol dire invece (secondo l'Oxford Advanced American Dictionary) not influenced by personal feelings, or by the chance of getting some advantage for yourself, cioè non mosso dall'interesse personale. L'errore del compare di Bugsy Siegel è divenuto con gli anni un significato accettato nella lingua inglese. Tant'è che il Garner's Modern American Usage ci dice che disinterest  nell'accezione di "mancanza di interesse" è ammesso, anche se è meno corretto e i più autorevoli scrittori ne condannano l'uso (che però è diffusissimo)

 

Sarà forse la sempre maggiore scarsità di gente disinteressata – a vantaggio dei sempre più numerosi non interessati – ma è la stessa cosa che è successa nella lingua italiana. La parola disinteresse compare infatti nel XVIII secolo. Infatti, la prima edizione del Vocabolario della Crusca (1612) non la riporta. Spunta, invece, nei Discorsi Accademici (1735) di Anton Maria Salvini, un erudito fiorentino che fu Arciconsolo dell'Accademia della Crusca. E di lì in poi viene diligentemente registrata dai linguisti nella sua accezione originaria e più vera. Infatti, nel Dizionario della Lingua Italiana di Nicolò Tommaseo e Bernardo Bellini (1869) troviamo che disinteresse vuol dire "disistima del proprio utile, noncuranza di guadagno". E nel Dizionario ortologico pratico di Lorenzo Nesi (1824) abbiamo la definizione "noncuranza del guadagno o della propria utilità". Il disinteresse ha quindi un significato nobilissimo: è la condizione dell'imparzialità, prerequisito della perfetta fairness – visto che chi agisce non può trarre nessun beneficio personale da quell'azione.

 

Il disinteresse è, se vogliamo, l'opposto di quella locuzione che ha invece imperversato per vent'anni: il conflitto di interessi. Nell'assenza di interesse (personale) in ciò che si fa c'è la migliore garanzia dell'agire giusto e del buon governo.

 

Ma la lingua è specchio dei tempi. Ci si è evidentemente accorti che il disinteresse è una rarità o un'ipocrisia. Negli ultimi mesi, mentre l'Italia si accinge al baratro finanziario e si invocano interventi giusti, nobili e non faziosi, il disinteresse dilaga tra i commentatori. Ma in un'accezione negativa. Sul Corriere della Sera, in un editoriale del 5 agosto 2011, Marcello Messori bacchetta il governo Berlusconi perché pone scarsa attenzione alla crescita del paese. Il titolista titola "Il disinteresse per la crescita". (Bugsy avrebbe reagito malissimo). Oggi, il buon Francesco Costa loda il Governo Monti a confronto di un PDL "completamente allo sbando e disinteressato alle sorti del Paese". Sul Futurista, il 20 ottobre 2011, si individua nel disinteresse la ragione per cui la Rai taglia un servizio sulle morti bianche. Mentre sul Mattino, il 18 gennaio 2011, Teresa Bartoli scrive che il silenzio di Napolitano sul caso Ruby non vuol dire che il Presidente non segua la faccenda con attenzione, perché "riserbo e distanza non significano… disinteresse". E già il 7 febbraio 2002, sul Foglio, si dice che "il disinteresse pubblico accompagna ormai stancamente la battaglia sul conflitto di interessi del premier": che non vuol dire che il popolo agisce in maniera disinteressata mentre Berlusconi fa il contrario, bensì che dell'agire per nulla disinteressato di Berlusconi non gliene frega ad anima viva. E infatti i moderni dizionari certificano l'avanzare del dark side del disinteresse. Il Devoto-Oli ha due definizioni: la prima, nobile e antica, è "attitudine o comportamento di chi non bada al tornaconto personale, in nome di principi etici, religiosi, umanitari"; la seconda è quella sempre più comune, cioè "colpevole noncuranza nei riguardi dei propri compiti o dei propri impegni". Il Sabatini-Coletti, infine, ammette il sorpasso: la prima definizione, spietata, è "assenza di interesse, di impegno, di cura".

 

L'apatia, dunque, predomina. Se interesse c'è, non può che essere personale e fazioso. Se qualcuno fa qualcosa, lo farà per un suo tornaconto. E se non ci sono tornaconti da guadagnare, meglio disinteressarsi, cioè appunto lasciar perdere. L'ottimismo di questi giorni lascia ben sperare anche sulle sorti di questa parola. Con l'aiuto di Monti (e di Bugsy Siegel) speriamo che prevalga il buon disinteresse – anche se il movente dovesse essere, per qualche mese, l'interesse dei poco disinteressati a non immischiarsi in decisioni difficili.
 

giovedì, 17/11/2011

The foxes are coming to town

 

Barbe, camicie di flanella, cappelli di lana pelosa e cori armonizzati altrettanto morbidi: non riesco a immagine un periodo migliore di Novembre per un concerto dei Fleet Foxes. La band di Seattle dopo il clamoroso esordio omonimo e la solida conferma di Helplessness Blues sta arrivando in Italia per 3 date (stasera all'Atlantico live di Roma, sabato all'Estragon di Bologna e domenica al Teatro Smeraldo di Milano) che se fossi in voi non mi perderei per nulla al mondo. Il loro repertorio è ormai zeppo di pezzi splendidi, la resa live è eccellente e quando ho avuto occasione di vederli questa Estate a Barcellona, dove suonavano sul palco grande al tramonto, sono rimasto ancora una volta molto colpito.
A Bologna è prevedibile la folla delle grandi occasioni, e dopo il concerto avrò l'onore di essere ospite in consolle da Mingo e mettere un po' di dischi. Dopo tanti coretti e melodie gentili ci starà benissimo un po' di rock'n'roll.

 

 

MP3  Fleet Foxes – Grown Ocean (Maida Vale Live Session)

MP3  Fleet Foxes – Mykonos (Maida Vale Live Session)

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mercoledì, 16/11/2011

#occupyLegoland

Impossibile non postarlo.

(via)

 

 

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martedì, 15/11/2011

Sottobosco.info @ Impronte Digitali

di

G: Hai scritto il post per Inkiostro ?

P. Sto finendo, pensavo a una cosa tipo:  è online il nuovo www.sottobosco.info, web magazine bolognese che si occupa di ecologia e ambiente, progetto di giornalismo civico a basso costo (cioè senza finanze alle spalle), un gruppo di amici esperti di comunicazione che si mette insieme per iniziare un cambiamento partendo dal proprio vicinato …
G. Si ok, ma non va bene … non è divertente !
P. Uno spiegone non lo è mai.
G. Appunto, i lettori di Inkiostro sono esigenti, dovresti saperlo meglio di me.
P. Sì certo. E tu parli come se avessi già un'idea, no ?
G. Devi scrivere che a Sottobosco parliamo di ambiente ma non siamo dei rompiballe.
P. Ah ah. E' perfetto
G. :)
P. Almeno che la redazione di Sottobosco sarà a Impronte Digitali stasera alle 19 in onda su Radio Città Fujiko, posso dirlo ?
G. Sì ma alla fine, come se fosse una postilla.
P. Dovrei assumerti come ghost writer.
G. Dovresti
 
 
 
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martedì, 15/11/2011

Big Band Theories

Non so chi ci sia dietro a Big Band Theories (anche se ho l'impressione che sia qualcuno che potrei conoscere), ma l'idea è carina e la realizzazione brillante:

Per chi ha sempre sognato di diventare una rockstar. Ma soprattutto per chi, almeno una volta nella vita, ha pronunciato le parole “Se avessi un gruppo, lo chiamerei…”.
••• Bands you could play in, but you don’t. •••

Manda il nome della tua band teorica a bigbandtheories@gmail.com I nomi più creativi saranno trasformati in loghi veri – o quanto meno, verosimili.

Erano già bellissimi i teaser:

 

Poi già i primi loghi realizzati sono veramente splendidi:

 

Followateli (FB, TW)! Scrivetegli!
Io quasi quasi gli scriveo e gli chiedo se mi fanno il logo degli Unbelievable Cazzons.

lunedì, 14/11/2011

La rosa dei dieci – “In circolo” dei Perturbazione compie dieci anni

Come già sapete, sui Perturbazione in quasi 9 anni di blog ho scritto un numero notevolissimo di post.
Il perchè è abbastanza ovvio (sono una band eccezionale), come ho cercato per l'appunto di scrivere quasi tutte le volte:

 

Perturbazione sono una band che non ha più nulla da dimostrare.
Qualitativamente ha già dimostrato tutto mille anni fa con il suo capolavoro In circolo, che fotografa un collettivo perfetto sotto praticamente tutti i punti di vista e contiene quella che è forse la più bella canzone italiana del decennio scorso (Agosto, ovviamente, che si contende con Estate di Bruno Martino il titolo di canzone estiva più triste di tutti i tempi, e che come Estate avrà sicuramente una vita molto lunga). Negli anni successivi, poi, i Perturbazione hanno dimostrato che in un paese di merda come il nostro una band che produce del pop così sopraffino non avrà mai il successo che merita: troppo priva di pose e pretese modaiole, troppo incapace di velleità e compromessi commerciali, troppo poco ggiovane per piacere agli adolescenti e troppo cazzona e volutamente sghemba per conquistare i seriosi amanti della musica d'autore. Una band quasi unica che probabilmente non ci meritiamo.[#]

 

La musica dei Perturbazione, da sempre, mi fa pensare a Joyce. Come cosa suona un po’ strana, me ne rendo conto; e certo se si prendono le divagazioni più cervellotiche dell’Ulisse o il periodare sperimentale diFinnegan’s Wake i punti di contatto, a ben vedere, sono pochi un po’ in tutti i sensi. C’è però un racconto in particolare che mi fa pensare a loro, ovvero Una piccola nube, dalla raccolta Dubliners. A parte le ovvie affinitità metereologiche e il concetto per eccellenza pop dell’attenzione altra alle piccole cose, ad accomunarli c’è la rara capacità di vedere e mostrare epifanie cariche di senso anche in cose che sembrano non aver più nulla da dire, che siano gli sguardi bassi di Little Chandler come gli anni sbagliati ma diversi nascosti dietro una ‘e’ aperta o chiusa. [#]

 

L'ho già scritto, e non sto a ripeterlo. Anche se le celebrazioni servono di solito proprio per cose del genere, ed oggi è una giornata da celebrare, perchè dieci anni fa usciva In circolo, il capolavoro della band piemontese, forse il più bel disco italiano degli anni zero e certamente il più importante. Per festeggiarlo degnamente, oggi esce in tutti i negozi In circolo – dieci anni dopo, ristampa in edizione deluxe con 2 cd che oltre ai brani originali include Fuori dal giro, raccolta di 24 brani inediti, lati B, versoni alternative ed esperimenti vari risalenti all'epoca. Tra Gennaio e Febbraio poi la band sarà in tour per dieci date speciali in cui suonerà la scaletta originale del disco. Una macchina del tempo, praticamente.

 

MP3  Perturbazione – La rosa dei 20

venerdì, 11/11/2011

Per la serie “nerd con troppo tempo libero”: la madre di tutte le piste Hot Weels

Ecco una cosa che lascia abbastanza senza parole:

This is a 3 minute long video of a 2,000 feet long powered Hot Wheels track that goes up and down the stairs, through 14 rooms of a house, around the outside of the house, and a jump over a hot tub. [#]

 

venerdì, 11/11/2011

#occupyBreakingBad

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giovedì, 10/11/2011

Cosa volete sentire?

Il meglio della scena musicale indipendente italiana in un libro di racconti? E' un'idea improbabile, ma, se ci pensate bene, per niente peregrina. Ed è l'idea che hanno avuto Minimum Fax e la curatrice Chiara Baffa (una che quella scena la conosce bene), e che ha portato alla pubblicazione di Cosa volete sentire – Compilation di racconti di cantautori italiani, uscito qualche giorno fa in tutte le librerie. Dentro ci sono tutti o quasi i nomi che contano: Giuseppe Peveri (Dente), Vasco Brondi (Le luci della centrale elettrica), Dario Brunori (Brunori S.a.s.), Max Collini (Offlaga disco pax), Rossano Lo Mele (Perturbazione), Simone Lenzi (Virginiana Miller) e parecchi altri. I testi sono quasi tutti in qualche misura autobiografici, ed è molto curioso sentire alcuni dei propri cantanti e musicisti preferiti esprimersi con un registro diverso dal solito e raccontare un aneddoto o una storia con un respiro più ampio dei pochi minuti di una canzone. I risultati sono -come è inevitabile in questi casi- molto discontinui, ma forse i migliori sono i racconti di Darione Brunori e del beneamato Offlaga Disco Max, di cui potete leggere l'incipit in questo bell'articolo di Affari Italiani

 

Come scrive nella presentazione Chiara Baffa:

La musica indipendente è tornata ad attingere all’immaginario nazionale e alla ricchezza espressiva della nostra lingua, per produrre canzoni evocative, forti, coraggiose. A farla da padrone sono, insomma, i testi. Ecco perché abbiamo chiesto a tredici nuovi autori di scrivere un racconto. Il risultato è una mappa non solo dello stato della musica italiana ma anche delle persone a cui questa è rivolta: gente che si ride addosso, che è capace di immaginarsi un lavoro e un grande amore, di vivere e non di sopravvivere, e di reinventare la realtà. Si spazia dai ricordi di gioventù alle difficoltà dell’autopromozione, dai primissimi concerti alle vicissitudini del tour, dalla solitudine delle stanze d’albergo ai miraggi della notorietà, rivisitando e modernizzando l’intero concetto di rockstar. Il tutto con un unico, saldo filo conduttore: la musica.

Andate e compratene.

mercoledì, 09/11/2011

Non fa una piega