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martedì, 24/08/2004

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Seattle, it’s still alive
Una decina di anni fa Seattle era il massimo. Praticamente tutta (o quasi) la musica che ci piaceva veniva da là, e il grunge era un genere sufficientemente indistinto da indicare cose anche molto diverse tra loro, che finivano per accontentare un po’ tutti; si parlava con venerazione della sua vita notturna, si sognava di cenare sullo Space Needle, di vivere in un complesso di appartamenti come quello di Singles e potersi prendere ogni mattina un Frappuccino nel primo caffè Starbucks. Ricordo ancora benissimo quanto invidiavamo quell’amico di un amico che era andato un anno a studiarci, e che raccontava aneddoti leggendari sulla sua scena musicale, sulla coolness del luogo e -inevitabilmente- sulla per noi inconcepibile tranquilla disponibilità delle ragazze.
Adesso Seattle non se la caga più nessuno, e non fosse per la Microsoft (che ha base lì vicino, a Redmond) sarebbe di nuovo, anche nell’immaginario mondiale, una qualsiasi tra le tante città degli USA. Musicalmente ora è tornata alla grande New York, ha fatto il botto Toronto, e hanno scene musicali di rilievo pure posti finora misconosciuti come Portland e persino Omaha, in Nebraska; Seattle -non fosse per i sempre più famosi Death Cab for Cutie (che sono comunque più legati alla scena universitaria di Bellingham)- ha ormai perso tutto il suo appeal.
Eppure, proprio ultimamente, la vecchia Seattle musicale ha dato nuovi segni di vita, ottimi segni di vita. Entrambi, tra l’altro, che fanno i conti con quel passato ingombrante, lasciando ben sperare per il futuro. Questi segni vengono dai Pearl Jam e da Mark Lanegan.
I Pearl Jam, non so voi, ma io li davo per morti da anni. Dopo Yield (che secondo me –Ten a parte- è il loro disco più riuscito), infatti, non mi sembrava fossero stati capaci di fare niente di rilievo, avvitandosi in una spirale fatta di rock americano roccioso, sincero, ma abbastanza banale, e di un’inondazione di live davvero eccessiva. A fine Giugno, però, è uscito Benaroya Hall, 22 Oct 2003, un doppio acustico che ritrae un concerto assolutamente sui generis, che oltre a regalare versioni splendide di alcuni dei loro pezzi più belli (su tutte Immortality e una Black con singalong davvero commovente) e alcune cover d’autore ottimamente rese (soprattutto le classiche Crazy Mary di Victoria Williams e Masters of war di Bob Dylan), ritrae una band che ha senza dubbio ancora qualcosa da dire. E che è così in grado di mettere in fila canzoni recenti che, fuori dal contesto di dischi mediocri, brillano di luce propria (soprattutto Sleight of hand e All or none); come anche di proporre l’ultimo (in ordine cronologico) singolo della band, quella Man of the hour che sta nella colonna sonora di Big Fish di Tim Burton, e che è una delle ballate più belle uscite nel 2004. Niente male per un gruppo finito che viene da una città che musicalmente non ha più niente da dire.
Mark Lanegan nessuno lo dà per morto, anche se viste le sue condizioni e lo smodato uso di droghe che fa, c’è il rischio che a farlo ci pensi da solo; finchè tira fuori dischi come Bubblegum (che esce venerdì) faccia pure, verrebbe da dire cinicamente. Lanegan a Seattle ci è cresciuto e ne ha fatto un pezzo di storia musicale, con gli Screaming Trees prima e da solista poi, con 5 album di cantautorato inquieto grossolanamente inquadrabile come blues. Di tutti i suoi dischi da solo, Bubblegum è probabilmente quello che recupera di più il sound sporco della sua band di origine, incrociandolo con influenze dei Queens of the stone age (coi quali negli ultimi anni Lanegan ha bazzicato, e che suonano anche nel suo disco) e soprattutto con una vena cantautorale mai così fervida. Quello che esce fuori è un disco bello e ispirato, vario ma non schizofrenico, intensamente impregnato della voce sulfurea di Lanegan, con blues metanfetaminici, suoni industriali che vanno a braccetto con hammond e pianoforti romantici, e storie maledette e disperate da raccontare. When your number isn’t up è una marcia funerea che vede la guerra di trincea come metafora della vita, Metamphetamine Blues è un inferno industriale e lisergico, l’incedere incorniciato di organo e violino di One hundred days è fatalista e rassegnato (One day a ship comes in, one day a ship comes in / But I can’t say how or when / But I know somewhere the ship comes in every day), mentre in Come to me fa capolino la voce di Polly Jean Harvey, e in Out of nowhere una chitarra liquida e desertica calexicheggia e nickcaveggia immagini allucinate sulla fine. Dell’amore? Della vita? O solo di un grande disco?
Della musica di Seattle sicuramente no.






martedì, 24/08/2004

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Tra il vintage e l’anacronismo da accatto
Gli ingegneri si spremono le meningi a morte nello sforzo di rendere i cellulari sempre più piccoli ed efficaci, poi arriva un tizio, lancia questa idea neanche troppo originale dei retrotelefoni, fonda la Pokia, e adesso tutti lì come dei pecoroni a comprarsi e tenersi in tasca telefoni e cornette gigantesche. Mah.

lunedì, 23/08/2004

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Perchè il 2004 non sarà come il 1984
Vi siete mai chiesti per quale motivo il sistema operativo di gran lunga più diffuso al mondo sia Windows, e non uno tra i probabilmente migliori Sun OS, Linux o Mac OS? E’ una storia un po’ lunga, mettetevi comodi.
I fattori che hanno portato al monopolio di fatto della Microsoft, ovviamente, sono tantissimi. La causa principale della costituzione della posizione dominante di Windows, comunque, viene di solito identificata nell’errore tattico compiuto vent’anni fa da quella che era allora la dominatrice del mercato dei personal computer, e di conseguenza il suo avversario più diretto: la Apple.
Nel 1984 la Apple era infatti sulla cresta dell’onda: aveva da poco lanciato sul mercato il rivoluzionario Macintosh, che univa un costo non eccessivo all’introduzione dell’interfaccia grafica (copiata a sua volta dalla Xerox; ma questa è un’altra storia) fatta di finestre, icone e mouse che tutti conosciamo; una porta spalancata per gli utenti inesperti, che fino ad allora erano spaventati dalle interfacce testuali (come quella dei Commodore) in cui per interagire col computer era necessario digitare (e quindi impararsi) decine di comandi testuali. Nonostante il grande successo iniziale, nel giro di pochi anni la Apple perse tutto il suo vantaggio, a favore della Microsoft e del suo nuovo sistema operativo Windows, che si ispirava allo stesso modello. Tutto ciò a causa della politica di gestione delle licenze.
La Apple adottò infatti una politica di gestione delle licenze decisamente restrittiva; questa impediva ad altre aziende informatiche di utilizzare il sistema operativo del Mac su computer diversi da quelli della casa di Cupertino. La Microsoft, invece, scelse una tattica spregiudicata, stringendo accordi con le più grandi aziende produttrici di computer (tra cui la storica IBM), che divennero tutte ‘compatibili’ con Windows. La differenza di mercato tra tutti computer IBM compatibili che montavano DOS e Windows e la sola Apple, unica a poter produrre i Macintosh, portò a un ribaltamento della situazione; a causa di questa scelta la Apple ha gradualmente perso terreno rispetto alla Microsoft, fino a ritrovarsi come il costoso gingillo dedicato a fan sfegatati, grafici e amanti del buon design che è ora, con un’ampiezza di mercato che non può più essere paragonata a quella della casa del vecchio Bill (Bill!).
Non molti se ne sono accorti, ma la storia di vent’anni fa ora rischia di ripetersi, sebbene in un comparto diverso da quello dei PC: quello della vendita di musica online (con iTunes) e della sua fruizione personale (con l’iPod). Con iTunes e iPod la Apple è di nuovo in una posizione dominante, e di nuovo pare aver scelto una strategia restrittiva per quel che riguarda le licenze dei suoi prodotti. Si parla in particolare del sistema di DRM (Digital Rights Management) che permette si regolare il diritto d’autore della canzoni vendute su iTunes, sistema di cui la Apple non intende concedere l’uso agli altri negozi online che stanno spuntando come funghi (come il Realplayer Music Store, di cui parlava anche Repubblica qualche giorno fa). In questo modo la Apple rischia di ripetere l’errore che fece nell’84, precludendosi -semplicemente a scapito di una fetta di mercato ora, a fronte del rischio di un tracollo totale come è avvenuto per il mercato PC- la possibilità di una diffusione davvero universale del suo sistema.
Ma: questa volta c’è un ‘ma’? Secondo questo bell’articolo -lunghissimo, ma se siete interessati vi assicuro che vale la pena- tra le due situazioni c’è una grande differenza, una differenza chiamata iPod. Io sono abbastanza d’accordo, e secondo me, stavolta, Steve Jobs non rischia poi molto. Miracolo di quella scatolina di titanio bianco.






lunedì, 23/08/2004

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Anche se ormai lo saprete tutti
Hanno rubato per la seconda volta in 15 anni «Ho dimenticato di spegnere il forno» di Munch. La cosa incredibile è che una figura di merda del genere non l’abbiamo fatta in Italia. Per una volta.

venerdì, 20/08/2004

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gloria gloria gloria all’ipnorospo

venerdì, 20/08/2004

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Zeitgeist for dummies
Prendi una giornata qualunque; ce n’è in abbondanza, di questi tempi. Smussane gli spigoli più aguzzi, che in realtà non ce ne sono poi tanti -ma rischiano di fare male-, toglili uno ad uno di modo che non possano tagliare più. Elimina gli strati più esterni e superficiali, che di solito traggono in inganno, e magari nascondono dietro un’apparenza calcarea un gesso o un basalto. Poi rendi la forma più regolare, cerca di farla diventare il più simile possibile ad una sfera, senza facce e senza bordi, tanto monotona quanto elegante nella sua prevedibile circolarità. Quindi elimina le impurità, quei piccoli grumi di sostanze estranee che magari non si notano a prima vista, ma che quando la prendi in mano senti che sono lì, fastidiosamente e tenacemente aggrappati alla sua perfezione minerale. Quindi disinfettala, candeggiala, immergila nell’acido di modo che sia di un colore omogeneo, anzi, che non sia più di nessun colore, così che il rosso del tramonto non assuma alcun tipo di sfumatura quando si riflette su di lei. Quindi levigala, scartavetrala, rendila liscissima, senza una ruga, senza un angolo ruvido, senza alcun punto in cui il polpastrello si possa impigliare, o lo sguardo sia portato ad indugiare. Ciò che hai ottenuto, ecco, quella è l’essenza del tuo tempo. Sempre che ci sia rimasto qualcosa.

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giovedì, 19/08/2004

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Miracolo, miracolo
Mai andare in spiaggia senza tutta la dotazione classica: un buon libro, un paio di riviste di basso rango, il discman, i racchettoni (da queste parti meglio noti come «battilardo») e -ovviamente- La Settimana Enigmistica. Ieri pomeriggio -incredibile- in una spiaggetta di Sottomonte sono stato testimone di un miracolo: una vignetta della Settimana Enigmistica che (mi) faccia ridere. Visto che stavo quasi per commuovermi, non posso che condividerla con voi (anche se, ovviamente, non è che sia Woody Allen, eh).


giovedì, 19/08/2004

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’70 – ’80 voglia Disco Pax
Gli Offlaga Disco Pax sono come il socialismo in Emilia nel 1975 -che a sua volta è come l’universo-: in espansione. Ieri sera ad un piccolo festival sperduto nella bassa Romagna eravamo tutti lì per loro, visto che quel poco del loro demo che era circolato (tramite Enver, cui va la nostra gratitudine) faceva venire l’acquolina in bocca. E il trio reggiano non ha tradito le aspettative, anzi, le ha assai superate, con una proposta musicale fatta di elettronica povera a base di moog e casio (che non disdegna sortite nel mondo delle casse dritte come in quello del funk bianco – ©Gecco), chitarre flangerose e, soprattutto, di straordinari quadretti narrativi recitati.
La provenienza territoriale e il socialismo tascabile di cui si proclamano alfieri non può non far pensare ai CCCP, ma il paragone finisce qui, perchè l’Emilia raccontata dagli Offlaga è più nostalgica che paranoica, e il loro essere filosovietici più confessionale e utopistico che punk e rivoluzionario. Le loro storie raccontano di infanzie e adolescenze negli anni ’70 e ’80 fatti di arcigni professori del liceo, busti di Lenin che piangono, gomme da masticare dai sapori esotici, in piccoli racconti -un po’ recitati e un po’ proclamati- che non si fanno problemi a citare Space Invaders, Jukka Reverberi (!) e Fogazzaro. Probabilmente dal punto di vista strettamente musicale possono ancora migliorare, ma l’attitudine c’è tutta, e i testi sono semplicemente brillanti.
Era da un sacco di tempo che non mi divertivo così ad un concerto; non so se a voi sembra poco. A me no.
[Altro highlight della serata sono stati gli olandesi (ma con, tra le altre cose, un EP all’attivo per la nostrana Fooltribe) Feverdream, che a metà tra punk (come possono esserlo gli Ikara Colt o i Numbers) ed emo (io ci ho sentito un sacco di Deep Elm) hanno fatto un live set davvero notevole. Da approfondire.]




mercoledì, 18/08/2004

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Vorrei un abbecedario
Tra meno di un mese escono due libri a firma Elio senza (Fiabe Centimetropolitane) e con (Animali spiaccicati) Le Storie Tese.

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mercoledì, 18/08/2004

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Gente con un sacco di tempo da perdere
Già una cosa abbastanza bizzarra: questo sito vende monete intagliate; in parole povere il suo gestore prende le monete di corso comune e ne intaglia le figure in modo da farle diventare piccole opere d’arte. Non la cosa più interessante del mondo, ad occhio e croce. Quando però l’intagliatore ci mette del suo, e trasforma i volti di re, regine e celebrità varie in quelli di accaniti fumatori la cosa merita di essere vista. E conosco qualcuno che i soldi per comprarsene qualcuna li spenderebbe.

martedì, 17/08/2004

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Un pavimento di vetro
E’ un mesetto che l’ascolto, e non ho ancora capito se Glassfloor, disco d’esordio dei Maritime, mi piaccia o meno. All’inizio lo trovavo fastidioso, ruffianissimo nel suo voler proporre un pop rock scontato che pesca a piene mani in quello che una volta si chiamava britpop (Stereophonics e Coldplay in particolare), ma che flirta parimenti con il college rock statunitense (Weezer su tutti, più per le melodie che per il suono), e ogni tanto pure con certo pop più nobile (Sondre Lerche). Riferimenti talmente classici e abusati che solo una marcia in più nella scrittura dei pezzi potrebbe giustificarne l’esistenza; e quella marcia in più proprio non c’è.
Ma poi, un po’ come mi è successo con un altro esordio degli ultimi mesi -quello dei Girls in Hawaii-, anch’esso praticamente un bignamino del (non solo) indie rock, a forza di ascoltarlo le melodie stupidotte dei pezzi mi si sono conficcate in testa, conquistandosi una posizione di tutto rispetto nelle mie playlist estive. E di fronte ai suoi ritornelli assassini e ai giri di chitarra elementari, la posizione intransigente dell’inizio è andata più o meno a farsi fottere.
La verità è che la musica dei Maritime (che -tra l’altro- a Settembre saranno in Italia per un paio di date; per quella dell’11 Settembre gratis a Pesaro chiedete informazioni a lui) è esattamente come un pavimento di vetro: ci si vede benissimo attraverso, ma non si riesce a smettere di guardare.



martedì, 17/08/2004

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Se non possiamo cambiare il mondo, almeno cambiamo Bush
Con Build a better Bush si fanno cose tipo questa:



lunedì, 16/08/2004

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Ditemi che c’è un errore
Secondo il programma aggiornato, all’Independent Days Festival il 4 Settembre i dEUS (uno dei più originali gruppi rock degli anni ’90; c’è bisogno di ricordarlo?) suoneranno alle 16.20. Prima di quella palla dei Keane e di sbarbatelli come Libertines e Franz Ferdinand (poi ci sono anche Lanegan e Sonic Youth, ma per loro chapeau). E c’è anche un altro palco. Voglio la testa di chi ha deciso la scaletta.

lunedì, 16/08/2004

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«Travestitevi da cameriere e dirottate 5 Margherite. Poi fuggite»
Giornali e telegiornali ce la menano da giorni con l’allucinante livello raggiunto dall’inflazione (del resto era anche ora che se ne accorgessero; meglio tardi che mai) e con i conseguenti consigli su come risparmiare diretti a chi va in vacanza. Ieri è stato il turno di Stefano Benni su Repubblica, che con la consueta verve ha redatto un indispensabile Manuale per vacanze indigenti negli anni del boom economico
:
Il governo Berlusconi, oltre alla guerra e varie leggi utili a Mediaset, ha anche portato nel Paese un grande boom economico. Purtroppo una stampa totalmente asservita ai comunisti fa sì che gli italiani non percepiscano questa fortuna e si sentano bidonati e poveri. Fanno meno vacanze e invece di investire in anfiteatri come il loro premier, cercano di risparmiare in ogni modo. Ecco alcuni consigli su come ridurre le spese durante queste vacanze indigenti.
Il resto, qui.



sabato, 14/08/2004

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DJ kicks ass
Se la serata fosse andata male avevo già pronto il titolo DJ kicked; così non è stato, e anche se non è stata un’Ibiza connection come a Capodanno, direi che meglio di così in un contesto simile non poteva andare. Avere per circa un’ora e mezza la maggioranza dei presenti danzante è già stato un successo, considerate le premesse e la struttura della serata.
Del resto, il momento clou, della serata e del mio set, è stato l’aperitivo, in cui mi sono mantenuto sapientemente in bilico tra il pezzo-d’atmosfera-ricercato, la canzone-nota-ma-in-una-versione-diversa e il brano-che-voglio-mettere-perchè-il-dj-sono-io-e-comando-io. Un frammento di scaletta d’esempio? Se ricordo bene, qualcosa tipo 1. Peggy Lee – Fever; 2. Lisa Hannigan e Damien Rice – Get the party started; 3. Dave Brubeck – Take five; 4. Bjork – I dansi med per; 5. Richard Cheese – Yellow; 6. Kings of Convenience – Misread; 7. Nouvelle Vague – Guns of Brixton; 8. Adam Green – Friends of mine; 9. Suzanne Vega – Rosemary (DNA mix); 10. Azure Ray – New Resolution (Postal Service mix), con successiva transizione verso un po’ di downtempo trip-hoppeggiante e glitcherie per lo più di scuola Morr (Dio, quanto sto parlando fighetto; abbattetemi, vi prego).
Dopo il tramonto il numero dei bpm è gradualmente aumentato a causa della decisa virata verso l’R’n’B più fighetto, che ha fatto muovere i primi culi, e prima che io stesso me ne accorgessi eravamo già al momento danzante, in cui ho barattato buona parte del mio buongusto musicale in cambio della soddisfazione della massa. Come ampiamente previsto il pienone è stato fatto con il momento ’70-’80. Vi risparmio i titoli, tanto sono sempre le stesse canzoni (mi chiedo che gusto ci sia a ballarle ogni volta); vi basti dire che in modo abbastanza inedito a scatenare il delirio sono state la Rettore un po’ minore di Donatella e la Raffa più balneare di Maracaibo.
Fedele ai dettami del padrone di casa («Metti un po’ di tutto, almeno tutti si divertono»; non mi convince, ma eseguo), ho spaziato più o meno ovunque, dal momento rock con gli ovvi Strokes e White Stripes (subito abortito perchè non era affatto platea da rock), a quello houseggiante con Kylie a farla da padrona, fino al momento ‘chitarra surf un po’ bondiana’ (1. Shakira – Objection; 2. Magnifico – Hir ai cam Hir ai go; 3. Dick Dale – Misrlou (Pulp Fiction theme); 4. Britney Spears – Toxic), al conseguente momento ‘trombe’ (1. Propellerheads – Crash; 2. Beyonce feat Jay-Z – Crazy in love; 3. Beck – Sexx laws) e all’inevitabile momento trash, con le richieste teleguidate di Vespa Special e Gianna gianna gianna , ma con la mia prepotente intromissione di quel gioiellino che è Lick it dei 20 Fingers (quelli di Short Dick Man, remember?).
A festa in calando mi sono tolto tutte le soddisfazioni del caso, con Modest Mouse, Belle&Sebastian, Moonbabies, Wilco, Baustelle e via dicendo, per finire -quando già si metteva a posto, con i Devics, Erlend Oye e Loo&Placido. A dar retta ai complimenti (e non solo) ricevuti, direi che è andata bene; e considerata la platea e il repertorio per me anomali e le condizioni tecniche assai precarie (solo ieri acquistati in corner 4 spinotti e 3 cavi di varia foggia per far funzionare tutto l’ambaradan, e in particolare le cuffie; missione compiuta, l’impianto non mi ha tradito) non era affatto scontato. Invece mi è giunta persino un’offerta per un’altra festa, tra l’altro da parte di una fedele lettrice di questo e di (molti) altri blog (non so ancora se riesco ad infilarla nel carnet degli impegni estivi (…), ti faccio sapere presto); non so bene che tipo di musica si aspettasse ieri sera: non quella che mi sono ritrovato a mettere, sospetto. Ma spero che la sua offerta dipenda più dai nomi che ha letto su queste pagine, che da quelli che ha sentito ieri. Voi che dite?
[So che qualcuno me lo chiederà: la richiesta più strana è stata di una tizia che ha richiesto un pezzo di Pupo (non ricordo il titolo), che pare sia tornato di moda; io lo ignoro.]






venerdì, 13/08/2004

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DJ Kicks VOL 2
Questa volta i calci non sono diretti al mixer, ma alla pila di dischi accumulata con tanto amore nel corso degli anni, e al buongusto musicale da essa costruito. Di quella collezione non bisogna proprio dimenticarsi, ma quasi. Del resto, i patti sono stati chiari fin dall’inizio: qua si è in provincia, e i riferimenti musicali della maggior parte dei convenuti sono Mtv e i locali fighetti della riviera; quindi niente scelte troppo sofisticate, buona abbondanza di evergreen e di hit del momento (Voce me apareceu, eccomi!) e un paio di brani trash per sedare gli ubriachi molesti. Quando ho detto di sì ho pensato più che altro alla soddisfazione di poter mettere Toxic di Britney Spears e qualche hit di Kylie Minogue senza sorrisino colpevole e sguardi di disapprovazione da parte dei più intransigenti; ma non ho pensato che quegli stessi sguardi sarebbero probabilmente arrivati con i pezzi rock e -ancora peggio- con quelli indie. Anche perchè da queste parti molti credono che si scriva ‘hindi’ e che si tratti della musica di Bollywood.
E vabbè, per soldi in un’Estate deserta si fa anche questo. Anche perchè vuoi mettere il piacere sottilmente sovversivo di infilare musica con la M maiuscola tra una Jennifer Lopez e una hit estiva usa-e-getta? E vuoi mettere il gusto di sonorizzare l’aperitivo, potendosi sbizzarrire in una selezione di bossa, glitch e indiepop mentre tutti mangiano e bevono e nessuno si fila il dj? Vuoi mettere le facce stupite degli astanti quando ti butti sul bastard pop più becero e riuscito? E -alla più brutta- se l’atmosfera non decolla e la festa è un fallimento, vuoi mettere il piacere di far risuonare i Modest Mouse, Adam Green e i Wilco sulla pista vuota?


venerdì, 13/08/2004

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Sei settimane
A quanto dice la Reuters è quanto manca all’inizio delle riprese di The proposition, primo film scritto da Nick Cave. Il film sarà diretto dal solito John Hillcoat e vedrà come protagonista Guy Pearce, lo smemorato di Memento.
Frattanto, qui è visibile il video di Nature Boy, nuovo singolo del cantautore australiano, che anticipa l’uscita del doppio Abattoir Blues/The lyre of Orpheus. Essendo relegato dietro una connessione 56k ho visto e sentito poco o niente; quel poco non era terrificante ma un po’ inutile, quello sì. Voi ADSLizzati mi raccontate com’è? Prosegue nell’inesorabile declino cominciato con Nocturama o rinnova i fasti dei bei tempi?


giovedì, 12/08/2004

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DJ kicks (a true story)
Perchè a un certo punto stavo quasi per dargli un calcio, a quel grosso mixer del ’15-18 con cui mi ero ritrovato ad avere a che fare. E perchè quello dietro al mixer ero io, inopinatamente assunto da amici di amici a mettere i dischi il giorno seguente ad una festa in una villa da paura, in alto tra le colline di un paesino dei dintorni. Di sicuro doveva essere appartenuto a qualche padre che suonava in un gruppo beat, oppure acquistato su La Fiera da un rigattiere di quelli che per 100mila ti svuotano la cantina e possono tenersi quello che trovano; le manopole erano dure e incrostate, i cursori (quelli che c’erano) faticavano a scorrere e si muovevano a scatti, e uno dei collegamenti interni aveva dovuto essere saldato artigianalmente il giorno precedente.
L’impianto di amplificazione non era in condizioni migliori, constando di due vecchie casse di uno stereo collegate alla testata dello stesso e di due amplificatori da chitarra spompati probabilmente dagli esperimenti noise di qualche adolescente inquieto. Il montaggio aveva richiesto un sacco di tempo, e la buona volontà del padrone di casa era più che apprezzabile (quasi commovente), quindi l’unica cosa da fare era rimboccarsi le maniche e vedere cosa si riusciva a fare con un impianto del genere.
Con due lettori cd portatili provvisti di countdown (e già trovarli non è esattamente la cosa più facile del mondo) l’effetto non sarebbe stato troppo maligno, se si escludeva l’impossibilità di sfumare una canzone nell’altra a causa dei vecchi cursori scattosi. E -piccolo dettaglio- l’impossibilità di servirsi di una qualsiasi forma di preascolto a causa della folle ma inevitabile connessione di due casse all’uscita che è normalmente delle cuffie; e i più ferrati tra voi potranno intuire che ciò significa anche che le casse sono comandate da leve diverse e hanno volumi separati, il che vuol dire la necessità di manovrare 5 comandi (due leve, due manopole e un pulsante) contemporanemanente durante ogni missaggio. Sopra le capacità umane.
Poco male, allora: il mixer non si tocca per niente e si usa solo il portatile che monta Traktor; usare il mouse non sarà come avere le leve sotto le dita, ma alla fine il risultato ottenuto non è troppo diverso. Peccato che bisogni fare i conti con la scheda audio di basso rango e con la conseguente necessità di trovare un equilibrio tra un fortissimo ronzìo di fondo (volume computer basso, volume mixer e casse alto) e la completa distorsione del suono (volume computer alto, il resto basso). Un po’ troppe cose a cui pensare, contando la platea inusuale, la conseguente inusualità del repertorio richiesto e -da non sottovalutare- gli svariati chili di porchetta preparati per l’occasione dal festeggiato.
Riuscirà il nostro eroe? Restate sintonizzati, e lo scoprirete.





giovedì, 12/08/2004

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Dalle ceneri
Lo conoscevo come bravo attore, lo conoscevo come sex symbol, e come ex-marito di Uma Thurman, ma non sapevo che Ethan Hawke fosse anche un ottimo scrittore. Il suo Mercoledì delle ceneri è stato un eccellente modo di impiegare i pomeriggi della scorsa settimana (non di più, visto che l’ho divorato): la brillante prosa salingeriana, la straordinaria autenticità (o l’autentica straordinarietà?) dei suoi personaggi e la sensibilità sottesa alle osservazioni dei due protagonisti sono stati qualcosa di inatteso e impagabile. Consigliatissimo.

martedì, 10/08/2004

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Ma Scarlett Johanson in versione Vermeer non c’è
I maghi di Photshop nel contest di Worth1000 sulle celebrità di oggi viste dai pittori del passato hanno assolutamente dato il meglio di sè. Date un’occhiata ad Hannibal versione Van Gogh, Bill Gates rivisto da Leonardo o Julia Roberts un po’ preraffaelita (ma anche no), se non ci credete.

martedì, 10/08/2004

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Such great heights
Give up dei Postal Service è ufficialmente il secondo disco della Sub Pop più venduto di sempre, dopo Bleach dei Nirvana, e prima di Make up the breakdown degli Hot Hot Heat.

lunedì, 09/08/2004

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E come ogni anno c’è chi con indifferenza piscerà in mare
Questo blog condivide (e rilancia) gli auguri di buone vacanze di Braian, illustre abitante del Maniero.

lunedì, 09/08/2004

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Io avevo un debole pure per quella del Corvo (e un po’ me ne vergogno)
Secondo un sondaggio della BBC (riportato giorni fa anche da Repubblica) la miglior colonna sonora cinemtografica di tutti i tempi è quella di Blues Brothers, che batte di un soffio Pulp Fiction e Trainspotting. Non so se essere d’accordo coi risultati o meno (ma forse sì, visto che anche che nella top ten si piazzano pure Lost in Translation e i Tenenbaums), anche se va notato che sono state trascurate completamente le colonne sonore originali e che mancano quindi del tutto nomi come Morricone, Rota, Vangelis, Badalamenti, Nyman e mille altri. Sono concezioni diverse di come sia e debba essere una colonna sonora, e non credo sia saggio propendere nè per l’una nè per l’altra; bisognerebbe dirlo, però, chè sennò c’è chi rimane perplesso.

sabato, 07/08/2004

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«Eiacula precocemente l’impero»
Con l’uscita del suo ultimo singolo Ermeneutica, ne abbiamo ormai la conferma definitiva: Franco Battiato ce lo siamo giocato del tutto. Scaricatevelo e ditemi se questo pretenzioso delirio di dissonanze e prediche politiche non ha decisamente -e ulteriormente- passato il segno.

venerdì, 06/08/2004

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Sono un essere umano elementare, ho pochi bisogni primari
Voglio un lavoro. Anzi, la prospettiva di un lavoro.
Voglio essere pagato.
Voglio andare in vacanza.
Voglio fracassare questo modem 56K.
Voglio che Paint a vulgar picture degli Smiths, ascoltata l’ultima volta 4 giorni fa, non sia la prima cosa che mi viene in mente ogni mattina come sta succedendo ora (quella canzone è un virus).
Voglio andare al festival di Venezia (senza dover dormire in spiaggia).
Voglio il tasto FFWD nel mio cervello per skippare i periodi poco interessanti.
Voglio qualche concerto decente (sì, lo so che ci sono i Motorpsycho domani…ma poi?).
Voglio che le cose siano più semplici di quanto sembrino, ma più complicate di quanto siano.
Quando muoio voglio essere seppellito con un cubo di Rubik (non completo, ovviamente).
Voglio essere meno insopportabilmente esigente.
Voglio un bicchiere di tè al limone ghiacciato. Ora.
Voglio smettere di lamentarmi.
E voglio non essere così tanto presuntuoso da pensare che tutto ciò vi interessi.