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mercoledì, 19/12/2012

Inkiostro – I dischi del 2012

Un anno un po' fiacco? E' un commento qualunquista, e anche un po' da vecchio, ma guardando indietro mi pare che 2012 non mi abbia dato quanto i precenti in termini di musica. Ho faticato a stilare questa lista, e se gli anni scorsi di solito c'erano troppe cose che mi spiaceva rimanessero fuori, questa volta arrivare a 10 dischi non è stato facilissimo. Non ricomincio con la solfa che parte con la sovraproduzione e si conclude coi tempi di consumo sempre più veloci, la conoscete già tutti, e immagino valga anche un po' per voi. Occore farci i conti senza troppa malinconia e concentrarci nel trovare le poche cose buone che dopo 12 mesi rimangono. Stilare una top ten è sempre un utile esercizio di sintesi ed ecologia dei pensieri e alla fine, dai, mi sa che questi dischi in futuro me li ricorderò.

 

 

 
10
 
Woods – Bend beyond (Woodsist)

 

Non ricordo chi era stato a dirmi che se un disco riesce ad accompagnarti per almeno due stagioni è già un gran disco, perchè contiene al suo interno una variabilità di atmosfere o di possibili letture che solo un'opera di un certo livello riesce a raggiungere compiutamente. Il nuovo disco dei Woods ha fatto da soundtrack alle tarde settimane della mia Estate, quando il folk rock di Cali in a cup illuminava le mattinate calde di una spensieratezza piacevolmente irresponsabile e la sua armonica odorava di anni '60 e coste del Pacifico dove non sono mai stato; ma poi è arrivato l'autunno, e poi l'inverno, e lì per me c'era la bella ballad It ain't easy, che dispensa una curiosa saggezza gattopardiana quando spiega che «Non è difficile dire che le cose non sono facili, mentre cerchi modi diversi per far sì che le cose rimangano le stesse». Parole sante.

 

MP3  Woods – Cali in a cup

MP3  Woods – It ain't easy

 
 
9
 
White Rabbits – Milk famous (TBD)

 

Non sapevo di esser così tanto fan degli Spoon finchè non sono arrivato a stilare questa top ten e ho scoperto che ci sono finiti ben due dischi che alla band di Britt Daniel sono legati a doppio filo. Se i Divine Fits, tre posizioni più avanti, vedono tra le proprio fila proprio il cantante della band newyorkese, i White Rabbits col terzo disco Milk Famous rilanciano forte e chiaro gli insegnamenti che il suddetto Daniel gli ha dato producendo il precedente It's frightening. Se lo vedi con malizia è quasi plagio, se invece te ne freghi sei portato a pensare quasi che gli allievi stiano arrivando a superare i maestri, con una costruzione delle canzoni attentissima e un talento per gli arrangiamenti incastrati e spezzati che non è da tutti. Il tocco c'è, la personalità arriverà (e speriamo che non rovini tutto). Per ora c'è un bel disco, e mi pare abbastanza.

 

MP3  White Rabbits – Heavy metal

MP3  White Rabbits – I'm not me

 

 
 
8
 
Pinback – Information retrieved (Temporary residence)

 

Vi ho detto già troppe volte quanto amo i Pinback e praticamente tutti i loro effetti collaterali che ormai in merito non so più cosa scrivere. Se non avete amato prima il loro indie matematico che deriva tanto dalle frequentazioni alternative che spesso hanno sfondato i confini del metal del chitarrista Rob Crow quanto al passato con gli indie heroes Three mile pilot (in cui milita anche Pall Jenkins dei Black Heart Procession) del bassista Zach Smith non comincerete ad amarlo con il disco che vede il loro ritorno sulle scene dopo 5 anni di pausa. Ma secondo me non sapete cosa vi perdete o non ci avete provato abbastanza, perchè ogni volta che spingo Play mi viene da pensare che di gruppi così unici in giro non se ne trovano quasi più.

 

MP3  Pinback – Sherman

MP3  Pinback – Proceed to memory

 

 
 
7
 
Hot Chip – In our heads (Domino)

 

L'avevo preso un po' sotto gamba, il quinto disco degli Hot Chip. Negli ultimi tempi Alexis Taylor e soci sembravano un po' appannati e fuori dal tempo, incapaci di mantenere quello che il loro capolavoro The Warning otto anni fa prometteva e sospesi in uno status di simpatici mestieranti del pastiche sonoro, capaci di scrivere pezzi killer ma incapaci di fare veramente un salto verso la serie A del pop elettronico.
Forse questo salto non l'hahno fatto e non lo farranno mai, ma probabilmente va bene così: il loro continuo provarci e il loro rimanere sempre un po' troppo sfigati è ormai parte del loro carattere e della loro musica. Il grande numero di suggestione e sfumature che riescono a regalare, unito a un indiscutibile talento per la melodia che molti gli invidiano, rimane a testimoniare che le carte ci sono tutte. La mano era buona ma alla fine forse la partita è persa: però ci siamo divertiti.

 

MP3  Hot Chip – Night and day

MP3  Hot Chip – Look at where we are

 

 
 
6
 
Divine Fits – A thing called divine fits (Merge)

 

La cosa chiamata Divine Fits è il supergruppo di Britt Daniel degli Spoon e Dan Boeckner degli Wolf Parade, e per uno strano miracolo riesce a essere un disco vero di una band vera che spesso finisce per essere milgiore della somma delle sue parti. Ti saresti aspettato un presuntuoso lavoretto di maniera da parte di musicisti stufi dei loro progetti principali, e invece ti ritrovi quello che probabilmente è il miglior disco indie-rock del 2012 (che, beninteso, non mi pare sia stato un anno esattamente memorabile per la cosa chiamata indie-rock). Un po' di chitarre, un po' di synth, due voci inconfondibili, linee di basso che spaccano e la sensazione che così tanto talento così ben utilizzato non lo si incontri tutti i giorni in giro. Una cosa chiamata gran disco.

 

MP3  Divine fits – Shivers

MPDivine fits – The Salton sea

 

 
 
5
 
Jens Lekman – I know what love isn't (Secretly Canadian)

 

Jens Lekman ormai è uno di famiglia. Non ha più niente da dimostrare eppure ogni volta ce lo dimostra, e disco dopo disco le sue storie si fanno più nitide e vere senza perdere un briciolo della dimensione naif che hanno sempre avuto. E' come se Lekman anno dopo anno non facesse che diventare sempre più se stesso, l'amico con cui vorresti bere una birra una volta a settimana solo per sentirlo ragionare sulla vita, l'amore e tutto il resto, oppure quello che ogni sei mesi si trasferisce in un continente diverso e che, anche se ti racconta ogni volta che ha finalmente trovato il posto per sè, sai bene che finirà per trovarsi sempre da capo.  La grandeur pop e la cameretta. Alcuni dei migliori testi che si possano trovare nel pop di questi tempi. Il tentativo di cambiare tutto per poi ritrovarsi sempre lo stesso.
Oh Jens, oh Jens, your songs seem to look through a different lens
.

 

MP3  Jens Lekman – I know what love isn't

MP3  Jens Lekman – Become someone else's

 

 
 
4
 
Chelsea Wolfe – Unknown rooms, a collection of acoustic songs (Sargent House)

 

Chelsea, con questo disco mi hai fulminato. Sei sicura che il sound gotico, rumoroso e marziale che normalmente fai («doom folk», l'hanno chiamato) sia veramente quello che fa per te? Perchè in questa raccolta di canzoni piccola piccola con un titolo che odora di opera minore, tiri fuori una classe inattesa e una penna di altissimo livello che nei tuoi dischi precedenti non si sentiva. Mi ricordi la PJ Harvey dolente di To bring you my love o di White chalk, la vedova disperata, l'amante abbandonata, la strega che vive nel deserto e vede presagi di sventura nei segni della natura. Con questi arrangiamenti classici che sembrano venire da un grammofono nell'altra stanza, hai trovato una dimensione sonora di una qualità che prima potevi solo sognarti e che ti mette al pari con i migliori nomi del cantautorato femminile di questi tempi. Me ne puoi fare altri, di dischi così?

 

MP3  Chelsea Wolfe – The way we used to

MP3  Chelsea Wolfe – Sunstorm

 

 
 
3
 
Chromatics – Kill for love (Italians do it better)

 

Qua non ho niente da aggiungere a quello che scrivevo a Giugno:
«I Chromatics li seguo da lontano da qualche anno, più o meno dai tempi di quel pezzone che era In the city, e sono da sempre il mio gruppo preferito della scuderia di quella etichetta col nome tutto sbagliato che si chiama Italians do it better. Sono un giro da un po' di anni e ultimamente hanno avuto anche un po' di visibilità per essere finiti nella soundtrack di Drive, ma è solo con l'ultimo disco che hanno trovato la quadra di un sound sfuggente che è contemporaneamente caldo e algido, maledetto e languido, metropolitano e desertico. La colonna sonora perfetta per un lungo viaggio notturno in macchina (il loro disco precedente si chiamava Night Drive), attraversando posti sconosciuti in cui non ti fermerai mai, con la mente che vaga verso il ricordo di qualche amore passato o di una storia senza speranza con una ragazza lontana. Elettronico e a volte quasi trip-hop, ma con abbondanti iniezioni si synth che profumano di certi anni '80 curiosamente eleganti, ma anche dello shoegaze meno rumoroso e di malinconico pop fumoso sempre un pochino fuori dal tempo, il sound dei Chromatics è nero e gravido di presagi, ed appartiene alla notte di chi è stanco ma non può e non vuole dormire, ed è crucciato da increspature di inquietudine che è sempre troppo definire dei tormenti.» [#]

 

MP3  Chromatics – The River

MP3  Chromatics – Into the black (Neil Young cover)

 

 
 
2
 
Colapesce – Un mearviglioso declino (42 Records)

 

Erano i primi gelidi mesi dell'anno, e ascoltavo Restiamo in casa in cuffia mentre tornavo a casa di notte camminando nelle vie del centro. Durante la Primavera La distruzione di un amore mi pareva una canzone all'incontrario con un titolo sagace tutto sbagliato. Ho aspettato l'Estate per poter mettere a ripetizione Oasi nell'autoradio nelle mattine in cui andavamo al mare. Cadevano le foglie e io passavo i miei weekend nei treni mentre Bogotà mi raccontava delle distanze nello spazio e nel tempo.
C'è tutto il mio anno nell'incredibile esordio di Colapesce, un disco quasi perfetto per un cantautore ispirato come non se ne sentono spesso nel nostro paese. Una scrittura incredibilmente matura, arrangiamenti pieni e curatissimi e una produzione eccezionale: un piccolo miracolo.

 

MP3  Colapesce – Restiamo in casa

MP3  Colapesce – Oasi

 
 
1
 
TV Girl – The Wild, the Innocent, the TV Shuffle (Greadhead presents / autoprodotto)

 

Scrivevo a Maggio:
»Per la loro prima fatica in full lenght, i Tv Girl da San Diego non usano il termine album, ma quello assai più insolito di «mixtape». Che c'entri il fatto che il disco fa un abbondante uso di campionamenti probabilmente illegali e che quindi non possa essere pubblicato ufficialmente (e infatti è in free download da qui) non appare poi così fondamentale. The Wild, The Innocent, The TV Shuffle è infatti una sequenza di pezzi pop abbastanza killer che frullano un gran numero di generi e ricordano contemporaneamente cose diversissime tra loro (Eels, The Go! Team e The Avalanches, ma io ci sento anche i Real Estate più orecchiabili e Casiotone for the painfully alone, o come dice Enzo il primo Jens Lekman), mischiando le carte esattamente come farebbe un buon nastrone. I miei pezzi preferiti sono il doo-wop due punto zero Misery, l'anthem un po' FM tardi '90 Loud and clear, che parte come una specie di Drinking In LA velocizzata cantata da Mr. E e alla fine diventa uno zapping radiofonico in battuta che ti venire voglia di ballare.»
Il mio disco dell'anno non è esattamente un disco, non è stato esattamente pubblicato, non appartiene a un genere preciso (neanche a due o a tre) e sono abbastanza sicuro che non comparirà nella classifica di fine anno di nessun altro. Come riassunto di questo 2012 completamente folle, quindi, è perfetto.

 

MP3  TV Girl – Misery

MP3  TV Girl – Loud and clear

 

martedì, 18/09/2012

Ti rubano un basso mentre sei sul palco? Tu lo recuperi senza smettere di suonare

Avete presente la famosa t-shirt di threadless interamente fatta di nomi di generi musicali ossimorici e insensati? Dai, che l'avete vista, ce l'ha talmente tanta gente che io ormai la uso praticamente solo per dormire. Tra i generi non ne sfigurerebbe uno con il nome di «soft metal», che è la definizione che mi è venuta in mente circa un anno fa quando ho visto dal vivo i Pinback, che suonavano al Locomotiv di Bologna per la loro prima data italiana di tutti i tempi.

 

 

 

L'amatissimo combo di San Diego (tutt'altro che nuovo su queste pagine) suona un indefinibile indie matematico praticamente senza paragoni, che gli deriva tanto dalle frequentazioni alternative che spesso hanno sfondato i confini del metal del chitarrista Rob Crow quanto al passato con gli indie heroes Three mile pilot (in cui milita anche Pall Jenkins dei Black Heart Procession) del bassista Zach Smith.
Dopo una lunga pausa i Pinback in questo periodo sono di nuovo in tour per presentare il loro nuovo disco Information retrieved, che esce tra circa un mese su Temporary Residence. Un paio di sere fa la band suonava nella sua città d'origine, e mentre era sul palco si è accorta che dal backstage era scomparso un preziosissimo basso personalizzato. Due terzi della band sono quindi scesi dal palco per investigare e inseguire il ladro, il tutto mentre il concerto continuava.
La storia la racconta il San Diego City Beat:

The celebrated local indie-rock band was playing at Sunset Temple in North Park to a packed crowd as part of San Diego Music Thing. The show started at around 11 p.m., and everything was going great until about half an hour into their set, when Pinback bassist / keyboardist / singer Zach Smith glanced over to the backstage area to his right.

"Hey," he said, "did somebody steal my second bass over there?"

The show ground to a halt as the three members–Smith, guitarist / singer Rob Crow and drummer Chris Prescott–dashed offstage to investigate. A few minutes later, a visibly frazzled Crow came back onstage to explain to the audience that Smith's bass had, indeed, been swiped mid-set.

The custom-built bass is very rare, very expensive and made by the company Alembic, Crow said…Pinback's drummer saved the day. While surveying the block, Prescott explained, he spotted a man stuffing the bass into a trashcan, and then saw the man run down the street. Prescott tried to stop him several times–at one point, he says, the man begged just to be let go–before successfully intercepting him inside Queen Bee's, a venue located a few blocks away from Sunset Temple on Ohio Street [#]

Brooklyn Vegan riferisce che il ladro è stato arrestato, e che durante l'inseguimento di cui sopra Rob Crow ha continuato a suonare da solo per una quarantina di minuti, prima che il resto della band tornasse sul palco per continuare il set come se nulla fosse con altri 50 minuti. Più due bis.

 

 

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mercoledì, 18/11/2009

Armistead Burwell Smith IV for president

Chi? Ok, ho scelto volutamente il nome completo (chissà perchè dalle nostre parti nessuno si chiama mai Mario Rossi IV), ma se uso il nome colloquiale Zach Smith cambia qualcosa? Scommetto di no. Ed è un peccato perchè Zach Smith, insieme a Rob Crow mente e anima degli eccezionali Pinback, è uno di quei personaggi piccoli piccoli di una certa scena indie americana che sono sulla breccia da 20 anni e non hanno la minima intenzione di togliersi di mezzo. Per fortuna.

 

Di Rob Crow e della sua inarrestabile vena creativa (che va da una stramba carriera solista a un surreale progetto metal ad almeno altre 4 band) abbiamo già parlato più volte su queste pagine, ma Zach Smith è sempre rimasto fuori dal radar. E non se lo merita, visto che il sound dei Pinback è al 50% roba sua (come è ovvio sentendo il resto della sua produzione); ma anche perchè prima dell’arrivo di Rob Crow era lui a far parte di una band seminale (si può usare adesso?) della scena californiana di metà anni ’90, da cui sono germogliati, oltre ai Pinback, anche i ben più noti Black Heart Procession. I Three mile pilot univano il basso di Smith alla voce cavernosa di Pall Jenkins e hanno pubblicato un po’ di bei dischi dal ’92 al ’99 prima di andare in pausa per lasciare spazio alle più ingombranti carriere delle nuove creature musicali dei suoi titolari.

 

Da anni si ventilava di ritorno di fiamma tra Smith e Pall Jenkins, e finalmente qualche settimana fa è stato dato alle stampe il nuovo singolo Planets; un gran bel pezzo che non deluderà i fan dei Pinback nè quelli dei Black Heart Procession, per non parlare di quelli dei Three mile pilot, se ce ne sono ancora in giro. Nel 2010 dovrebbe uscire un disco intero (per Temporary Residence, l’etichetta che ha ereditato alcuni dei nomi migliori della semi-defunta Touch & Go tra cui, appunto, i Black Heart Procession e i Pinback) e se tanto mi dà tanto non potrà che essere un grande disco di ballate cavernose, giri di basso chirurgici e melodie intrecciate.

 

E se non bastasse, coi Pinback in pausa da un po’ e i Three Mile Pilot non ancora tornati sulle scene, Smith non se ne sa con le mani in mano ed è in procinto di pubblicare un nuovo disco del suo progetto solista Systems Officer. Le coordinate musicali sono sempre quelle, e per il sottoscritto, ovviamente, è una bella notizia. Il marchio di fabbrica sono sempre quei giri di chitarra, basso e pianoforte incastrati come un ingranaggio, in cui tutte le parti si muovono poco a poco per creare una macchina complessa e affascinante. Che non riesco a smettere di ascoltare.

 

 

Three mile pilot – Planets (MP3)

Systems officer – Pacer (MP3)

 

 

lunedì, 20/08/2007

Chissa’ se c’e’ una sera libera al Peach Pit by Night

Niente male, questi The Forms: vengono da Brooklyn, suonano un indie-pop matematico che ricorda un po’ il sound dei Pinback, e stanno per uscire con un secondo disco prodotto da Steve Albini. Soprattutto, però, tra le loro fila militano i gemelli Brendan e Jackson Kenny, immortali protagonisti del video in cui, in due, suonano la sigla di Beverly Hills 90210 con una sola chitarra:

[come bonus, impossibile non linkare di nuovo il classico strappalacrime dei Blume dedicato a Brandon Walsh, che rimane dannatamente geniale]

 

The Forms – Red Gun (MP3)

Blume – 90210 (MP3)

 

lunedì, 02/07/2007

Settembre e’ qui

Siamo tipi invernali, è chiaro. Facciamo fast-forward sull’Estate non ancora consumata, e ascoltiamo tre singoli da tre attesissimi dischi in uscita a Settembre:

 

Stars – The night starts here (MP3)

Non riesco a capire se sia il solito problema delle aspettative troppo alte, o se il nuovo singolo degli Stars sia davvero un po’ deludente. Nulla di troppo distante dal seminato, sia chiaro, ma pare mancare quel guizzo che di solito (soprattutto nei singoli, peraltro) faceva la differenza. Mettiamolo in rotazione, anche se ho impressione che l’Estate non gli gioverà. Con l’Autunno, magari.

 

Jens Lekman – Friday night at the drive in bingo (MP3)

Dal Frank Sinatra dell’indie-pop al Raoul Casadei della scena svedese? A dar retta al primo singolo del nuovo disco, un po’ di paura viene; perchè anche se Jens ci ha abituato a tutto (e, quindi, se gli perdoniamo quasi tutto), il Drive in bingo pare andare un po’ troppo in là, e il giro di sax di altri tempi su cui è costruito mi provoca un brivido lungo la schiena che faccio fatica a scacciare. Mettiamolo in rotazione, anche se ho impressione che la sobrietà non gli gioverà. Una sera a una festa in spiaggia (o a una sagra di paese, con un bel po’ di vino rosso in corpo e davanti al palco del liscio), magari.

 

Pinback – Barnes (MP3)

I Pinback fanno praticamente lo stesso disco da sempre, e ogni volta lo fanno dannatamente bene. Meno immediato e anthemico del capolavoro Summer in abbadon e meno fuori dal tempo delle cose precedenti, Autumn of the seraphs da un lato indulge in un pop quasi uptempo finora a loro ignoto, dall’altro ha qualche episodio classificabile più o meno canonicamente come ballata. Non so se Barnes sia il singolo o meno; al momento è decisamente il mio pezzo preferito del lotto quindi, come dire, dovrebbe esserlo. Mettiamolo in rotazione, anche se ho impressione che, anche se è un gran pezzo, il confronto con i suoi predecessori non gli gioverà. Con un po’ di buon senso, magari.

 

giovedì, 05/01/2006

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Sogni dela vita: fare un disco metal
Rob Crow è un pazzo. Nel 2004, con la sua band principale (i Pinback) ha pubblicato più o meno sotto silenzio un disco assolutamente clamoroso, che dopo aver entusiasmato il sottoscritto (che ne ha scritto qui e l’ha messo al secondo posto tra i dischi di quell’anno) e pochi altri è scivolato molto rapidamente nel dimenticatoio generale a causa della poca promozione (o dei pochi m-blogs?). Summer in Abaddon è una vera e propria pietra angolare degli ultimi anni, un oggetto musicale non identificato che si muove tra pop, indie e math-rock con una sensibilità prodigiosa e un fascino alieno tuttora ineguagliato.

Pinback –
Fortress  (.mp3)
Pinback – Non photo-blue (rapidshare .mp3)
Pinback –
Fortress video (.mov)
Pinback – AFK video (.mov)

Da sempre avvezzo a suonare in tremila progetti, Crow ha pubblicato qualche mese fa un disco chimato Bagged and boarded con la sua nuova band dall’agghiacciante nome Goblin Cock. A un primo ascolto molto distratto ho notato che stavolta il nostro aveva deciso di battere territori più heavy del solito, ma non ci ho neanche fatto troppo caso. Quando, però, ho visto la copertina del disco (che rappresenta il suddetto Goblin, e non solo lui) con i caratteri gotici d’ordinanza, una foto promozionale (con la band interamente incappucciata) e letto i titoli dei pezzi (cose tipo Kegrah the Dragon killer o The revenge of Snufalufagus) per un attimo ho dubitato che il nostro avesse definitivamente perso ogni barlume di sanità e si fosse convertito al metal più becero.

Un ascolto più attento, la visione del video e l’attenzione ai tanti dettagli assolutamente parossistici (uno su tutti: il nome adottato da Crow all’interno de progetto è nientemeno che Lord Phallus) però ha chiarito ogni dubbio, e l’intento sfacciatamente ironico del progetto (chi non ha mai sognato di calarsi nei clichè più spudorati del metal, per una volta nella vita?) si è fatto evidente. Crow ha preso qualche amico, un’abbondante quantità di birra e la collezione di dischi di un 15enne di una decina di anni fa e ha finalmente realizzato il suo minacciosissimo progetto heavy-metal. Peraltro, alla fin fine, il disco non è neanche così male: i momenti migliori ricordano i Tool (che da queste parti, nonostante l’età e i gusti che cambiano, rimangono una delle band preferite di sempre), e anche il resto, depurato dagli ovvi riff rocciosi e sabbathiani, mantiene un’ispirazione niente affatto comune. Certo, come disco metal in realtà non è poi granchè. Meno male.

Goblin Cock – Stumped (.mp3)
Goblin Cock – Striped tiger snaps (rapidshare .mp3)
Goblin Cock – Stumped video (.mpg)

mercoledì, 28/09/2005

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Inkiostro Music Video Aggregator /Settembre
_Cocorosie – Noah’s Ark (Tasto destro, Salva con nome) Non è un bel video neanche per sbaglio, le due maravillose sorelle Casady sfoggiano pettinature ancora più improbabili del solito e effetti visivi d’accatto intristiscono il pezzo forse più convenzionalmente pop del disco: che scopo può avere quindi girare un clip del genere (il primo in assoluto per le Coccherosa, se non erro)? Meglio ricordarle mentre cantano Good Friday in un cortile faentino, se permettete.
_Devendra Banhart – I feel just like a child (streaming) Osannato dalla critica di mezzo mondo, Devendra Banhart più va avanti e meno mi convince. In questo video -wow- balla mentre indossa solo un paio di mutande, che meraviglia! Molti lo troveranno un sacco autoconsapevole e giocoso, altri artisticamente neo-hippy e neo-neo-tribalista, ad altri ancora -al peggio- sembrerà un adorabile cazzone. La mia opinione non differisce molto da quest’ultima, purchè, ovviamente, si ometta la parola adorabile.
_Final Fantasy – This is the dream of Win and Regine (Tasto destro, Salva con nome) Versione ancor più singolosa del singolo del bell’esordio solista del violinista degli Arcade Fire, che a breve passerà anche da queste parti per una rischiosa data live. Chissà se si porterà dietro l’adorabile (lei sì) cameriera provvista di cuffie e mantello del video. Che sia giunto il momento dell’indie-fantasy?
_Pinback – Fortress (Tasto destro, Salva con nome) Non lo si ripeterà mai abbastanza: Summer in Abaddon dei Pinback è stato probabilmente il disco dell’anno scorso che da queste parti si è amato di più. Esce ora il notevolissimo video di Fortress, tristissima storia di animazione a bassa fedeltà su una bella storia d’amore che si trasforma (letteralmente) in una guerra (con annesse coreografie). Si parlava dell’indie-fantasy, no?
_Laura Veirs – Galaxies (Tasto destro, Salva con nome – è lentissimo, serve un po’ di calma) Come dicevo la settimana scorsa, su disco Laura Veirs è grandiosa. Questo video, però, è una delle cose più terrificanti in cui mi sia capitato di imbattermi da un po’. Se ci sono delle idee che qualcuno me le spieghi, l’immaginario è oscuro e sfilacciato e se la natura da sola non l’aiuta Laura ha fatto ben poco per darsi una sistemata. Rimandata al video per Secret someones?
_Death Cab for Cutie – Soul meets body (streaming, e se proprio lo volete è pure su rapidshare) Sottotitolo: Ben Gibbard vestito come mio nonno e i bizzarri funghi/uccelli a forma di note. Come spesso capita, una buona idea (le note volanti, non il guardaroba di Ben Gibbard) un po’ sprecata, anche se l’atmosfera dolceamara e un po’ sospesa ben si adatta all’insolita efficacia del primo singolo di Plans. Quindi alla fine va bene così, dai.
_Royksopp – 49 percent (streaming) Potrebbe quasi essere confuso con un video di Gondry, e chi conosce la meraviglie di cui è capace il regista francese sa quanto questo possa essere un complimento. Per esserlo gli manca un po’ di precisione in più e quei tocchi di classe che lo fanno stagliare a un livello decisamente altro. Detto ciò, la canzone non è niente di che, ma immagino che al giusto volume e con un proiettore abbastanza grosso, l’esperienza lisergica ci starebbe tutta.
_Animal Collective – Grass (Tasto destro, Salva con nome) Sprizza (ancora) avanguardia da tutti i pori,
il collettivo animale, e con un video del genere dona al suo folle folk disgregato una terza dimensione al contempo perfettamente appropriata e insolitamenete sobria. In quanto avanguardia è sempre di difficile digeribilità, ma se il pubblico di merda non capisce, ovviamente è colpa sua.
[i vecchi Video Aggregator]

mercoledì, 26/01/2005

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Inkiostro Video Aggregator
Un’altra puntata del vostro wannabe V-blog preferito:
Beck – Ghettochip Malfunction (Hell Yes – 8-bit remix) (streaming) Nuovo singolo per Beck, già remixato in versione a 8 bit. Un’ode all’estetica da retrogaming.
LCD Soundsystem – Daft Punk is playing at my house (streaming) Due buone idee (parodiare -abbastanza ovvio- l’epocale video di Around the world e rappresentare i livelli dello stereo con omini colorati) buttate un po’ via. Con un video all’altezza, un singolone del genere poteva lasciare il segno.
Bjork – Triumph of the heart (streaming)
Il ritorno del buon Spike Jonze, per un video surreale come e più del solito. Il gatto da solo vale tutto il clip.
The Kills – The good ones (streaming)
Stiloso? Stiloso. Ben fatto? Ben fatto. Inutile? Inutile.
Devendra Banhart  – A ribbon (tasto destro, salva con nome)
Atmosferico al punto giusto, e realizzato magnificamente. Anche se non l’ha diretto lui, dietro c’è lo zampino di Gondry.
Postal Service – We will become silhouettes (streaming)
Tenta di essere raffinatamente vintage, invece è banalmente kitsch. E ancora al duo americano manca un video alla sua altezza.
Pinback – AFK (tasto destro, salva con nome)
L’immagine del telegrafo per spiegare la musica dei Pinback? Ci sta, ci sta. Fatto con pochi soldi, ma con dentro l’anima.
Adem – Ringing in my hear (streaming)
Il meglio che abbiamo, in attesa che qualcuno porti in Italia l’autore di uno dei dischi dell’anno. Promoter: sveglia!
Steriogram – Walkie-Talkie man (tasto destro, salva con nome)
Ignoro chi siano, e pare che non mi perda niente. Questo video ‘tessile’, però, è decisamente brillante. Dirige Michel ‘sì sono sempre io’ Gondry.

lunedì, 20/12/2004

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I miei 10 dischi del 2004
E’ stata dura, ma anche quest’anno è fatta: ecco la mia top ten musicale per l’anno che sta per finire. Poteva andare peggio, via.
[Avvertenza: toni molto celebrativi. Se siete allergici all’ironia, alle classifiche e all’esaltazione smodata di dischi che a voi potrebbero anche non dire nulla, passate oltre. Per tutti gli altri: accomodatevi e polemizziamo pure]

10. Lars Horntveth – Pooka
Come scrivevo qui, la musica di Lars Horntveth è quanto di più simile a una (bella) serata d’autunno mi sia capitato per le mani da un po’. L’indietronica incontra il jazz che incontra le colonne sonore, il tutto con una perfezione talmente matematica che -ne sono sicuro- se ne scoprissi l’algoritmo che ne descrive il suono sarebbe lo stesso che determina la traiettoria di una foglia quando cade dall’albero. Basta ascoltarlo, e si spiega da sè.

9. Piano Magic – The troubled sleep of piano magic
Scrivevo qui: L’ho capito dalle prime note di Saint Marie che un disco così fuori dal tempo, che se ne frega più o meno di tutto e di tutti, mi avrebbe conquistato. Colpisce al cuore più che al cervello, e non se ne va più. E’ passato quasi un anno, e non se n’è andato.

8. Blonde Redhead – Misery is a butterfly
Sempre da qui: Non perchè da anni sono tra i migliori, non per la costante evoluzione senza passi falsi, non per l’hype che li circonda nè perchè 2/3 hanno origine italiana: solo e semplicemente perchè è bellissimo. Languidezza impagabile, qualità altissima, classe rara.

7. Wilco – A ghost is born
Non pensavo l’avrei messo nella mia top ten: nella sua interezza non mi ha mai preso del tutto. Ma qualche giorno fa l’ho riascoltato, e mi sono accorto di quanto Jeff Tweedy abbia spesso detto quasi tutto quello che c’era da dire, e quasi sempre nel modo in cui andava fatto. Ed è proprio quel quasi a fare la differenza. Imperfetto, per fortuna. 

6. Iron and Wine – Our endless numbered days
Se il 2003 è stato l’anno del del punk-funk, il 2004 è stato l’anno del ritorno del folk. Folk in grande stile, però, che dietro a una voce e una chitarra nasconde una produzione impeccabile e arrangiamenti curatissimi. Come quello di Sam Beam, che con l’aiuto di Brian Deck ha trovato il modo giusto per cantare dei suoi interminabili giorni contati. Poi ci sono le canzoni, ovviamente. Ma che’vve lo dico a’ffà? 

5. Jens Lekman – When I said I wanted to be your dog
Immaginate Frank Sinatra ai tempi dell’indiepop: quello che otterrete è abbastanza vicino a Jens Lekman. Il cui disco d’esordio (arrivato dopo talmente tanti EP che noi l’adoravamo già) al primo ascolto è già un classico. Questione di personalità, e qui ce n’è da vendere.

4. Morrissey – You are the quarry
Se fosse il libretto delle giustificazioni del liceo scriverei: motivi personali. Per me quello appena trascorso è stato l’anno della riscoperta degli Smiths e di Morrissey, e il fatto che sia coinciso col suo ritono in grande stile, con quello che è probabilmente il suo più bel album solista, mostra un’appropriatezza che non può non essere celebrata. Senza storie, uno dei più grandi là fuori.

3. Adem – Homesongs 
Metà di questo disco è buon folk ottimamente arrangiato (Adem è un amichetto di Four tet, non scordiamolo); l’altra metà -semplicemente- ti fa secco. Almeno 5 pezzi di un’intensità e una tristezza devastanti, seriamente pericolosi per l’equilibrio umorale. Maneggiare con cautela. [Un mp3]

2. Pinback – Summer in Abaddon
Non riesco a spiegare perchè mi piaccia tanto; ci ho già provato ma non credo di esserci riuscito. Un disco che mi è tanto familiare nei suoi riferimenti quanto incomprensibile nel suo esito. Una matassa geometrica da dipanare ascolto dopo ascolto, che dopo 3 mesi nel lettore sta ancora tra i dischi in heavy rotation. Praticamente un miracolo, di questi tempi. [Un mp3]

1. Modest Mouse – Good news for people who love bad news 
C’è bisogno di dirlo di nuovo? C’è dentro Float on, e già potrebbe bastare. Ma poi, come ho già scritto, qui si parla del disco giusto al momento giusto, che con la sua aura da the good times are killing me (in qualunque dei due sensi lo si voglia interpretare) è stato la colonna sonora di un sacco di cose. Quei ricordi rimarranno attaccati come dei post-it, e il fatto di non poterli strappare via sarà contemporaneamente inebriante e insopportabile. Ed è esattamente ciò che dovrebbere accadere a tutti i buoni dischi.
Un disco lungo un anno. Forse di più.

lunedì, 22/11/2004

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La matassa geometrica
Se c’è una cosa che mi piace tanto quanto trovare un disco che capisco (o che credo di capire), questa è sicuramente imbattermi in un disco che, pur parlando una lingua che dovrebbe essermi familiare, mi è completamente alieno. Summer in Abaddon dei Pinback è così, meravigliosamente incomprensibile, fulgido esempio di quegli album high-maintenance che hanno bisogno di decine di ascolti prima che vi si possa scorgere qualcosa di più di un qualche banale punto di riferimento. Con una personalità forte ma sottilissima, completamente e intimamente indie (rock o pop, fate voi) nel senso più nobile del termine, con trame di chitarra così precise e geometriche che non possono che stregare sia gli amanti del post-rock che i cultori di quella creatura misteriosa che qualcuno chiama math-rock, e con costruzioni vocali trascuratamente multi-livello, la musica dei Pinback è una chimera inafferrabile, il cui immaginario è fatto di assenze, periferie e inspiegabili inserti di esotismo.
E pur essendomi ben noti i trascorsi, le carriere, l’indovinachi dei riferimenti musicali e il panorama in cui Summer in Abaddon si colloca, si tratta di un disco di cui non capisco nulla, e di cui continuo a non riusicire a dipanare la matassa mano a mano che continuo ad ascoltarlo. Una matassa, per una volta; che soddisfazione.