Da Repubblica, Dio e inkiostro mi perdonino.
Da Repubblica, Dio e inkiostro mi perdonino.
Mi riprometto sempre di andarci, ma poi all’ultimo momento inevitabilmente me ne scordo. Sabato a Bologna c’è stata una Pillow Fight in Piazza Maggiore e io me la sono persa. Fortuna che c’è questo bel set di flickr (da cui viene la foto qua sopra) e questo video (girato dalla redazione di Radio Città del Capo) in cui si vede in tutta la sua bellezza la battaglia di cuscini e la nube di piume sul crescentone con Palazzo D’accursio e il Nettuno sullo sfondo. La prossima volta me lo segno.
Se qualche mese fa mi avessero detto che avrei passato mezzo autunno ad ascoltare con il repeat un pezzo di una band che richiama gli Abba, l’eleganza disco di Donna Summer e un pizzico di frecchettonismo familiare alla Mamas and Papas e che ha un nome stupido come Music go Music probabilmente mi sarei messo a ridere. E invece da quando ho sentito per la prima volta la loro Warm in tha shadows (e ancor di più, da quando ho visto i nove minuti del suo filologicissimo video pseudo-live) mi sono completamente innamorato. Se il loro disco d’esordio fosse tutto a questi livelli avrei probabilmente uno dei miei dischi dell’anno. Invece quasi tutte le canzoni di Expressions (uscito un paio di mesi fa su Secretly Canadian) si perdono dietro al gioco di seguire pedissequamente questo o quel modello e dimenticano un po’ il songwriting. Poco male: l’operazione Music go Music è chiaramente un gioco (tutti i membri fanno parte di altre band dell’area di Los Angeles: Bodies of Water, Beachwood Sparks, Mezzanine Owls, Chapin Sisters) e non c’è bisogno che vada particolarmente lontano. Finchè fa almeno un pezzo così bello per disco, per me va più che bene.
Music Go Music – Warm in the shadows (MP3)
Music Go Music – Light of love (Mp3)
Il gioco delle classifiche con il meglio del decennio (una raccolta di quelle di musica o di libri su Large-Hearted Boy) che (forse) sta per concludersi ha già stufato da un po’, lo so.
Però le classifiche del giornale musicale americano Paste Magazine (una specie di Mucchio con più folk e niente politica, ammesso che sia possibile immaginare un Mucchio senza politica) sono una fonte di spunti niente male. Per tutto Novembre Paste pubblica una nuova classifica al giorno, di argomento non solo musicale, e il gioco secondo me funziona.
Ci sono le classifiche ovvie come quella del disco (Illinoise di Sufjan Stevens. Boooring.), del film (City of God di Meirelles. E’ davvero così bello? Devo recuperarlo?), del libro (Le fantastiche avventure di Kavalier e Clay, di Michael Chabon. Diavolo, mi manca. Della top 20 ne ho letta solo la metà) o del video (B.O.B degli Outkast. Gondry è solo al secondo posto con Fell in love with a girl, che non è certo tra i suoi migliori. Jonze e Cunningham non arrivano neanche nella top 10, ma mi viene dubbio che il meglio l’abbiano fatto nel decennio scorso).
Ma ci sono anche classifiche un po’ più creative, come quelle della colonna sonora (Fratello dove sei? dei Fratelli Cohen. Bella soundtrack ma non sono sicuro sia proprio la migliore), del gadget (ve lo devo dire?, l’iPod. Seguono il Tivo, un navigatore satellitare, la Datacard Vodafone e la Wii. L’iPhone si fa battere pure dal Kindle), del live act (vincono gli Arcade Fire, seguono i Flaming Lips. Io forse avrei invertito, o forse no), della serie tv (prima Arrested Development, seconda The Wire. A me paiono un po’ di pianeti diversi), dello stilista (Marc Jacobs. Vorrei tanto avere un’opinione al riguardo. Ragazze, aiutatemi) e della album cover (Middle Cyclone di Neko Case?? Evidentemente siamo impazziti. Altissima densità di scelte questionabili qui, anche se Animal Collective e Andrew WK al secondo e terzo forse ci stanno).
Alla fine, preso con lo spirito giusto, è un buon modo per ripassare gli ultimi anni e cercare di dargli un po’ di prospettiva. Oltre a farsi delle seghe mentali, non è appunto a quello che servono le classifiche?
"It’s astounding to realize that it’s been over one thousand years since The Beatles walked the Earth"
Beatles 3000 di Scott Gairdner [via]
Se pure Berlusconi è rock’n’roll, allora cosa i Kings of Convenience, metal?
A vedere lo stage diving di Erlend Oye durante il concerto della sua band a Oslo di 5 giorni fa (su I’d rather dance with you than talk to you) viene quasi il dubbio di sì. Non ci credete? C’è il video:
"Ciò che conta, per noi, dovendo ogni dicembre eleggere una "rockstar dell’anno", è che quest’anno la votazione sia avvenuta all’unanimità, per evidenti meriti dovuti a uno stile di vita per il quale la definizione di rock&roll va persino stretta. I Rod Stewart, i Brian Jones, i Keith Richards dei tempi d’oro sono pivellini in confronto. La "Neverland" di Michael Jackson è una mansardina in confronto a Villa Certosa, e via così. Siamo ben fuori dal dispensare giudizi da destra o da sinistra. Siamo solo osservatori che constatano ciò che è avvenuto e avviene ogni giorno. I comportamenti quotidiani di Silvio, la sua furia vitale, il suo stile di vita inimitabile, gli hanno regalato, specie quest’anno, un’incredibile popolarità internazionale" (dall’editoriale di Carlo Antonelli, via Emmebi)
Non so chi scegliereste voi come rockstar dell’anno; non so neanche quale sceglierei io – e se riuscirei a farlo.
Di certo la mia rockstar dell’anno non è quella di Rolling Stone.
E capisco tutto, eh. Mi rendo conto la scelta di una cover come quella del numero di dicembre oggi in edicola (l’autore è lo stesso Shepard Fairey dell’icona obamiana, non è stata fatta con questo) è una mossa di comunicazione geniale (e che mediaticamente questo sia stato più che mai l’anno di papi nessuno lo può mettere in dubbio). Ma personalmente non mi fa ridere, non mi piace e – se lo facessi abitualmente – credo che non comprerei Rolling Stone questo mese (i dati di vendita sicuramente mi daranno contro, la polemica – a cui sto io stesso contribuendo – tira sempre).
In questi casi mi sento sempre più spesso un brontolone serioso e insopportabile (non anche del tutto solitario, per fortuna), che grida all’emergenza anche nel momento in cui gli altri vogliono rilassarsi e farsi due risate.
Qui [1] siamo oltretutto su un blog, in cui – pur consapevoli del fatto che in Italia ci sia poco da ridere di questi tempi – si scherza e si cazzeggia volentieri. Mi prendo però volentieri la parte dell’antipatico, se si tratta di riflettere sul sottile confine tra scherzo e ambiguità.
E dove sarebbe l’ambiguità? – potreste rispondere. In effetti Berlusconi strappa una bandiera italiana, a ben vedere e-ben-guardare la critica c’è. E sono sicuro che all’interno di questo numero non mancheranno le voci ferme e critiche sull’argomento.
Di fatto, però, una copertina come questa mi sembra fastidiosamente paracula, perché a un livello superficiale (quello di chi non solo non legge l’intera rivista, ma nemmeno osserva con attenzione l’immagine, o ha magari solo letto del "trofeo" su un qualche trafiletto di quotidiano che ha rilanciato la notizia) è in grado di suscitare l’ammirazione di tutti [2]. Quelli contro Berlusconi (perché comunque c’è sarcasmo), e quelli a favore. Per spiegarmi meglio: ieri i vari Tg ormai occupati militarmente dal Pdl davano il lieto annunzio della copertina e della motivazione tra un sorriso e un colpetto di gomito, sorvolando allegramente sulle intenzioni ironiche.
Lo stile delle copertine di Rolling Stone è da sempre quello, lo so. Me ne ricordo (e ce ne saranno state sicuramente altre ancor più provocatorie) una di diversi anni fa con un guerrafondaio G.W. Bush ritratto in graziosa posa mentre imbracciava una motosega, o qualcosa del genere (anche lui rockstar [3] ).
Ma Bush è lontano, ed è oltretutto il presidente di un paese in cui la libertà d’informazione e di critica sembra passarsela un po’ meglio. Berlusconi è qui, sta facendo a pezzi la nostra società e la nostra democrazia. C’è bisogno nel 2009 di alimentare ulteriormente il culto attorno alla sua persona? Dopo il passaparola da paesereale post-Villa Certosa "eppure tromba più di tutti noi", dovremo subire anche "è il più rock di tutti"?
Qualcuno potrebbe poi obiettare che dal punto di visti degli effetti – voluti o meno – Repubblica, con la sua campagna permanente contro la persona del presidente del consiglio, ha fatto in questi mesi ben di peggio. E non ci possiamo nascondere che dietro al diecidomandismo non c’è soltanto (giusta, fondata) critica socio-politica, ma anche la precisa volontà di attirare visite e vendere copie.
Ma Repubblica è un quotidiano, non può evitare di parlare di politica. Deve dare notizie. Preferisco che lo faccia denunciando con livore le sconcezze di cui altri tacciono, anche se non ottiene (come pare) altro risultato concreto che quello di vendere più copie.
Rolling Stone si occupa principalmente di intrattenimento. E se per farti pubblicità in questo campo utilizzi un messaggio ambivalente come questo… beh, sei libero di farlo. E io di criticarti.
Anche per aver fatto finire la scritta PEARL JAM sopra il capello trapiantato di una persona che disprezzo.
– –
[1] Il discorso vale sia per il ben più interessante Inkiostro, sia per il mio piccolo blog dove avevo postato ieri una versione demo, più a caldo e raffazzonata, di questo post.
[2] Sempre fermandosi a un confronto tra copertine ed esulando dai contenuti delle rispettive riviste: a molti è tornata in mente quella del Mucchio di qualche anno fa, che peraltro fu "censurata" e non andò nelle edicole. Trova le piccole differenze (e rifletti su quanto sia davvero la sensibilità del pubblico a decidere quale satira è corretta e quale no).
[3] Volendo si potrebbe discutere a lungo di questo allargamento del concetto di "rock and roll", che un tempo includeva anticonformismo e ribellione, mentre adesso pare una caratteristica che si accompagna sempre al grande successo mediatico, comunque conseguito. Forse è colpa di Celentano, forse il rock è solo invecchiato.
Nel romanzo di Joe R. Lansdale, ambientato in Texas nel 1958, tra due ragazzini si svolge questa eloquente conversazione:
“-Vuoi che te ne porti altri di fumetti? Te li presto volentieri, però poi me li devi rendere.
-Altri Batman ne hai?
-Naa, solo quelli. Ho qualche Superman, però, anche se quelli nuovi non li posso comprare. Costano un decino. Ma nel negozio dei signori Greene, nel retro, hanno un sacco di roba con la copertina mezza tagliata. Può darsi che ci sia anche qualche Batman. Li fanno solo cinque centesimi. Appena ho cinque centesimi vado a dare un’occhiata.
-Perché li tagliano in quel modo?
-Se non li vendono dopo un po’ di tempo, tagliano via metà della copertina, la rimandano indietro, si fanno rimborsare, e poi rivendono il giornaletto lo stesso. A metà prezzo. Non dovrebbero, ma tanto lo fanno. I miei, li devo nascondere ben bene, perché mio padre li riduce in mille pezzi. (…) Secondo lui sono opera del Diavolo. Io ci ho pensato su, ma non me lo riesco a immaginare il Diavolo che legge un fumetto di Batman.”
Lansdale Joe R. , La sottile linea scura, Torino, Einaudi, 2004, pp. 70,71
Il Natale si avvicina cari adoratori di Satana, ecco le ultime uscite:
Vanna Vinci, Gatti neri, cani bianchi, (Kappa Edizioni, 16 euro)
Vanna Vinci è una delle più importanti fumettiste italiane. Ha pubblicato già moltissimo con il suo inconfondibile stile dark (è una grande fan di Marc Bolan, tra l’altro). Se non la conoscete dovete assolutamente leggere qualcuno dei suoi fumetti come Sophia, Aida al confine, Viaggio sentimentale, L’età selvaggia, Una casa a Venezia o il bellissimo Ombre. La Vinci torna con una nuova opera. Gilla è una giovane ragazza indecisa sul futuro e insoddisfatta della propria vita. Trasferitasi a Parigi per iscriversi a una scuola, è ospite di Cicci, una donna piena di energia che vive immersa nei miti degli anni ’70. Così Gilla si ritrova a frequentare da una parte i ragazzi del corso – imbastendo una strana storia con un ragazzo fascinoso – e dall’altra il gruppo di amici quasi sessantenni di Cicci, rischiando di essere travolta dalla loro vitalità. Sosteniamo i buoni fumetti italiani.
Line Hoven, L’amore guarda da un’altra parte, (Cononino press, 15 euro)
Line Hoven è una delle punte di diamante del nuovo fumetto tedesco. Nata a Bonn, ha lavorato a lungo come costumista per il teatro stabile di Kassel, per poi studiare arti visive nella stessa città. Figlia di un tedesco e di un’americana, l’autrice racconta la storia di come si è formata la sua famiglia, partendo dai nonni paterni durante il Reich da una parte, e da quelli materni negli USA antitedeschi dall’altra. L’amore e la delicatezza con cui sceglie di raccontare questa storia si concretizzano anche nella tecnica in cui ha scelto di raccontarla: 3 anni di paziente incisione di lastre di cartone rivestito di uno strato di gesso e di uno di inchiostro, quelli che in Italia pare siano chiamati col nome inglese scraperboard o scratchboard.
Le sezioni delle storie sono introdotte da riproduzioni di veri documenti d’epoca (foto, biglietti, fatture di elettrodomestici). Annotazione linguistica: le parti ambientate in Germania hanno i dialoghi in tedesco, mentre i dialoghi svolti negli USA sono completamente in inglese. Reinhard e Charlotte parlano un misto di tedesco e inglese con qualche interferenza e qualche errore grammaticale.
Un prodotto di alta qualità ma molto particolare, per amanti del genere.
Daniel Clowes, Come un guanto di velluto forgiato nel ferro (Coconino Press, 16 euro)
Il già notissimo autore del fortunato Ghost World torna con una nuova tragicommedia intrisa di realismo magico.
Dunque, il trucco di questo autore è inserire elementi fantastici e (molto) inquietanti in un mondo realistico, con personaggi assurdi e freak.
Daniel Clowes secondo il mio modesto parere questa volta ha toppato e di brutto.
Il fumetto è incomprensibile, brutto, noioso e neanche poi troppo inquietante.
Lo so che ha vinto anche dei premi ma secondo me è solo perdita di tempo.
Manuele Fior, La signorina Else (Coconino Press, 17,50 euro)
Una bella novità appena fatta uscire dalla Coconino.
Manuele Fior reinterpreta la celebre breve novella di Arthur Schnitzler.
Else, figlia di una famiglia dell’alta borghesia austriaca, è in villeggiatura in Italia, quando apprende per posta che suo padre è minacciato d’arresto a causa di un’imminente bancarotta. La madre le chiede di sollecitare Von Dorsday, un ricco mercante d’arte e amico di famiglia, al fine di recuperare la somma necessaria a scagionare il padre. Ma alla richiesta di Else, Von Dorsday risponde con un ricatto: verserà il denaro a patto che Else si lasci contemplare nuda per un quarto d’ora. Magistrale nella composizione e nell’arte della messa in scena Fior rievoca la grande tradizione del secessionismo viennese (Schiele, Klimt ma anche l’inquieto Much) per metterla al servizio di un grande testo della letteratura di ogni tempo.
Brian Wood – Ryan Kelly, LOCAL, (Double shot, 18 euro)
Brian Wood (DEMO, DMZ, POUNDED, Northlanders, Supermarket) e Ryan Kelly (Lucifer, American Virgin, The New York Four) presentano LOCAL, una raccolta di dodici racconti collegati tra di loro dal personaggio di Megan McKeenan, una ragazza che scappa da Portland, Oregon, con solo uno zaino e il desiderio di viaggiare. Ambientato in dodici diverse città del Nord America, questo volume, frutto di attente ricerche e meticolosamente illustrato, presenta integralmente la serie indipendente acclamata
dalla critica americana nel 2007. Con una appendice a colori con tutte le copertine
originali. Bellissimo, angosciante. D’altra parte cosa cazzo è la vita se non un continuo smarrimento.
Garry B. Trudeau, Doonesbury. L’integrale 1970-1972, (Black Velvet, 27 euro)
Se conoscete e leggete Linus (e come potete NON conoscerlo) sicuramente vi è stra-noto Doonesbury. Il fumetto incubo dell’amministrazione Bush e di tutte quelle che la hanno preceduto (con Obama si è decisamente ammorbidito) viene ripubblicato in Italia integralmente. Un fumetto quotidianamente in trincea, in grado di influenzare i media e l’opinione pubblica. Con un cast di una ventina di protagonisti e almeno un centinaio di comprimari, Doonesbury osserva giorno dopo giorno i vizi della politica, della società e dell’antropologia statunitense (ma non solo). Lo fa con ironia incessante, attraverso il racconto in diretta delle vite di un gruppo di ex studenti di college, ingenui e sinceri, coraggiosi e generosi, assetati di giustizia in un Paese che spesso si beffa di loro, e li lascia liberi di commettere (parecchi) errori.
Questa edizione integrale, a cura di Omar Martini e Matteo Stefanelli, presenta per la prima volta tutte le strisce quotidiane e le tavole domenicali in volumi che raccolgono due annate complete. Ad arricchire l’opera, una serie di testi realizzati da storici, giornalisti ed esperti di fumetto (Bruno Cartosio, Antonio Dini, Paolo Interdonato, Matteo Stefanelli) ci accompagnano in un viaggio intorno a Doonesbury, raccontandone l’esperienza attraverso l’evoluzione della società americana, gli intrecci con la storia dell’informazione, e il contesto del fumetto realistico e del comics journalism.
Che dire questo è un signor regalo di Natale per voi stessi ovviamente.
Osamu Tezuka, La storia dei tre Adolf (Hazard Edizioni, 10, 33 euro per ciascun volume)
La Seconda Guerra Mondiale vista attraverso la storia di tre uomini di nome Adolf, destinati a vite diverse, ma in intreccio perenne, accomunate solo dall’odio. Adolf Hitler è il primo di questi tre uomini: la sua filosofia lucida e folle viene resa perfettamente da un tratto deciso, volutamente caricaturale: le braccia allungate come per abbracciare e stringere a sé un mondo che si vuole dominare con il sangue e la morte.
Il secondo e il terzo sono due bambini, Adolf Kaufman, figlio di un diplomatico tedesco e di una donna giapponese, e Adolf Kamil, appartenente a una famiglia ebrea. Amici per la pelle, i due ragazzi cresceranno in ambienti diversi e saranno obbligati a scelte che mineranno il loro legame di odio e antagonismo. Al centro dell’intreccio narrativo è il segreto che entrambi i ragazzi custodiscono gelosamente: la prova che Hitler è un ebreo!
I cinque volumi costano molto ma vale davvero la pena, per cui potete comprarli oppure potete fare come me, quando il tipo con cui uscite vi lascia vi dimenticate di restituirglieli.
Chris Ware, Jimmy Corrigan. Il ragazzo più in gamba sulla Terra (Mondadori, 25 euro)
Uno dei capolavori del fumetto contemporaneo arriva finalmente in Italia dopo anni di ostracismo.
Una delle grapich novel da cui non si può prescindere.
Una storia ricca di forza e malinconia che si dipana in una Chicago impetuosa e disordinata nella sua crescita industriale e sociale. Anno 1893. Esposizione Universale. Un bambino di nove anni, tale Jimmy Corrigan, viene abbandonato dal padre in cima ad uno dei più maestosi edifici della fiera. Quasi un secolo dopo un altro Jimmy Corrigan, signore di mezza età anonimo,cicciottello,imbranato e privo di amici, riceve una lettera nella quale suo padre gli chiede inesplicabilmente e perentoriamente di incontrarsi con lui. Ecco la partenza di una tragicomica quanto eccezionalmente superba storia di riunione e saga familiare.
Sono abbastanza curiosa di vedere come avranno levato le gambe dalla traduzione, incrociamo le dita.
Tanto per cominciare si dovrebbe iniziare morendo, e così tricchete tracchete il trauma è bello che superato. Quindi ti svegli in un letto di ospedale e apprezzi il fatto che vai migliorando giorno dopo giorno. Poi ti dimettono perché stai bene e la prima cosa che fai è andare in posta a ritirare la tua pensione e te la godi al meglio. Col passare del tempo le tue forze aumentano, il tuo fisico migliora, le rughe scompaiono. Poi inizi a lavorare e il primo giorno ti regalano un orologio d’oro. Lavori quarant’anni finché non sei così giovane da sfruttare adeguatamente il ritiro dalla vita lavorativa. Quindi vai di festino in festino, bevi, giochi, fai sesso e ti prepari per iniziare a studiare. Poi inizi la scuola, giochi con gli amici, senza alcun tipo di obblighi e responsabilità, finché non sei bebè. Quando sei sufficientemente piccolo, ti infili in un posto che ormai dovresti conoscere molto bene. Gli ultimi nove mesi te li passi flottando tranquillo e sereno, in un posto riscaldato con room service e tanto affetto, senza che nessuno ti rompa i coglioni. E alla fine abbandoni questo mondo in un orgasmo!
(attribuita a Woody Allen – via)
Una selezione tra gli Internet Vices di Patrick Moberg. Prima di cliccare, provate a immaginare gli altri: a cosa verrà paragonato Toutube? A cosa GMail? E Vimeo?
[grazie a Paola]
La cosa che colpisce di più della pagina di Amazon dedicata alla vendita di questo Laptop steering wheel desk (esatto: è un vassoio porta-laptop per il volante) non è solo la sua stessa esistenza e quello che implica (e cioè che c’è davvero qualcuno che usa il portatatile mentre guida). La cosa davvero bella sono le immagini che gli utenti di Amazon hanno inserito per illustrare il prodotto, grazie a una funzionalità che può evidentemente essere usata in modo molto creativo:
(via)
Chi? Ok, ho scelto volutamente il nome completo (chissà perchè dalle nostre parti nessuno si chiama mai Mario Rossi IV), ma se uso il nome colloquiale Zach Smith cambia qualcosa? Scommetto di no. Ed è un peccato perchè Zach Smith, insieme a Rob Crow mente e anima degli eccezionali Pinback, è uno di quei personaggi piccoli piccoli di una certa scena indie americana che sono sulla breccia da 20 anni e non hanno la minima intenzione di togliersi di mezzo. Per fortuna.
Di Rob Crow e della sua inarrestabile vena creativa (che va da una stramba carriera solista a un surreale progetto metal ad almeno altre 4 band) abbiamo già parlato più volte su queste pagine, ma Zach Smith è sempre rimasto fuori dal radar. E non se lo merita, visto che il sound dei Pinback è al 50% roba sua (come è ovvio sentendo il resto della sua produzione); ma anche perchè prima dell’arrivo di Rob Crow era lui a far parte di una band seminale (si può usare adesso?) della scena californiana di metà anni ’90, da cui sono germogliati, oltre ai Pinback, anche i ben più noti Black Heart Procession. I Three mile pilot univano il basso di Smith alla voce cavernosa di Pall Jenkins e hanno pubblicato un po’ di bei dischi dal ’92 al ’99 prima di andare in pausa per lasciare spazio alle più ingombranti carriere delle nuove creature musicali dei suoi titolari.
Da anni si ventilava di ritorno di fiamma tra Smith e Pall Jenkins, e finalmente qualche settimana fa è stato dato alle stampe il nuovo singolo Planets; un gran bel pezzo che non deluderà i fan dei Pinback nè quelli dei Black Heart Procession, per non parlare di quelli dei Three mile pilot, se ce ne sono ancora in giro. Nel 2010 dovrebbe uscire un disco intero (per Temporary Residence, l’etichetta che ha ereditato alcuni dei nomi migliori della semi-defunta Touch & Go tra cui, appunto, i Black Heart Procession e i Pinback) e se tanto mi dà tanto non potrà che essere un grande disco di ballate cavernose, giri di basso chirurgici e melodie intrecciate.
E se non bastasse, coi Pinback in pausa da un po’ e i Three Mile Pilot non ancora tornati sulle scene, Smith non se ne sa con le mani in mano ed è in procinto di pubblicare un nuovo disco del suo progetto solista Systems Officer. Le coordinate musicali sono sempre quelle, e per il sottoscritto, ovviamente, è una bella notizia. Il marchio di fabbrica sono sempre quei giri di chitarra, basso e pianoforte incastrati come un ingranaggio, in cui tutte le parti si muovono poco a poco per creare una macchina complessa e affascinante. Che non riesco a smettere di ascoltare.
Three mile pilot – Planets (MP3)
Systems officer – Pacer (MP3)
Proprio ieri (grazie a Francesca) mi sono imbattutonella bella gallery di manifesti e pagine pubblicitarie (l'ennesima), da cui è tratta la pubblicità qua sopra, e direi che non c'è moro migliore per presentare la puntata di Impronte digitali di questa sera.
Dalle 19.00 sui 103.1 FM di Radio Città Fujiko (a Bologna e provincia) faremo quattro chiacchiere con Mr. Minimarketing Gianluca Diegoli, già tenutario di uno dei più brillanti, longevi e seguiti blog sul nuovo marketing nonchè autore dell'illuminante Minimarketing. 91 discutibili tesi per un marketing sostenibile ai tempi di Facebook, agile e fulminante libercolo leggibile online o in versione cartacea.
E proprio l'uscita della nuova edizione cartacea del libro sarà la scusa per chiedere a Gianluca se davvero il marketing tradizionale è condannato alla morte, e per farci spiegare cosa ci dobbiamo aspettare dalle strategie pubblicitarie ai tempi della grande conversazione del web 2.0. Scorreremo le sue 91 discutibili tesi con dovizia di dettagli e di esempi, per capire cosa possono fare i social network e il web nel rapporto tra i consumatori e i prodotti e, in definitiva, se la nostra vita ne uscirà migliorata o peggiorata.
Impronte gitiali: il sottoscritto e FIlippo Pirex Piredda stasera dalle 19.00 alle 20.00 sui 103.1 FM di Radio Città Fujiko a Bologna e provincia, oppure, per tutti gli altri, in streaming.
FaceAhoy – because faces in places are aces, il blog dedicato a chi vede volti umani negli oggetti inanimati. In pratica, una versione faceta di certi fanatici religiosi.
Cosa c’è di meglio di una versione folk a base di banjo e violino di una delle canzoni più belle dell’anno scorso per cominciare con il piede giusto la settimana?
Dr. Fox’s Old Timey String Band – Kids (MGMT cover) (MP3)
Pino Scotto contro Federico Moccia da Chiambretti. Gli adolescenti italici non sono mai stati in mani migliori.
(via Disorder su FB)