Metti che una sera, prima di andare a dormire, ti metti a navigare un po’ e passando per certi m-blog americani che non sapresti ridire, finisci sul forum di un sito in cui, guarda un po’, si parla di musica indipendente, nuove uscite e cose così. Un’occhiata distratta prima di chiudere la finestra e passare a qualcosa di più interessante rivela un thread dal titolo promettente, che in men che non si dica si traduce in una notizia di quelle succose: il nuovo disco di Joanna Newsom, una delle portabandiera del nuovo vecchio folk più artsy e naif, nota per la perizia nel suonare l’arpa, per lo stile vocale a dir poco bizzarro (c’è chi l’ha paragonata ad Alvin and the Chipmunks, per dire) e per aver dato alle stampe uno dei dischi migliori del 2004 (The milk-eyed mender, uscito su Drag City) è stato diffuso illegalmente sul web con abbondante anticipo sulla sua data di uscita.
«Dov’è la notizia?», direte voi. La notizia è il modo in cui ciò è successo: pare infatti che il disco sia stato scaricato direttamente dal server web di Pitchfork, su cui qualcuno ha scoperto una cartella nascosta ma non protetta (questo il link, ovviamente non più attivo) contenente tutti i dischi recensiti dalla webzine quest’anno più varie altre primizie. Qualche migliaio di preziosissimi file musicali liberamente scaricabili da chiunque fosse a conoscenza dell’indirizzo web giusto; alla faccia delle violazioni del copyright, e della protezione contro non dico gli hacker ma anche solo gli smanettoni. Qualche testa rotolerà per questo, diceva qualcuno.
Detto ciò, dopo un paio di ascolti il disco di Joanna Newsom, intitolato Ys, pare davvero molto bello. Ok, la copertina forse è un po’ kitsch.

Ok, fare un disco di quasi 60 minuti fatto di sole 5 canzoni (la più corta è sui 7 minuti, la più lunga viaggia sui 17) forse è un tantino eccessivo. Ok, la voce è un po’ più inquadrata del passato e, benchè ancora bellissima, perde un po’ del fascino che aveva in origine. Ma l’atmosfera…beh, c’è poco da fare, è un disco dal fascino raro, che mischia le solite suggestioni tra fantasy e immaginario rinascimentale con qualcosa di vagamente più moderno (mi vengono in mente Danny Elfman e il suo lavoro sulle colonne sonore dei film di Tim Burton), vero e proprio storytelling in musica che non ha quasi più nulla a che fare col pop moderno e, ogni tanto, neanche col folk classico.
A dar man forte alla giovane artista californiana un dream team da paura: Steve Albini e Jim O’rourke in cabina di regia, Bill Callahan degli Smog ospite ai cori e nientemeno che Van Dyke Parks all’arrangiamento degli archi. Che sono poi una delle cose più sublimi del disco.
Forse a Pitchfork hanno voluto farci un regalo, chissà.
Joanna Newsom – Monkey & Bear (MP3)