Archivio Autore

giovedì, 10/10/2013

Sette anni dopo

Sette anni fa portavo mio figlio, ai tempi unico, al suo primo concerto.


Scrissi la cosa sul mio blog, ai tempi vivo. Un sacco di lettori e fan degli Amari si complimentarono con me, chiedendomi addirittura se fossi interessata ad adottare qualcuno di loro.


Non ne adottai nessuno.


Gli Amari erano al loro quarto disco, se consideriamo Corporali. Quella sera suonavano al Covo. Mio figlio aveva sei anni. Andava in prima elementare e la maestra, qualche giorno dopo aver saputo del concerto, commentò: “Ah, sì, li
conosco. I Negroamari…”

 
L’altra sera ho portato mio figlio, ora diventato Figlio Numero Uno, al suo quinto concerto, sesto se consideriamo un set acustico degli Yuppie Flu ai giardini di Santa Cristina, lì in via Fondazza, eoni fa.

 
Sette anni fa, mio figlio lo portavo ai concerti che si voleva tenere sempre dietro un elmetto da vichingo, comperato in una bancarella di Piazza Navona tra i piccioni romani, quella volta che – ancora – me lo tirai dietro a Roma perché io facevo un inutile corso di minimumfax.

 
Oggi, mio figlio è lui che mi porta ai concerti e si tira dietro ettolitri di malmostosità preadolescenziale, quella roba che lo fa esprimere se va bene a monosillabi (quattro, di solito: “sì”, “no”, “boh”, “sgrunf”), e se va male in perifrasi sghembe trasudanti rabbia malcelata e ironia stronza (“Sei stato al Burger King con i tuoi compagni oggi? Hai mangiato un hamburger?” “No, guarda. Ho mangiato l’insalatina ai sette tipi di indivia cucinata da Cracco”).
Fuori c’è il diluvio, sta piovendo tutta la pioggia che non ha piovuto a settembre, un settembre bellissimo e tardoestivo, un settembre in cui io sono invecchiata e ho finito l’ultimo anno della mia terza decade, Figlio Numero Due non si è perso un giorno di parchetto e Numero Uno ha sciacquato via i suoi pomeriggi a fare skate col suo amico Andrej, armeno, parlando di donne e analisi del periodo.

 
È una domenica di ottobre, adesso, e decisamente piove. Se alla mattina ancora avevo qualche Slancio Di Gioventù, per cui il concerto era il miraggio della settimana, quello per cui valeva la pena tirar la corda e arrivare fin qui, adesso, che sono le sette di sera e per uscire di casa ho bisogno della canoa, mi è un tantino passata la voglia.

 
“Basta, non ci andiamo più” dico decisa, entrando in camera di Numero Uno.

Lui tira su gli occhi dall’iPod, mi guarda, non dice un cazzo, scuote solo la testa. Torna su Quizz Cross.

“Hai capito? Rilassati, polleggiati, non usciamo, troppa pioggia”

“Certo che sei proprio invecchiata” dice solo, mentre risponde a una domanda di scienze, e con tutta probabilità scazza, perché in scienze non va oltre il  tra il sei e il sette.

Bastardo stronzetto tredicenne, ora ti faccio vedere io.

“VESTITI! Siamo in ritardo” gli intimo. “E lavati le ascelle” che di solito funziona come dissuasore mobile incredibile e invece stavolta no, c’ha proprio voglia di uscire sotto l’amico nubifragio, arrivare a Ravenna e vedere un gruppo che i suoi compagni manco sanno chi è e quindi non potrà vantarsi proprio per un cazzo il giorno dopo a scuola.

“E comunque, non è che ti vergogni un po’ di uscire con tua madre, andare ai concerti, vedere gruppi che non sono David Guetta, cose così?”

Tira su la faccia ancora, scuote di nuovo la testa, poi va a lavarsi le ascelle.

 
Siamo in macchina, sotto chili di acqua, da qualche parte, tra la Romagna e il west. Ho già sbagliato strada tre volte, e in tutto questo tempo di abitacolo appannato Numero Uno mi ha regalato, nell’ordine, piccoli distillati di:
– Elementi di Bimbominkiaggine I e II (“Oh, l’altro giorno ho letto su facebook che uno ha fumato dodici canne in dodici minuti e dopo ha mangiato venti confezioni di canestrelli della coop e poi si è andato a fare anche un giro in centro e ha comprato un iPhone 7S. O forse 7C. Boh, non mi ricordo. Fico, però, eh?”)
– Storia del Cattivo Gusto Musicale dei primi Tredici Anni Di Vita (“Certo che maclemorefituringlosailcazzo spacca, eh?”)
– Stupidità Applicata parte I (“Ma tu la sai quella canzone che cantano tutti, quella che fa nanananaaaa”)
– Stupidità Applicata parte II (“Comunque siccome tutti la cantano, l’altro giorno l’ho cercata su youtube, cioè ho cercato “nananaaaaa”, ma sono venute fuori un migliaio di minchiate”)
– Sinossi di Furia Cavallo del West (“Ma dove cazzo stai andando? È già la quarta volta che passiamo da qua, forse è ora che ti ritirino la patente, mamma, e i concerti te li vedi su youtube”
– Teoria e Pratica di Spaccamento Di Coglioni (“Che ore sono? A che ora iniziano a suonare? E il gruppo spalla? Avrà già finito il gruppo spalla? Ho fame! Ho sete! Piove! Ma c’è inkiostro? No, perché se non c’è inkiostro io cosa faccio? Ma c’è qualcuno che conosci? Ma siamo, cioè fammi capire, siamo soli io e te, MAMMA?”
– Mutismo (“…”)

 
Siamo soli io e lui. Dalle parti di un paese che si chiama Serenase o qualcosa del genere. Abbiamo appena attraversato Osteria, perché i romagnoli, si sa, danno sti nomi del cazzo non solo ai figli ma pure ai paesi.

Al bar del corso di Serenase, gli prendo una piada. Dentro, Numero Uno si sistema su una sediolina di metallo di quelle da spiaggia, tra dodici extracomunitari e una coppietta di paese, a guardare la juve iniziata, su un megaschermo duemila pollici. Nonostante tutto, è nano. Anche sulla sediolina, mi fa questo effetto qui. Di figlio ancora piccolo, che non posso mai finire di accudire, perso in un bar di paese, a Serenase, a mangiar piada e guardare cinque minuti di juve. Beve in tre nanosecondi tutta la bottiglietta di acqua, si pulisce su una manica e dice: sono pronto.

 
Arriviamo al Bronson. Fradici, perché io ho parcheggiato la macchina in un campo di un signor contadino, in mezzo ai polli romagnoli. Incontriamo paolo, io gli dò del lei e gli chiedo “scusi dov’è il bronson” anche se ce l’ho davanti, il bronson, ma non lo riconosco, paolo, e quindi ci incontriamo così, a questi concerti improbabili, Numero Uno mi sgomita, mi chiede: chi è?, e d’ora in poi qualsiasi persona io saluti incontri e ci chiacchieri lui mi sgomita e mi urla: chi è?

Sono amici, cristo santo. Tua madre ce li potrà avere degli amici.

 
“Sediamoci qui” mi dice, indicando una sporgenza sotto alla postazione dei dj.

 
“Questo è parecchio triste” mi dice, riferendosi al tizio-solo-con-chitarra che sta cantando una cover di Please please please degli Smiths.

 
“Ma il volume rimarrà così o aumenta?”

 
“Mi vai a comprare una maglietta degli Shout Out Louds?”

 
“La ragazza-che-vende-magliette non è grassa. Sei tu che sei una femmina e anche un po’ anoressica perché bevi troppi caffè e quindi sei distorta. La ragazza è carina.”

 
“Ti ricordi che gli Amari, al mio primo concerto, mi hanno dedicato Conoscere gente?”

 
“Pensi di poter chiedere al cantante degli Shout Out Louds se mi dedica Impossible?”

 
Dopodiché si chiude in un silenzio assorto e guai a chi lo disturba.

 
Al concerto, io mi immaginavo chissà quali abbracci. Niente. Sta seduto. Fa una foto, una sola, con l’iPod. Tiene il ritmo con la testa, come se Very Loud fosse un remix di Guetta. Le conosce tutte, tranne quelle dell’ultimo disco. Che non ci piace troppo, né a me né a lui. Quindi facciamo gli snob-quelli-che-il-demo.

Io ballo, perché non mi frega un cazzo se lui è mio figlio e si vergogna. Ballo, perché sono anni che non ballo a un concerto e lui lo sa. Lui a un certo punto mi dice: i tizi dietro di te ti stanno guardando come se fossi pazza. Ma poi lascia perdere, perché io continuo a ballare.

 
Parte Parents Livingroom e io non la riconosco. “è perché è un sacco più chitarrosa e meno melodica rispetto al disco” mi spiega lui, il Piccolo Pichfork.

Mi sembra anche un po’ deluso dalla troppa chitarrosità. E da me, che non riconosco una canzone una. Cantiamo insieme Parents Livingroom, io gli chiedo per la quindicesima volta: hai caldo togliti la felpa, lui sbuffa e sembra dire lo saprò io se ho caldo, sono in grado di togliermi una cazzo di felpa quando cazzo pare a me, quindi ricomincio a ballare, goffa come solo una madre.

 
Poi arriva l’unico momento davvero luccicoso madre-figlio, di quelli che mi porterò dietro tutta la vita, sette anni dopo, e sette ancora , e altri sette. Arriva con le prime note di Impossible (ma la Sua Canzone preferita era Hard Rain e ovviamente col cazzo che gliel’hanno suonata. O forse sì e io non l’ho riconosciuta.).

Stavolta Impossible la riconosco io. E la riconosce lui. Dietro di noi ci sono le montagne, di quella volta a S.Vito che la sentivamo insieme, una recchia io e una lui, e intanto camminavamo piano, su per le Tre Cime, coi nostri scarponi, lui di pochi anni più piccolo, ma di millenni meno sgrunfante e ancora bambino. Un bambino che pareva uno stambecco, di fianco a me, su per i sentieri, e tutto quello che diceva sua madre era puro, e credeva ancora, dio se ci credeva, alla musica che io gli dicevo di ascoltare. Altroché Guetta.

 
Mi guarda, sulle prime tre note di pianola suonata dalla bionda.

Lo guardo, alle altre tre note di pianola.

Rimaniamo così, in questo sguardo un po’ consueto, un po’ nuovo che ci coglie nel bel mezzo di un concerto in mezzo al nulla ravennate. La canzone è meravigliosa, e lui mi sorride. Per la prima volta in tutta sera.

 
Dopo poi sono saluti con “i tuoi amici sudati”, fuga verso la macchina tra i polli, è tardi, cristo, e domani c’hai la verifica di scienze alla prima ora e non posso farti neanche entrare in ritardo.

 
“E così sarebbe il mio quinto…”

“Sesto, se contiamo gli yuppie flu acustici.”

“Ah già”

“ …”

“Conoscere gente sudata”

“Come dici?”

“No, niente”

“…”

“Ma secondo te come mi devo comportare con i miei compagni? Cioè, tutti sti concerti che ho visto, non è propriamente musica-che-si-ascolta”

“No, infatti. È musica che si mastica, come l’insalata di Cracco.”

“Magari Cremonini.”

“Magari Cremonini, sì”

“Ma da Cremonini ero il più giovane. Eravate tutte babbione infoiate.”

“Si chiamano ‘Cougar’, tesoro. Ricordati: cou-gar.”

 
“Comunque era bello.”

“Io mi sono innamorata del cantante”

“Tsé. Femmine…”

“Guarda che se da grande fai il cantante-di-gruppo-rock rimorchi un sacco”

“Chissene. Io voglio fare il camionista” dice guardando fuori dal finestrino dell’auto. C’è un tir che ci passa vicino vicino. E poi si addormenta così, in un attimo, nel suo cappuccio della felpa tirato su, perché stavolta ha freddo. E io, che sono sua madre, lo guardo far tutto da solo, farsi la tana calda con la felpa, tirar su col naso e addormentarsi così, come una cosa lieve, nel sedile passeggero, e non posso, mi rendo conto che stavolta non posso, scaldarlo in nessun modo.

 
[Due giorni dopo, sulla sua pagina facebook, c’è questa foto, la sua unica foto scattata, con la didascalia: “Concerto degli Shout Out Louds! Anche se non li conoscerà quasi nessuno…”]

 
 

lunedì, 15/07/2013

Tredici

Sei arrivato, con i tuoi tredici anni ormai buttati alle spalle. Varchi la porta univoca dell’aeroporto, ci dedichi un sorriso, a noi famiglia che tutta unita siamo venuti lì a riprenderti, fratellini compresi che non stanno fermi un attimo e appena ti vedono ti si buttano contro. Mi abbracci. Sono tua madre. D’altra parte oggi, tredici anni fa, se non era per me. Lo sai. Mi abbracci, mi dici Ciao, mi dici Mamma, ti chiama il nonno, gli dici Liberté égalité presumo che lui dall’altro capo ti dica il seguito, saluti il nonno, gli dici mangiamo la pizza insieme stasera nonno, butti il bagaglio pieno di gadget comperati al museo dei Beatles in macchina, sali con un’ascella che puzza e una no, apri il finestrino e dici: in Galles non usano l’aria condizionata, fai un sacco di solletico a tuo fratello, tuo fratello non capisce più niente perché ti vede dopo quindici giorni, ed è felice, naturalmente felice, come noi, siamo tutti felici di rivederti. E oggi finiscono i tuoi tredici anni.

Nell’ordine:

– entri in casa chiedendo con urgenza una pasta al pomodoro

– siccome sappiamo tutti che la pasta al pomodoro non è propriamente il cibo tradizionale gallese, nessuno di noi ti chiede spiegazioni

– divori la pasta al pomodoro come fosse il primo cibo che stai mangiando dopo l’apocalisse e tu fossi l’unico sopravvissuto

– racconti che hai fatto amicizia con Ragazzo Ciccione Turco (che non è Ragazzo Ciccione Italiano che dorme con te), il quale ti ha insegnato come si dice “puttaniere” in turco, sia mai che ti servisse quando andrai in vacanza studio a Istanbul

– dici che hai bisogno di dormire. Continui a ripetere in loop gli orari del ritorno, scalo ad Amsterdam, il jet lag che diosolosa dove sia tornato in linea con l’Italia, ma insomma sei pur sempre in giro dall’una di notte e non sei abituato

– vi rendete conto che vado verso i quattordici?, e con questo ti alzi da tavola, dalla pasta al pomodoro, vai a lavarti i denti e poi collassi meravigliosamente nel letto

– dormirai fino alle cinque del pomeriggio. Però ti sei lavato i denti.

 

Io sono la madre di questo tredicenne finito oggi. Io ispeziono la sua valigia, facendo piano piano sennò mi si sveglia, ma lui dorme, c’ha il sonno dei secoli da recuperare. Dorme anche il fratellino, di fianco a lui, per empatia, come solo i fratelli sanno.

Trovo nell’ordine:

– un docciaschiuma praticamente intonso

– ma lo shampoo, ehiii, lo shampo pantene è – incredibile – finito, il tubetto del tutto strizzato, quasi a farlo uscire a forza

– io sono la madre e penso che a)mio figlio è scemo e non sa leggere le etichette delle confezioni, per cui non distingue uno shampoo da un docciaschiuma e per quindici cazzo di giorni si è lavato le ascelle con lo shampoo; b) mio figlio è un paraculo e mi ha paraculato fino a ora dicendomi che sì, si era lavato ma col cazzo

– un paio di occhialini di John Lennon comperati al museo di Beatles per l’Uomo Maggiorenne Di Casa.

– un t shirt dei Beatles autoregalatasi, che è meravigliosa, giuro, meravigliosa, e quando si sveglierà mi dirà: no, mamma, le t shirt con le patacche quadratone di Abbey Road le ho lasciate agli altri; io ho preso questa. Non aveva patacche, solo la mela verde, le quattro facce stilizzate, e basta, niente patacche, e io saprò che per tredici anni ho fatto il mio sporco mestiere di madre, e l’ho fatto da dio

– cannucce e bicchieri con cannucce annesse di ogni tipo. E mi sto ancora chiedendo il perché.

 

Poi si sveglia. Prima di soffiare tredici candeline su una torta che ha chiesto lui, con tutta la famiglia allargata intorno, perché l’ha chiesto lui, la famiglia la torta il compleanno i fratellini le mogli acquisite gli Uomini Maggiorenni che sono i Secondi Padri, vi voglio tutti a festeggiare con me, Vito Corleone gli fa un pippone, giuro, insomma prima di soffiare l’happy birthday dei suoi tredici faticosissimi anni fa in tempo a raccontarmi di Ale.

Ale vive al Pilastro, ha i bermuda col teschio da tamarro ma tutte le domeniche va in chiesa. Mio figlio ha la simpatica idea di dire ad Ale, in una notte gallese senza orari, che è ateo e non battezzato. “Sono ateo e sbattezzato” dice proprio al povero Ale. A mo’ di vanto.

Ora, ai tempi miei, chi non era cresimato era una bestiolina, come diceva mia nonna. Figuriamoci il battesimo.

Respiro forte e provo a spiegargli che lui non è effettivamente ateo. Perché deve ancora studiare e crescere e capire che diamine sarà.

Io. Sono. Ateo. Quando muoio muoio. E basta.

“…”

“E non sono battezzato perché tu stessa, Madre, mi hai detto che mi avresti lasciato la possibilità di farlo da grande. Se mai avessi voluto farlo, intendo”

“…”

“Tipo anche adesso. Adesso, se volessi, potrei andare e dire voglio battezzarmi. Così, capito.”

 

Insomma, Ale che vive al Pilastro ed è un tamarro, sentendo che lui è ateo e non battezzato gli risponde: Ma allora sei un comunista.

Lui dice: Sì, e allora.

Poi ci pensa un poco, e gli dice: scusami eh, Ale, ma se uno è ateo non vuol dire che per forza è comunista. E comunque sì, io sono comunista perché mio nonno lo è, e mia nonna lo è, e mia madre lo vorrebbe essere. Però se uno ti viene a dire che è ateo non per forza deve essere comunista. Che cazzo c’entra, non son mica sinonimi.

Dice così.

Io, Madre, lo sgrido: non devi usare un linguaggio volgare o parolacce tipo ‘cazzo’ nelle tue argomentazioni oppositive.

“Ma mi ha fatto girare i coglioni, che cazzo di discorso è, uno può essere ateo e non comunista e un comunista non dev’essere per forza ateo”

“…”

“Cazzo, mamma, ti sembra un discorso da fare. Poi mi è pure sceso nella top ten delle amicizie, Ale, dico, perché una notte mi ha tenuto sveglio a dirmi che dovrebbero mettere le barriere nel mare alte così per non fare arrivare gli africani, e diceva anche che bisognerebbe ammazzare tutti quelli non italiani, insomma lui voleva un mondo fatto solo da italiani”

“…”

“Tu pensa che razzista”

 

“Senti, mamma, ma tu lo sai come si dice puttaniere in turco?”

“No, non lo so”

“E scoreggia in inglese?”

“Neanche. Tesoro.”

“Che ore sono?

“Le sei e mezza”

“Era già iniziato il cesareo?”

“Era già iniziato. E pure finito. Eri già uscito. Te ne stavi lì, con occhi da terrorista, neri come la fame, nella culletta dell’ospedale a guardare il mondo intorno a te”

“E lo zio Mario ti portò dei toast, vero?”

“Lo zio Mario mi portò dei toast, sì”

“Sto andando verso i quattrodici. Te ne rendi conto?”

“Me ne rendo conto, tesoro. Sì.”

“L’anno prossimo festeggiamo con dei toast. Ce li porta lo zio Mario.”

“Va bene, tesoro.”

“E forse per quell’epoca mi sarò pure battezzato.”

 

“Mamma, ma li mangiasti poi i toast dello zio Mario, quella volta?”

venerdì, 17/05/2013

Fuga dalla seconda media

“Mamma, come si scrive Cristal Meth”?

“Mamma, come si scrive Reykjavik?”

“Mamma, come si scrive Bastianich?”

“Ma tu lo sai cosa vuol dire inadeguatezza? No, non lo sai.”

“Tra poco le medie finiscono, quindi evito di innamorarmi.”

“Mamma, potresti andarci piano con Bed in Breakfast (Breaking Bad, n.d.R.), che poi mi diventi tossica di Cristal Meth?”

“Credo che in questo quadrimestre avrò un bel 10 in inglese.”

“Mamma, ho preso cinque in geografia. La Svezia. Non ti arrabbi vero?”

“Te l’ho detto. Ho deciso di innamorarmi al liceo. Almeno ho cinque anni davanti. Tra un po’ questi delle medie non li vedo più.”

“Liceo? A cosa mi serve il liceo? Tra un annetto pubblicherò il mio romanzo e vi mantengo tutti quanti”

“Cavolo, la A. (Gnocca Delle Medie, n.d.R.) ha saputo che scrivo un romanzo e mi minaccia ogni ricreazione. Se non le do un pezzo di merenda lo dice a tutta la classe.”

“No, ma, sentirsi inadeguati. I-na-de-gua-tez-za. Ecco.”

“Io non voglio dare un pezzo di merenda all’A. Cioè, lei solo perché è gnocca pretende tutto. E quando la interrogano, i maschi si sperticano per suggerirle. Non è giusto”

“La A. da grande vuol fare il liceo delle estetiste”

 “Io non ho bisogno di fare il liceo. Io farò lo scrittore”

“Mamma, ma i Phoenix sono così famosi come hai tentato di farmi credere in tutti questi anni?”

“Mamma, ma gli Shout out Louds li conosce qualcuno?”

“La Svezia, cavolo. Non mi veniva in mente niente, se non l’Ikea.”

“Comunque la prof. di inglese mi ha messo una nota perché ho detto “cazzo è chin?” durante Simon Says. Simon says… chin! e io non sapevo che cazzo era.”

“La A. la dovrebbero bocciare. Altroché.”

“Mamma, ma secondo te i miei compagni lo sanno chi sono i Phoenix?”

“Mamma, lo sai che Fede va a fare l’alberghiero, perché dopo vuole fare Masterchef?”

“Mamma, scusa, en passant, cosa vuol dire chin?”

“Mamma, ma se scrivo ‘inadeguatezza’ nel romanzo poi nessuno me lo compra più?”

“Mamma, tu sei in grado di rimediarmi qualunque pettinatura orrenda mi facciano quei mostri di parrucchieri dove mi porti.”

“Tra cinque anni (al compimento del diciottesimo anno, n.d.R.) non mi taglierò mai più i capelli.”

“Io li odio, quelli che usano il phon”

“Io li odio, quelli che suggeriscono all’A.”

“Io le odio, le femmine con lo smalto”

“Io lo odio, Beppegrillo”

“Mamma, scusa, puoi controllare su Facebook se la mia prof. di italiano è grillina?”

“Tra cinque anni, mi farò una doccia al mese.”

“Bastianich si è venduto!”

“Madonna che schifo sti capelli. Sembro Justin Bieber”

“Io lo odio Justin Bieber”

“Io li odio, quelli che contribuiscono al riscaldamento globale con i loro phon”

“Io la odio, l’epica”

“Tra cinque anni andrò a vivere nelle campagne londinesi, nella casa che mi comprerò con i proventi del mio romanzo. Potete venirci tutti, tanto sarà una casa enorme. Tutti tranne la prof. di italiano.”

“Cazzo è chin?, mi è scappato a inglese. Cazzo. Però tutti mi hanno dato il cinque, dopo.”

“Ma quant’è figo il tizio giovane di quella roba che guardi tu sulle Cristal Meth?”

“Mamma, mi compri una felpa come quello lì che spaccia Cristal Meth?”

“Mamma, mi porti da un barbiere che mi pettini come quello lì delle Cristal Meth?”

“Mamma, ma tu lo sai veramente cos’è chin in inglese?”

“Mamma, ma tu lo sai veramente quanta di quella merda ci mettono dentro alle Cristal Meth?”

“Ecco, potessi fermare il tempo. Questa è la lunghezza perfetta. Non crescete più, capelli. Siete perfetti.”

“Mamma, nessuno di quelli che conosco ha votato grillo, vero?”

“Mamma, ma tu lo sai chi è Justin Bieber o ascolti solo Shout Out Louds e roba svedese?”

“Mamma, tu non ti sei mai fatta di Cristal Meth, vero?”

martedì, 25/09/2012

Stocazzo di settembre, ovvero perché non ho voglia di vedere i radiohead

Vediamo.

 

Tu, T.Y., hai dei figli, un’età e ami profondamente quello che fai.

 

Io, F.R., ho dei figli, un’età e amo profondamente quello che fai. Tu.

 

Non ho nessuna voglia di venirti a vedere stasera. Ma proprio nessuna. Quando mio figlio, chiamato scherzosamente a sua insaputa Numero Uno, ecco, quando Numero Uno, dodici anni all’anagrafe, mi chiede chi è il tuo gruppo prefe e io rispondo i Radiohead, non scherzo. Numero Uno prende sul serio, come si conviene fare alla sua età, tutto quello che concerne classifiche di cose prefe nella sua e altrui vita. Io anche. E rispondo i Radiohead. Perché siete il mio gruppo prefe da sempre, e mi sembra perfettamente logico, naturale, e incredibilmente giusto che io non abbia voglia mezza di venire a vedervi stasera.

 

Dunque adesso scriverò al contrario di quelli che scrivono sui blog. Scriverò che non ho voglia di venirvi a vedere e i suoi perché.

 

(Dopo mi dici poi chi è il tuo gruppo prefe, anche se io ho già un’ipotesi.)

 

Ecco perché non ho voglia di vedere i Radiohead stasera.

 

  1. A una bolognese come me dire Piazza maggiore è una roba, dire Arena Parco Nord è un’altra. Tu probabilmente Bologna manco sai che cos’è. Non sai niente dei suoi studenti commercianti fontanieri umarelli, non sai niente delle sdaure, delle ragazze manga che vengono dalla Lucania a studiare danza al Dams, non sai niente dei Lucarelli dei Lucidalla, dei Cremonini, dei gelati di stefino, delle passeggiate, degli orridi aperitivi da dieci euro alle varie linee marsalini scuderie e pratelli. Non sai che prima di tutto questo, prima degli stefini e delle linee, prima di Cremonini che andrò orgogliosamente a vedere a novembre con Numero Uno (e si preannuncia l’evento clou dell’inverno) c’era una città non in coma, una città forte, ancora viva nel suo centro pulsante. Che era il centro. Piazza Maggiore. Qualcuno lì ci vide i Clash, nell’ottanta, e qualcun altro ha pensato bene, alla prima annunciazione del vostro tour, di accostare una cosa all’altra. Io non posso più far parte della generazione che ha visto Strummer; potevo far parte di quella che aveva visto Yorke. Niente. Mi è andata buca anche stavolta.
  2. Non è mica vero che Palazzo D’Accursio veniva giù. È solo che i nostri governanti ne sanno meno di te, di questa città.
  3. A una meteoropatica ossessiva con evidenti problemi d’ansia organizzativa come me dire il tre luglio è una cosa, dire Stocazzo di settembre è un’altra.
Stocazzo di settembre??? ho urlato quando ho letto lo spostamento annunciativo. Ma stiamo scherzando. Stocazzo di settembre vuol dire un sacco di cazzi in più. Vuol dire i figli tutti presenti in casa, che è iniziata la scuola (a Oxford non so, ma a Bologna le scuola iniziano a metà settembre e non è che puoi pensare di scodellarli subito subito così dai nonni, con tutti gli inserimenti agli asili nidi e tutti gli zainoni delle medie, poi, tutti pieni di libri pesantissimi), vuol dire di nuovo al lavoro dopo l’estate (a Oxford non so, ma a Bologna, se non sei uno dei Radiohead, settembre è il mese deputato a evitare i racconti e le foto-di-vacanze sullo smartphone dei colleghi, nonché il mese in cui gli psicoterapeuti cognitivisti fatturano di più, causa depressione post-ferie), vuol dire non-ancora-inverno, non-ancora-pronti, non-ancora-Covo, vuol dire fine dell’estate cristo santo, lo capisci anche tu, lo vedrai anche tu, cristo, dall’alto dei tuoi figli, dei tuoi anni e dei tuoi Radiohead. Vedrai la tristezza nebbiosa dell’Arena. Parco. Nord. (Scusami eh, ma i Sigur Ros vengono in Italia a febbraio, cazzo. Qualcosa vorrà pur dire. Febbraio è tutt’altro che Stocazzo di settembre, lo capisci, sì?)
  1. è un fatto di età. Ho quasi dieci anni in più, diversi amanti in meno rispetto all’ultima volta che vi ho visto, e qualche babysitter in più. Dieci anni fa era bello avere dieci anni di meno, diversi amanti non impegnativi che condividevano con te un divano letto nella periferia milanese, abbastanza nudi sotto i plaid, ad ascoltare canzoni a caso e farsi raccontare cose che in nessuna altra occasione così perfettamente congiunturale (divano-letto- non impegnatività del fatto- nudità media) si sarebbero dette, e zero babysitter, perché oddio avevo già un figlio allora, ma avevo anche nonni giovani. Oggi i nonni hanno dieci anni in più, sono un poco più ciechi, un poco più deboli, un poco più che si addormentano prima e si svegliano presto, i miei figli sono raddoppiati e la mia voglia di uscire la sera, come diceva Lou Barlow (che ci tengo a sottolineare ha detto che sarebbe venuto a suonare il TOT di luglio e così è stato), è indirettamente proporzionale al mio essere genitore. (Genitore-in-vacanza è un conto. Il genitore-in-vacanza fa ancora finta di essere amante dell’altro genitore, ci sta un sacco il divano-letto, la nudità media e le canzoni con il vino al pomeriggio, mentre i figli sono al campo scuola o al mare con i nonni, poi la sera andare al concerto e niente ha più un orario, né cene, né nanne, ma si torna a uno stato di primordiale amorosità, il sole, l’amore, lo iodio, il corpo. Ma genitore-in-Stocazzo-di-Settembre è tutt’altra faccenda, ma non voglio farti pesare troppo sta cosa, Thom, d’altra parte anche TU, diamine, sei genitore, genitore in tutte le sue mirabolanti fasi, tra le quali le più fantastiche non cadono MAI, ripeto, MAI in Stocazzo di settembre).
  2. è un fatto di scaletta. Anzi, di pessimismo-in-fatto-di-scalette, nota sindrome da cui sono afflitta per cui non riesco a godermi neanche un concerto perché per tutto il concerto stesso penso: la prossima sarà XX, mi concentro e voglio intensamente XX, fatemi XX fatemi XX, e regolarmente non solo la prossima non è XX ma XX non arriva proprio, neanche nei bis numero cinque. C’è poi tutta una scaramanzia da animale da concerto riguardo a questa cosa. Conosco persone afflitte dalla stessa mia sindrome che settimane prima evitano di pronunciare parole non solo dal titolo ma anche dallo stesso intero disco in cui è contenuta la canzone XX che vorrebbero sentire. Ma naturalmente, nonostante i riti sciamanici cui si sottopongono, la XX è loro comunque negata. La mia XX è Let Down, e già sento i cori alle mie spalle di seee, ah-ah, taci, gufa maledetta.
  3. È un fatto di critica, no, scusate, di giudizio musicale, per cui, lo devo ripetere?, io amo The bends e Ok C. ma non me li porterei là, nell’isola deserta, come mi ha chiesto da poco Numero Uno. Mi porterei Amnesiac e non mi stancherei mai di dirlo. The B. e Ok C. hanno fatto il loro tempo, grandi dischi, per carità, e ho stracciato in mille coriandoli le pagine del RS di agosto quando ho visto che non stavano nessuno dei due manco nei primi dieci, ma pace. Io non scrivo su RS e mi piace Amnesiac. Mi piace talmente tanto che non mi stancherei mai di ascoltarlo. Ma per dio, non paragonatelo con l’ultima cacatina stitica che avete partorito. No. Mi fermo a In Rainbow, il feuilleton della musica pop, ma adesso basta. Sto ultimo disco non si affronta. Lo dicono tutti i bolognesi in coro che forse in Piazza Maggiore il tre luglio poteva essere anche digerito. Ma all’Arena Parco Nord, regno dei Green Day (secondo gruppo prefe di Numero Uno), a Stocazzo di settembre no. O mi fate Let Down e tutto The bends, oppure nella classifica dei miei gruppi prefe scendete di un sacco di posti, molto dopo i Green Day, giuro.
  4. Se mi fate Let Down, probabilmente sarò felice nel momento in cui dovrò pagare la babysitter buddhista che parla sei lingue (di cui una è il finlandese) che mentre io ascolterò Let Down starà correggendo sul mio Mac le bozze della sua tesi in letteratura finlandese sullo sciamanesimo, mentre mio figlio Numero Due dormirà sogni meravigliosamente morbidi e Numero Uno si addormenterà con l’iPod clandestinamente tenuto sotto il cuscino, ascoltando Basket Case, e tutto avrà finalmente un senso.

giovedì, 02/12/2010

Volevo andare da Fazio

 

Elenco delle domande cui, da madre, ho dovuto fornire adeguata risposta, nell’arco dell’ultima settimana:
 
  • Cos’è un tampax?
  • Cos’è un bigotto?
  • Ma bigotto è un insulto?
  • Ma se dico bigotto è come dire stronzo?
  • Ma i gay erano gay anche da bambini?
  • Ti piace la canzone Quando i bambini erano gay?
  • Ti piacciono i Green Day?
  • Perché non hai messo i Green Day nei 15 dischi della tua vita su facebook?
  • Mi fai vedere il video dei Green Day su youtube?
  • Mi fai vedere il video dei Green Day su inkiostro?
  • Mi fai giocare ai giochi del computer su inkiostro?
  • Vuoi che ti spieghi come si gioca a Tuper Tario Tros?
  • Quando nasce il fratellino posso andare a vivere a casa di inkiostro e suo fratello?
  • Lo sai che i greci erano molto più fighi dei romani?
  • Lo sai che a giocare ai videogiochi imparo la storia?
  • Lo sai cosa ho imparato da Caligula?
  • Lo sai che a essere romano nell’antica Roma potevi essere ucciso da un alveare?
  • Posso fare il bis di polpette a scuola?
  • Posso stare sveglio tutta la notte venerdì?
  • Posso guardare L’Esorcista?
  • Posso guardare Nightmare?
  • Posso guardare Shining?
  • Possiamo andare avanti veloci nelle scene dove si baciano?
  • Possiamo evitare di guardare film d’amore?
  • Possiamo evitare di salutarci con il bacino allo scuolabus?
  • Se ti do il bacino qui a casa e poi allo scuolabus ci salutiamo con la mano, ti basta?
  • Lo sai che la Signo* dello scuolabus ha cantato con Pavarotti?
  • Lo sai che la Signo* dello scuolabus se la cerchi è su youtube che canta con Pavarotti?
  • Lo sai che la Signo* dello scuolabus non sa chi sono i Clash e gliel’ho dovuto spiegare io?
  • Ma i Clash sono tutti morti?
  • Ma i Clash sono tutti gay?
  • Ma se i Green Day sono vecchi i Clash cosa sono?
  • Ma a te ti piacciono di più i Green Day o i Baustelle?
  • Mi metti le canzoni più belle di enrico ruggeri nell’ipod?
 
*sta per “signorina”

mercoledì, 28/01/2009

Questa è un’offerta di lavoro (anche se non sembrerebbe)

Il problema è tutto qua.

Vi sognereste mai, voi- dice Marco Cassini- di chiedere gratuitamente, così, solo "a titolo personale", un consulto medico al vostro ginecologo di fiducia per la prostata di vostro zio? Così, "soltanto per un parere".

Beh, insomma. Marco Cassini non dice proprio così. Però il concetto rende.

Marco Cassini – lo dico per i lettori di inkiostro che non hanno abbandonato il post alla parola "prostata"- è il direttore editoriale di qualcosa come il 90% dei libri che voi lettori di inkiostro cui la prostata vi sembra qualcosa di ancora più anziano degli Europe, sfogliate, leggete, avete sul comodino, avete-lì-e-non-sapete-di-avere, adorate, citate a memoria (stralci di Carver), riscrivete (come Carver), vi piacerebbe scrivere (come Carver) eccetera eccetera.

minimumfax, dico.

Il libro è una sorta di autobiografia-con-prostata. Parte da una malattia (realmente psicosomatica). Finisce in una malattia (allergicamente contagiosa) che è la malattia dei libri.

Ora. La frase di cui sopra si riferisce a un particolare fenomeno che colpisce immancabilmente chi lavora (o chi come me ci lavora solo tangenzialmente) in editoria. Sto parlando di quella cosa per cui al vostro generico aggirare l’imbarazzo provocato dalla domanda "Che lavoro fai?", non potendo effettivamente corrispondere con un altrettanto comprensibilissimo "Sono un imprenditore!", non riuscendo d’altronde neanche a chiedere all’ascoltatore pietà sulle parole "editor" o "fotolitista", buttate lì un vago "Mah lavoro in editoria…", questa cosa immancabilmente costringerà, e notate il verbo, non scherzo, costringerà, dicevo, quintali di aspiranti scrittori a sottoporvi le loro immortali opere "soltanto per un parere personale". Come se voi andaste dal ginecologo e, come sopra, diceste: "Già che ci siamo non è che può dare un’occhiatina anche alla prostata di mio zio, per favore? Solo per un parere personale".

E’ capitato a Marco Cassini, come chissà a quanti altri editori. E’ capitato anche a me, pensate.

 

Non so se c’entra qualcosa, ma io mi ricordo un fracco di morti fighi, nella mia vita. Allora, mi ricordo di quando morì Rodari, insieme a Montale. Più o meno. Ora, per voi lettori di inkiostro sarà preistoria archeozoica, però posso dire di avere vissuto i miei primi sei anni di vita con loro, perché di John Lennon non me n’è mai fregato granché.

Poi, sbalzellonando su e giù per la linea di un tempo che ormai sembra scolpita più sulle mie rughe che sulle mie curve, arriviamo a pochi chilometri orsono. Morì nonno Kurt, a seguire nipotino David. E oggi muore zio Updike, in due centimetri di TG1, in sala, mentre di là sto cucinando risotto allo zafferano.

Io non ho mai amato niente della morte, né del dopo. Per dire, da mio nonno, al funerale, mi ci han portato a forza- io, vecchia adolescente in anfibi che vageggiavo il Nulla, mica la morte, cari miei, no no, il Nulla Solitario Leopardiano Che Era Lì Dentro Tutto In Me, insomma da mio nonno mi ci portano a forza, ma non sono mai, come direbbe mia madre, "andata a trovarlo dopo". Per carità, evitatemi bare fioristi e vecchie coi rosari-ii.

Ecco, dicevo, io che non ho nessuna sensibilità nei confronti del post mortem (passatemela, suvvia…), sto come un cane ogni volta che mi muore qualcuno che ho letto. Bastardi. Bastardissimi scrittori di merda, dico, questo non vuol dire sconfiggere la morte ai posteri l’ardua eccetera e tutte quelle balle lì. Questo vuol dire fare affezionare come cagnoloni bavosissimi i vostri lettori a quello che avete subdolamente inventato e con cui ci avete irretito. E ora stiamo tutti male.

 

 

Tutto questo per dire che ancora non ne esco da DFW e quindi dovrò andare in analisi, non mi bastano neanche più le duecentesime riedizioni camuffate da nuove collane dell’editore-di-cui-sopra, no.

Ma volevo dire anche altro, però.

Insomma, scrivere non è un affare per molti, non è che ti puoi metter lì, carta penna e calamaio, che son dopotutto strumenti facilifacili, "alla portata di tutti" come dicono quelli che scrivono male e che ti chiedono "soltanto un parere", mica come girare un film, a girare un film ci vuol tutto l’ambaradan di mezzi soldi e chissà-perché-per-il-film-sì-e-per-il-romanzo-no ci vuole soprattutto la tecnica. Sapere cosa si vuol dire e soprattutto come lo si vuol dire.

Sapere che ci sarà da qualche parte, anche solo una zia, un parente, una fidanzata impietosa- dio, dio dimmi che esistono ancora le persone impietose- che leggerà la vostra cosa. E che leggendola non saprà come gesùsantissimo dirvi: ehi ehi, questa cosa ehm fa schi-fo! Fiu-uuu.

 

Non come me adesso, insomma. Che non so dove sto andando a parare. So solo che sto cercando qualcuno che scriva, ahahahahahaha.

No, giuro.

Ve lo giuro.

Ho smesso con gli adulti.

Passo ai bambini.

E questa è la modalità Humprey che ogni tanto sbuca fuori dai tempi in cui adolescente mi immedesimavo in Sam e non nelle fighe che piantavano Sam per il primo motociclista nazista che passava di lì.

No, dicevo.

Cerco scrittori per storie di bambini. Gli adulti, secondo me, han già troppo da leggere. Togli pure tutto quello spreco di alberi che si vede ogni giorno in libreria, vi giuro che potrei spianare a chiunque di voi chilometri e chilometri di scaffali immaginari con Morti Da Non Perdere.

Ma i bambini sempre secondo me han poi poco. Togli Harry Potter (che metterei invece nei chilometri-di-cui-sopra e da cui, lasciate fare va’, molti scrittori per adulti dovrebbero solo imparare), togli i regaz della via Pal, poi alla fine rimangon tante belle illustrazioni, cioè troppo artizzzztiche, rimangono lupi cattivicattivi, principesse buonebuone, coniglietti teneriteneri e tanti troppi vomitevoli topi. Topi topi e topi da fogna in tutte le salse. Ratti da fogna, uscite dalla mia libreria, maledetti topacci.

Voglio voi, scrittori ahahahahaha di storie per bambini, che non parlate puccipucci ai bambini, ma che almeno una stracazzo di volta nella vostra vita avete guardato i bambini per quello che sono: degli indiscutibili cacacazzo cui manca totalmente la cognizione di Dignità (si scaccolano tranquillamente in pubblico), di Società (interrompono ogni tipo di discorso, a tavola e non solo), di Prostata (mamma mamma cos’è la prosta-tara-tà-tà-tààààààààà ti sparo, sei morta), ai quali avete voglia di fare un regalo. Così, Giusto per farli crescere un pochettino.

 

Vogliate mandare le vostre proposte alla seguente mail (info | at | studiogradozero.it). Sarete letti, giudicati, sbeffeggiati, amati, scherniti, buttati fuori dalla finestra, dovrete crescere, dovrete troppo essere dei nostri, farete un fracco di cose, insomma, potete anche provarci. In fondo siete ancora vivi.

 

sabato, 06/12/2008

Una storia blu

Questa è una storia fatta di fili sottili di trama blu. Che sono luce che filtra ombrosa dalla finestra semichiusa, sono facce di ragazzi, sono la nebbia impalpabile del porto di ancona, e poi ancora i binari della cupa e vegliarda stazione di bologna, sono quella voglia di stare a dormire sotto le coperte blu. Per malattia, certo, non altro.
"E se il cuore sta bene
sarà sicuramente qualcos’altro a non andare."
Il libro inizia dalla sua copertina.
Lucidata uv. Vuol dire che qualcuno ha deciso di tirare a lucido minuscole parti dell’immagine di copertina, per dare loro rilievo. Qui la decisione è tutta logica, eppure impazzita, floreale. Qui la lucidatura disegna gigli. O forse sono fiori che crescono solo sott’acqua, contorsioni subacquee che ti fanno passare il dito su tutto quel blu a rilievo. E poi ci sono i fili.
Mentre leggevo, mi veniva in mente il tempo in cui si facevano telefonate, la cornetta appoggiata sulla spalla, il filo che si perdeva in un’intrinseca dinamica di muro, la mano che mentre si parlava disegnava veloce con una bic (blu) qualcosa su un bloc notes cui la mamma attribuiva previdenza di appunto ma che a lungo andare rivelava il suo inevitabile status di Oggetto Più Inutile Del Mondo.
Ecco. I fili che si disegnavano, tutti così paralleli, tutti così provenienti da una bic blu. Quelli che noi non sapevamo fare, qui ci sono, fatti bene, fatti giusti, fatti che ti incanti a ogni tavola a contarli, quasi.
Poi ci sono tavole bianche, perché sono le tavole del dolore. E di dolore ce n’è tantissimo, in questo fumetto.
"Cercai di riemergere in superficie senza toccare il fondo
come una sensazione di soffocamento"
La storia è una storia fatta su un filo solo. Una ragazza, con un male di vivere. Non è la solita storia da giovani, per giovani. Non è il solito scontorno di trentenni ammuffiti sui banchi delle medie e violentati dal lavoro in un call center. E’ una storia blu. Fatta di fili, come quei diagrammi cartesiani che se da bambino collegavi i numeri alle lettere veniva fuori qualcosa che non ti aspettavi.

 

Domenica l’autore di Quando tutto diventò blu, Alessandro Baronciani, sarà alla Feltrinelli Village di Parma, a presentare il suo ultimo libro. H. 17.00. Presenta gradoZero. partecipa Sergio Rossi.
Non mancate.

 

mercoledì, 17/09/2008

Quattordici o quindici cose che penso di lui. A proposito di un ragazzo prodigio.

 

LUOGO: BOLOGNA, EMILIA ROMAGNA, ITALY
DATA: 14 SETTEMBRE 2008
SOGGETTO: OVVIO

 

La prima cosa che ho pensato è che non è una cosa bella da far trovare a una moglie.
Voglio dire, no. Non è una cosa affatto bella. Ehi gente, io stavo in una farmacia comunale, voglio dire, stavo comperando la mia dose mensile di pillole anticoncezionali ed era il Giorno Del Mio Compleanno. Cioè, stavo proprio pagando le mie pillole, il Giorno Del Mio Compleanno. Quando me l’hanno detto. Il Giorno Del Mio Compleanno. Mi hanno detto: è morto. Gli auguri, quelli in un post scriptum.
Allora io dico: come, è morto. Non può. E invece mi dicono: ehi, mi dispiace. Mi dicono: impiccato. Auguri, mi dicono. Allora io dico: come, è morto. Dico: comunque uh grazie per gli_ E allora mi dicono: L’ha trovato la moglie non meno di due ore fa. Chiedo al farmacista che ore sono. Sono le undici e un quarto della mattina del Giorno Del Mio Compleanno. Il Nuovo Orrore.
La seconda cosa che penso è al fuso orario americano e a quanto la vita ruoti con la sua laica rigidità anche troppo intorno a un asse. Non. Esistono. Coincidenze.
Adesso però, grazie all’Orrore, c’è qualcosa di cui parlare che è più forte di ogni inibizione, come se fossimo tutti lì e avessimo appena visto lo stesso incidente stradale.
Credo che lo stiamo tirando un po’ giù tutti quanti da quella corda.
Una cosa che penso adesso, tra le tante, a mente sgonfia: diventerai il mio personalissimo Quattordici Settembre. Il Nuovo Orrore.
La terza cosa che penso è relativa ai Primi Cinque Minuti Post Orrore, ed è: perché nessuno me lo dice, perché nessuno mi sta vicino in questo blabla. La quarta ben più angosciante cosa che penso segue immediatamente la ben meno angosciante terza cosa che penso e cioè: perché me lo stanno dicendo tutti. E tutti a me. Il Giorno Del Mio Compleanno, ah, auguri, tra l’altro. Qualcosa come uhm n-esponenziale numero di sms, insomma questi barili di messaggi listati a lutto che mi dicono: è morto. E grazie al cazzo che è morto, lo so, cosa volete tutti da me. Perché mi sono tutti vicino in questo blabla, è la quarta cosa che penso.
La quinta cosa che penso è che non sono la moglie che lo ha tirato giù. Sono una vecchia sui tacchi che il Giorno Del Suo Compleanno sta comperando cose che hanno incredibilmente a che fare con la sua Già Di Per Sé Complicata Giornata e insomma, mi sembra già un tantinello difficilotta così, voglio dire, trascorrere il proprio invecchiamento cercando di porre un margine alla Possibilità Di Mettere Al Mondo Potenziali E Impiccabili Geni, ehi gente, qualcuno vuole compiere gli anni oggi. Insieme a me. E a Pier Vittorio (passato, diciamocelo, passato momentaneamente e uh uh neanche troppo ragionevolmente in disparte).
La sesta cosa che penso è che la farmacista ha insistito per darmene due scatole. Due, ehi, diciamolo pure, io sono perfettamente consapevole che, ehi lo so che che mio figlio mi tirava per la giacca, in farmacia, chiamandomi Mamma Sotto Shock, Mamma Sotto Shock, però uh, voglio dire, la genitorialità è l’ultima a morire.
Lui no.

 

Non è stato l’ultimo. Anzi, direi notevolmente precoce, il ragazzo prodigio.
La settima cosa che mi viene in mente è che tutto adesso mi sembra targato DFW. Uh, ecco la farmacista che mi impone: Non! Una! Scatola! Ma! Vagonate! Di! Anticoncezionali!, mio figlio che mi strattona: Mamma Sotto Shock!, Nicola che mi fa le condoglianze via sms, Michele che mi fa le condoglianze via mail, Socrì il tabaccaio che mi fa le condoglianze di persona, e mi regala un pacchetto di pall mall, tutto, capite, lo riuscite, ehi, lo riuscite minimamente a capire. E’ come se fossi uscita di casa con lo shampoo incrostato nei capelli. E avessi pianto per tutto il giorno.
L’ottava cosa che mi viene in mente è che secondo me ai suicidi dovrebbero dargli un’altra possibilità. Beh quelli mica si suiciderebbero di nuovo. Non parlo di tentativi andati a male, tipo Pessotto, poveraccio. Secondo me prima o poi ti torna la voglia, se non ci riesci. Finché bingo, olà, ce l’ho fatta, ueee guarda chi c’è ciao kurt, quasi non ti riconoscevo. No no. Parlo proprio di quelli che sono morti. Io se fossi dio li condannerei a un altro giorno sulla terra, da vivi, dopo il loro suicidio. Sono sicura che al ragazzo prodigio gli sarebbero bastate le stronzate di repubblica, on line e non, per dire, oh oh calma, io ci torno qui sulla terra con voi, Io Non Permetterò Mai Più A Nessuno Di Scrivere Queste Immani Cazzate.
La nona cosa che mi viene in mente è che avendo avuto sporadici e didattici e ormai Per Causa Di Un Mio Ineccepibile Calo Di Autostima Per Quanto Riguarda Il Mantenimento Della Mia Socialità Escluso Facebook decaduti rapporti con chi in Italia ha avuto un bel po’ a che fare con lui – fnuf – insomma a me non mi rimane altro che uscire dalla farmacia carica di antifertilizzanti e beccare il primo giornalaio della piazza. Che mi vende repubblica. Che apro ma non ci trovo niente. E allora lo compero il giorno dopo. Che mi serve per elaborare la mia
Decima cosa che penso: il ragazzo prodigio ha scatenato la Caccia All’Indizio. Siamo tutti diventati bravi, caro ragazzo prodigio, a
1- fare finta di aver letto tutto Infinte Jest e trovarci dentro gli Indizi Del Fatto Che Tu Volevi Blabla_
2- fare finta che eravamo tutti i tuoi migliori ami_
3- fare finta di essere bravissimi a ricordarti così come facciamo finta di essere bravissimi a ricordare uh Pazie_
4- essere pronti a scrivere reportage in cui tutti faremo finta di essere bravissimi a ricordarci il Dov’eri tu quando è succ_
5- proprio come kurt cobain.
Kurt Cobain sta al mio odio come le limonate di Vonnegut stanno alla mia adorazione.
Ehi, ragazzo prodigio, io se fossi dio ti direi: Ripensaciii… i…i… Io se fossi dio te la darei la Seconda Possibilità e guarda, stai sicuro che non lo_ eeeeeehi, ma dico, non vorresti ehi ehi non vorresti avere Tutte Le Possibilità Del Mondo, chessò, guardare con occhi sdruccioli la stagione in cui le donne dismettono le gonne estive, bere altre limonate, guardare per la n volta Lolita, sentire il, boh chessò secondo album degli boh chessò Spiritualized (a patto che sia effettivamente il secondo e che gli Spiritualized possano mai ragionevolmente raggiungere lo status di Band Che Raggiunge Lo Status Di Secondo Disco), perché il primo, ehi, il primo (a patto che sia effettivamente il primo) è davvero davvero bello, oppure ehi, non vorresti leggere, per esempio, non vorresti sapere. Sapere. Come. Andrà. Il. Tuo. Ultimo. Libro.
Io sì.
L’undicesima cosa che penso è che non leggerò mai più un tuo libro.
La dodicesima cosa che penso è: io se fossi dio, ehi ragazzo, guardami, perché non è che lo posso essere sempre, insomma beh, io se fossi dio perlomeno te lo impedirei. Il Giorno del Mio Compleanno. Non te lo permetterei. Sopportali tu, i loro "umorismo cupo", "angoscia esistenziale", "la morte non è la fine", io non ce la faccio.
La tredicesima cosa che penso è che la morte non è la fine io l’ho letto un botto di Quattordici Settembre fa. La quattordicesima cosa che penso è che ne La morte non è la fine non c’è mica scritto che ti suicidi, neanche ne La persona depressa c’è scritto che ti suicidi, perché scusa, nell’Aragosta? nellle incarnazioni? negli omini pulisci-vetri appesi lassù? e se me lo avessero pre-detto io non ci avrei creduto la quindicesima cosa che penso è che se mi avessero detto Leggi E Predici! Questo! Ragazzo! Si! Ucciderà! io avrei mandato tutti a cagare. La quindici o sedici ho perso accid_ perso il conto dannaz_ ho perso cosa che penso è che.
Sono triste.
Molto tri_
Niente di tutto questo è reale.
Va tutto a gonfie vele.
Non avrò più dialoghi con t_
Non avrai più dialog_
Non mi apparirai. Stavo facendo il
Ti apparirò. Magari mi vesto da tennista. Ti, ehi ehi bambina, ti apparirò come ti sono sempre apparso_
mio sogno peggiore. Non apparirai.Promettimelo. promettimi che mi appari.
Te lo promet_, ehi ehi, che c’è non ti fidi di me. piccola Lenore, ehi, io, voglio dire, io sono un uomo di_

 

lunedì, 12/05/2008

Ceci n’est pas un post per punti

A che cosa serva, domani a scuola da mio figlio, un pigiama, me lo devono spiegare. Non hai capito, mi dice la mia coscienza, leggi bene il diario.

“Tutti gli studenti devono essere muniti di un calderone in peltro, inoltre possono portarsi dietro a scelta un gufo, un gatto o un rospo”


Deficiente, continua lei, non Harry Potter. Il diario, ho detto.


E’ uguale, faccio io.


Ma guarda te di chi diamine dovevo essere la coscienza, io. Di una madre idiota, è chiaro


Taci taci! Stanno entrando a Diagon Halley


“Mamma, mamma, quando andiamo a Londra, quest’estate, mi ci porti a Diagon Halley”


“Tesoro. Se vuoi ti porto da H&M. Che è più o meno lo stesso”


Leggi sto avviso sul diario, cristosanto


Ok ok. Leggo l’avviso. “Lunedì 12 maggio lezione di Non Solo Scherma. Metto la tuta e porto una camicia da notte”


Una camica da notteeeeeee? “Una ehm camicia da notte, Tato?”


“No, no, scusa. Devo aver trascritto l’avviso delle femmine, scusa. Basta un pigiama”


“E che cazzo ci fate con un pigiama a scuola scusami eh?”


“Non dire le parolacce mamma”



Dal diario segreto di Tato


Stamattina mi sono svegliato di buonumore e quando mi sono alzato ho visto che il mio pelusc era asciutto, perché mia madre lo mette sempre in lavatrice e io mi arrabbio. L’ho fatto volare per tutta la casa, poi a scuola mi sono tolto la giacca e abbiamo iniziato a fare i compiti di mate. Poi in ricreazione ho vinto la timidezza e ho fatto il mercatino. Quando fu finita la ricreazione, la maestra ci ha fatto finire il problema che era durato per 30 giorni.





Tra i danni del liberismo, annovererei anche google.


Io per colpa di google non mi ricordo più un cazzo. Provate a invitarmi fuori per un aperitivo e parlarmi dei dischi della mia vita. State sicuri che mi ricorderò un titolo su dieci, cifra tra l’altro sulla quale sono basate tutte le Coversazioni Da Aperitivo Che A Un Certo Punto Virano Verso Le Liste Da Isola Deserta, mioddio, come sappiamo essere prevedibili, noi inclinati ultratrentenni quando ci mettete un martini in mano.


Insomma, a nulla sono valse le mie elementari dove, molto più democristianamente rispetto alla scuola radical freak di mio figlio, mi facevano imparare a memoria non tanto i padrenostri, quando i fieri sdegni di certi poeti di qua intorno.


Ecco, io è con fiero sdegno che sottoporrei una fiera cura ludovico a base di carducci alla madre di E. che alla riunione dell’altro pomeriggio ha insistito perché ai “nostri figli (sic) siano dispensate (sic) lezioni di informatica (siamo in seconda elementare, n.d.R.) soprattutto internet (sic)” perché “i nostri figli usano il computer solo come gioco (sic) e invece dovrebbero scolarizzarlo (sic) e imparare che il computer è anche (sic) Educazione (sic), Crescita (sic), Futuro” (sic).


Mioddio.





Dal diario di scuola di Tato


Portare colla


Portare penne cancellabili, una blu, una rossa, una nera.


Portare un oggetto di quando ero piccolo, NON VALGONO vestitini, vanno bene ciucci, biberon, tettarelle.





Tettarelleeeee? Ma Tato, io non ci ho più un cazzo di sta roba.


“Trova qualcosa mamma. Trova qualcosa, altrimenti tutti mi prendono in giro”


“Vado all’ikea e comperiamo un giochino e lo spacciamo per un giocattolo di quando eri piccolo”


“E lo zeitgeist, mamma? Non ci pensi mai?”





Dal diario segreto di Tato:


Ieri mia mamma è andata all’ikea per la seconda volta in due giorni. Io ieri mi ero annoiato quando ci sono andato, e mi hanno fatto anche una foto col vichingo che ho lasciato là, perché la mamma si è dimenticata. Comunque mia mamma l’è andata a prendere oggi, la foto col vichingo (perché ieri se l’era scordata) e quindi è tornata all’ikea. Già che c’era mi ha comperato un pelusc di quelli dell’ikea che si vede che sono dell’ikea di oggi e non di quando sono nato io. Quando la mamma è tornata dall’ikea ha avuto una crisi isterica e allora abbiamo guardato tutte le puntate di will e grace in dvd sul divano.





Io:


a) so a memoria Paolo e Francesca, con considerevoli buchi in mezzo (da poscia che ebbi il mio dottor udito a amor che nullo amato ci saranno qualcosa come centoventidue terzine e io me ne ricordo a malapena due)


b) so a memoria la nebbia agli irti colli, anche senza fiorello


c) ho ricordi vaghi e dolorosissimi dei rondinini che rimangono senza cibo, ma li accavallo indecorosamente con la cavallina storna.


d) vado spedita come un razzo su A zacinto (anche se in qualche verso mi ricorda clamorosamente il sempre caro mi fu)


e) non mi ricordo che devo comperare la colla per la scuola


f) ditemi una qualsiasi battuta di Will e vi risponderò come risponde esattamente Grace. In italiano, però.





Dal diario di scuola di Tato:


(a caratteri cubitali): PORTARE LA COLLA. TERZO AVVISO. STO USANDO QUELLA DEI MIEI COMPAGNI CHE SONO GENTILI E ME LA PRESTANO, MA NON E’ COSA BUONA. QUINDI CERCHIAMO DI COMPERARLA, PER FAVORE.





“E se portassimo un mio pelusc, mamma?”


“Ma neanche il tuo primo bavaglino andava bene?”


“Non è abbastanza un oggetto di ehm transizione, hanno detto le maestre. Meglio un pelusc. Il mio primo pelusc.”


“Il tuo primo pelusc è Procio”


“Procio Procione”


“Procio Procione, sì”


“Portiamo Procio Procione, allora”


“Portiamo Procio Procione, ma mi devi promettere due cose”


“Dimmi”


“Uno, spiegami subito a che cazzo ti servono tutte ste cose a scuola, il pigiama, Procio Procione, l’oggetto di transizione_”


“Procio Procione è un oggetto di transizione”

“Ok ok. E due: promettimi qui e ora che non lo chiamerai mai e poi mai Procio Procione davanti a tutta la classe. Cioè, non dirai mai_”


“Perché scusa? Lui si chiama Procio Procione. Sarebbe come se tu non volessi essere chiamata col tuo nome e ti chiamassero chessò Carmela”


“Carmela?”


“Carmela, sì. Perché non posso dire che lui si chiama Procio Procione”


“Perché Tato_”


“Sììììì???”


“Perché se ti sbagli, dici un’altra cosa”


“Cosa dico, diamine? Lo chiamo così dai tempi in cui mi volevi sopprimere perché non avevo una dialettica seria con te e piangevo sempre perché volevo la tetta”


“Dici un’altra cosa, con un’altra consonante. E dopo diventa una parolaccia”


“Che parolaccia?”


“Una parolaccia, Tato. Una stracazzo di parolaccia qualsiasi”


“Brocio? Trocio? Urocio?”


“Smettila subito. Ho detto consonante. E fila a letto”


“Grocio. Drocio. Ah, ho capito. Tu non vuoi che dico Zrocio”


“A! Letto!”





Dal diario segreto di Tato


Oggi io e la mamma facciamo Pigiama Day e allora ci siamo messi il pigiama e quando la mamma dormiva un poco nel riposino, io non ho dormito e ho giocato ai playmobil. I playmobil mi piacciono di più dei lego perché sono più da maschio, i lego invece una volta che metto i pezzi dopo non ci gioco più, e la mamma mi ha spiegato che non li fanno più i lego di una volta che si mettono i pezzi che possono servire a tutto, un pezzo lo puoi mettere in una casetta o in una astronave, era uguale. Ah beata mia mamma che ci giocava, coi lego di una volta. Comunque mia mamma è tonta, perché pensa che io non sappia cosa vuol dire Frocio, e invece me l’ha spiegato leonardo, cosa vuol dire, e mi ha spiegato cosa vuol dire anche coglioni vai a fartela dare in culo e toccare le tette. Comunque frocio non c’è niente di male, perché allora anche Will lo è, gli ho detto a leonardo, ma Will chi, mi chiede lui, Will di Will e Grace, ma cosa guardi in tivù tu, mi fa lui, Will e Grace, gli faccio io, e allora se n’è andato a giocare con carlo, che almeno guarda i dragonball, il pomeriggio alla tele.





L’altro giorno il mio fidanzato mi ha sgridato perché dice che non gli faccio mai “vivere dei dopocena”.


“Tu dopocena lo metti subito a letto”


Io al mio fidanzato gli vorrei dire di farli lui dei figli e poi dopo tutti i freeclimbing del giorno me lo viene a raccontare lui cosa deve fare subito dopocena.


“Certo che lo metto subito a letto. Non c’è momento migliore della mia giornata”, scherzo io.


“Non scherzare. Pensa a questo. Che noi quando eravamo bambini e ci tenevano in piedi dopocena, abbiamo visto alfredino. Lui no. Lui lo metti subito a letto e se continui così non avrà mai alfredini da ricordarsi”


“Io mi devo ricordare la colla, cazzo”


“Tuo figlio canta Charlie e non avrà mai alfredini. Pensaci”





Così una sera lo tengo in piedi.


“Mamma. Cosa facciamo davanti la tivù accesa a volume zero?”


“Facciamo il dopocena, Tato Guarda. Quello che vedi fra vent’anni diventerà una canzone”


“Chi è quella, con quelle due gran bocce?


“TATO, CHI TI HA INSEGNATO QUESTE COSE?”


“Chi è?”


“E’ un ministro, tato. Un ministro”


Sta zitto insieme alla tivù per un po’.


“Allora? Cosa ne dici? Idee? Suggerimenti? Curiosità del periodo?” gli chiedo.


“Cos’è il niente, mamma?” dice dopo un minuto.


“Andiamo a letto, tato.”


“No, perché se io chiudo gli occhi, voi mi dite che non vedo più niente, ma io in realtà vedo il nero. Il nero che vedo non è niente. Il niente, in quanto tale, dovrebbe essere tutto ciò che non è. Non ciò che è altro. Il nero è altro dalle bocce della signora. Se non vedo più le bocce della ministera_”


“Ministro, Tato, si dice ministro”


“Se non vedo più le sue bocce, vedo comunque qualcos’altro. E non vuol dire che le bocce non esistano più. Le bocce continuano a esistere anche se io non le vedo, e vedo nero_”


“Io ti sopprimerò. Prima o poi ti sopprimo. Ma per il momento ti metto solo a letto.”


“Ho capito! Ho capito tutto! Il niente non esiste, perché ciò che è è, e ciò che non è non è. Quindi il niente non può essere qualcosa, perché va da sé che se è qualcosa non può essere niente, e allora non è niente_”


“Cazzo, neanche oggi ti ho comprato la colla”


“_ perché se no sarebbe. Il niente sarebbe. Sono un genio. Buonanotte. Vado a letto”





Dal diario di scuola di Tato


Gentile sig.ra madre di Tato,


è con immenso rammarico che suo figlio verrà espulso da Hogwart, in quanto consumatore a tradimento di colle altrui. Da regolamento, al terzo avviso non rispettato, scade la possibilità di continuare a far parte di questo istituto. Le colpe dei genitori ricadono sui figli, lo sappiamo, è così dalle origini dell’uomo, da quando i figli di Adamo ed Eva hanno pagato per una mela proibita. Detto ciò, ci scusi, ma abbiamo tanto da fare, qui, e così poco tempo.

Arrivederci. Saluti al figliolo.

La direzione




[Il suddetto post ha come unica e indeclinabile utilità quella di essere riuscita a scrivere le parole “frocio”, “Harry Potter” e “I playmobil sono meglio dei lego” sul blog di inkiostro. Per il resto, ogni riferimento a fatti e persone non è purtroppo affatto casuale, bentornato ink, a proposito]

mercoledì, 12/12/2007

Francesca is playing at my house (my house) /3

Promemoria per madre natura: grazie

Quando è successo, ero in una palestra piena di palloni che palleggiavano.

 

Ho tirato su la testa, ho cercato mio figlio in mezzo ai palleggi, mi sembravano tutti uguali, quei palleggi di bambini, avrete tutti l’acne, intorno ai diciassette anni, e una qualche allergia a qualche tipo di derivato del latte, le femmine impareranno ad arrossire un attimo dopo di voi, ma non saranno mai in grado di metterla a canestro così come state facendo voi in questo momento. Perlomeno la palla. Vi sorprenderete al primo gesto carino che vi sarà rivolto e distribuirete baci con la stessa difficoltà (o facilità) con cui avete invaso il Kamchakta a Risiko, l’ultima volta a casa del vostro migliore amico, che nel frattempo sarà cambiato quella decina di volte e non temiate, avrà l’acne, l’allergia e un fracco di pensieri anche lui.

Ho guardato un po’ in mezzo a tutto quel sudore necessario, e l’ho trovato. Mi sorrideva, ed era diverso dagli altri perché aspettava che anche io gli sorridessi. E soprattutto non imbroccava un canestro.

È stato in quel momento che è successo. La fine del libro è arrivata.

 

Caro Coupland,
questi siamo noi, o meglio sono io, e ti devi fidare, visto che noi, o meglio io, non sono te, e certe cose non ci sogneremmo mai di scriverle. Ci piacerebbe, eccome. Guarda, te lo dico, io ogni libro tuo che inizio penso sempre: cazzo, questo è proprio è il libro che se fossi una scrittrice vorrei scrivere io. Poi quando finisco, mi finisce il mondo, insieme ai palleggi e ai pensieri quotidiani. Inizia l’apocalissi, a quel punto, nella mia testa, il mondo mi sembra sempre che mi debba amareggiarsi un pochetto di più a ogni romanzo. Per poi crollare in un collasso di nevrastenie scoperchiate, frasi da citare alle cene con gli amici, madri improbabili, figli che tu non hai mai visto sorriderti da dietro un palleggio, perché non ne hai tu, di figli, e mi piacerebbe tanto, cazzo, sapere come diamine fai a sapere così tanto di verità, quando dici cose come Non si è mai preparati al funerale del proprio figlio. Cazzo. È da quando quell’essere palleggiante in palestra mi è uscito dalla pancia, che vivo di questa assurdità da pensiero ignobile (sebbene abbia pensato di ammazzarlo più volte), di questo Conto Delle Probabilità Statistiche Per Cui Un Figlio Può Morire, e non si deve neanche dire, una cosa del genere.

Tu la scrivi. Tu fai morire qualcosa come tre quattro figli in un’unica, condensata voragine di esistenza pre-apocalittica.

Perché ci hai ingannati, quando con tutta la tua dolcezza lirica ci hai cullato preannunciandoci la fine del mondo nel centro commerciale.

La fine del mondo te la stavi tenendo al caldo con questo dannato meraviglioso fottutissimo libro che ho appena finito in un tonc tonc di linoleum e palloni. Tu, maledetto, scrivi che sembri facilissimo, da scrivere, intendo. Perché mica stiamo parlando del romanzo sul nazismo dal punto di vista del nazista. Macché. Non stiamo parlando di filologia da biblioteche francesi targata einaudi, qui. Parliamo di olocausti quotidiani.

 

 

 

C’è puzza di gomma, in palestra. I bambini sudano e puzzano di una puzza diversa dagli adulti, roba intollerabile uguale, intendiamoci, e il tutto si va a mischiare con l’odore della gomma delle scarpe da tennis, il linoleum rosso con le righe della lunetta scricchiola, i palloni palleggiano, le mamme gridano ai loro franceschi e leonardi, mio figlio non infila un cesto che sia uno, probabilmente Dio ha già fatto come dire parecchie scelte sui suoi futuri campioni di basket, io non sono agitata, faccio solo una x sulla lista di cose che mio figlio non diventerà, e ci divertiamo anche, io e lui, per ora abbiamo scartato senza indugio alcuno il disegnatore, il saltatore con l’asta, il saltatore in alto, l’attaccante alla paolorossi, Totti, il campione di basket da due minuti, rimane in buona posizione sempre un Johnny Depp versione pirata idiota, il matematico puro, il lettore di tolkien, il collezionista nerd di figurine, il cantante dei Pixies.

Bisogna abituarsi a convivere con il proprio dolore, sembro suggerirgli mentre Gianluca, due anni in meno di lui gli fotte la palla da sotto il naso e va liscio a canestro.

Avrai un fracco di dolori, il primo su tutti saranno i canestri che non vanno a segno, mentre Gianluca sì. Poi arriveranno nonni che ti muoiono, e quando avrai finito tutti i nonni, cominci con le ragazze. Ci saranno le sparizioni, le ricomparse, le comparsate, i passanti, o i semplici pedoni che ti attraverseranno la vita senza guardare le strisce, e ci sarà un momento in cui giocherai tantissimo col tuo gloriometro personale, e la smetterai quando scoprirai il gloriometro di un qualsiasi Gianluca più piccolo di te che funzionerà molto più ad hoc del tuo e a quel punto probabilmente vedrai lo sguardo di una ragazza come non l’hai mai visto prima, comincerai a capire l’importanza della confidenza, di un bacio rubato, della nouvelle vague tutta quanta, compreso quel rompipalle di Romher, e da lì a pochi attimi sarai già dentro a una palestra, a guardare il tuo, di figlio, che cannerà ogni rimbalzo e ti metterai le mani nei capelli, perché tu sarai il padre, e i padri, si sa, a certe cose ci tengono un casino.

 

Sarai pronto per passare direttamente da Tolkien a Coupland. Come ha fatto un mio amico che in questo momento ospita i miei pipponi su di te e sulla fine del mondo che coincide inaspettatamente con la fine di un libro e questo mio amico non si sogna minimamente di averci una relazione con me, benché mi ospiti, a me e ai miei pipponi, e nonostante quello che il mondo vivente, affranto, non-finito, pensi di noi.

Stiamo nel tempo da cui certi figli e certi nonni se ne sono andati, ma nel quale noi tutti viviamo aspettandoci il peggio. Per esempio il funerale di un figlio. O, ancora, di un nonno. Ci sorprendiamo ancora, se qualcuno ci tratta male, se uno scrittore ci massacra, se c’è un massacro a scuola, se continuiamo a vedere le cose come sempre. Perdendole. Con vaghe e irrisorie possibilità che ci vengano rese indietro, poi. Quando saremo dall’altra parte del sole sbagliato, quando il peggio sarà passato, e tu sarai preparato, figlio mio, sarai preparato perché tua madre, malgrado Coupland e Nostradamus, ai miracoli non ti ci ha per niente abituato,

Promemoria per Madre Natura: grazie, dirai. E te ne andrai per la tua strada. Sparendo, come tutti.

 

[Douglas CouplandHey Nostradamus (Frassinelli)]

 

mercoledì, 14/11/2007

Francesca is playing at my house (my house) /2

 

Se giocassimo e basta

Voi non lo sapete.

Sto parlando di 11,3 cm di tacco sul viale.

Aspetto inkiostro.

Mi dice dieci meno un po’.

Dieci Meno Un Po’, nella mia ottica di Esemplare Di Femmina Etero Che Ha Appena Comperato Undici Virgola Tre Centimetri Di Tacco, ecco, sul viale, vuol dire sostanzialmente Puntualità.

Puntualità sti cazzi.

“Scusami. Dovevo aggiornare il blog”

“Ma che cazzo dici. Il tuo blog ormai lo scrivo io”

 

Appunto.

 

Undici Virgola Tre Centimetri.

 

Sul palco, a poco più di undici virgola tre centimetri, ci sono Loro.

La ragazza del merchandaising di altri venti concerti mi fa Ah Ma Tu Sei Quella Che.

Poi mi guarda dietro. Dietro di me non ho code, oggi, provo a dirle. Mi fa uno sguardo deluso. E dire che è anche Halloween, sembra suggerirmi. Ma avevo promesso a inkiostro, quello del blog, insomma gli avevo promesso che avrei scritto due parole sugli Amari senza nominare la parola “bimbo”.

 

Quindi:

“Mio figlio” non c’era. Era Halloween, sì. Ma lui non c’era perché secondo me me lo pestavano, stavolta.

“Mio figlio” mi stava aspettando a casa, con la sveglia in mano, ti sembra questa l’ora in cui tornare, mamma.

Guarda Tato, hanno riarrangiato il campo minato, poi c’erano i new order sotto conoscere gente suprema, ma niente spade laser colorate al neon. Solo un gran sbarluccicare intorno al Batterista Enrico.

Fanculo mamma. La prossima volta mi ci riporti.

E se ne va a letto.

Posso dire “mio figlio”, vero inkiostro?

 

 

“Sono almeno dieci concerti che il giro di basso è quello di Blue Monday

Bene.

Una volta andai con inkiostro, sempre lui quello del blog, a vedere gli Xiu Xiu. “Ma a un certo punto lei canta, no?” continuo a convincermi sottovoce nel chiostro tetro, mentre intorno a me gente a caso soffre tantissimo, compreso il tizio degli Xiu Xiu.

A un certo punto lo chiedo anche a inkiostro: Alla prossima lei canta, gli dico, ecco, adesso, sì, lei, dico.

Avevo scambiato un concerto degli Xiu Xiu con gli Yeah Yeah Yeahs.

 

Sono secoli che il giro di basso è il giro di basso dei New Order. Bum-bum-bururburuburu-bum. L’avete capito, no?

L’avrebbe capito anche “mio figlio”. Se solo l’avessi ri-portato.

 

Non capisco solo una cosa. Il nome Amari, beninteso, è splendido, con tutto quel carico chilometrico di polisemia che si porta dietro. Ma le cose amare non piacciono ai bambini. Questo non capisco. Il concetto di amarezza è estraneo ai bimbi (si comincia intorno ai quattordici, direi), e i più grandi consumatori di Lucano o Averna sono non i veterinari come ci vorrebbero far credere, ma gente che ha mangiato e sofferto troppo. Cioè, sia detto per inciso, secondo me al tizio degli Xiu Xiu, che ricordiamolo non è uno Yeah Yeah Yeahs, un Montenegro davvero gli farebbe digerire un fracco di cosucce.

Eppure gli Amari piacciono un fracco ai mocciosi. Troppo facile dire che Loro stessi sono bambini che come tutti i bambini si divertono un casino a fare cose da grandi.

E secondo me già non è più così vero. Cioè, secondo me Loro sono davvero adulti. Io credo che gli Amari siano adulti e la prossima volta che incontro Dariella gli voglio dare del lei, cazzo. Un ragazzetto non accetterebbe mai di parlare con la voce e la mente di una femmina. (Arpeggiinlove, per chi ha bisogno di baricchianesimi). Nel nuovo disco dicono un fracco di parole, e una di queste parole che dicono tantissimo è odio/odiare.

I bambini, quando fanno queste cose le fanno per bene, non odiano mai. Si arrabbiano. O al massimo si sbraccianooooo.

Ci siamo. È un attimo che adesso parto con la tesina in scienze di sticazzi: il superamento del nichilismo nietzsciano, un’analisi sottointegrata di Scimmie d’amore, e sì, d’accordo, come dice “mio figlio”, in questo disco gli Amari si incazzano tantissimo con qualsiasi cosa. Con le gite fuori porta, con le femmine, con le femmine raffreddate, con le femmine gnagne, con le femmine stupide, con le femmine che reclamano sguardi. Poi vogliono giocare a nascondino come non hanno mai fatto (da bambini), cristo, capite. Questa è una palese nonché inevitabile ammissione del tempo che gli si è solcato addosso, cazzo. Altrochè spade laser. Barbe bianche finte, la prossima volta.

E diamogli tutti del lei, cazzo.

 

Mio figlio 30 anni che non ci vediamo è l’unica che non la canta. Secondo me non la vuole imparare apposta, perché non vorrà mai arrivare a doverla cantare. Ma ha solo sette anni. Ne scorre di acqua, sotto alla braga. Lui si sbraccia, e si annoia, e quando si annoia, me lo dice.

Ma non è mai amaro. E non odia niente. Io, invece, odio tantissime cose.

È fico. Essere bambino, dico.

Bambino. Non bimbo. Ho promesso a inkiostro di non scrivere la parola bimbo.

Già.

 

Get Black – Mamma non dire merda #5 + Amari – Campo minato (MP3)

Amari – Le gite fuori porta – video (link > MySpaceTv)

Amari – Mariottide @ Le gite fuori porta – footage (link > YouTube)

 

martedì, 30/10/2007

Francesca is playing at my house (my house)

 

Da oggi Inkiostro cambia.
O forse, come direbbe Coupland, non fa altro che diventare sempre di più se stesso.
Da oggi, e a cadenza rigorosamente casuale, Inkiostro inizia ad ospitare anche firme diverse da quella del sottoscritto; Blogger in fuga dal proprio blog, penne valenti in cerca di una casa, nomi eccellenti (o presunti tali) che non stonerebbero su queste pagine, e soprattutto illustri sconosciuti che non hanno necessariamente qualcosa da dire, ma che sanno come dirlo. La prima che troverete (speriamo spesso) su queste pagine è Francesca, formerly known for Studio GradoZero. Là dove si incontrano i Radiohead, Kubrick e David Foster Wallace.
Buona lettura.

 

 

How to re-appear completely

 

Il mio migliore album dei Radiohead è Amnesiac. Perché da sempre sono una fighetta. Chi è nostalgico sceglie Pablo Honey, chi è originale sceglie The Bends, chi è tradizionale sceglie Ok Computer, chi vuol fare l’intellettuale sceglie Kid A, chi vuol fare l’annoiato sceglie Hail, ma noi, noi fighetti lo sappiamo.
Io so, per esempio, che le insopportabili trombonate alla fine di National Anthem, sono trombonate insopportabili, appunto. Che Street Spirit dopo un po’ che l’ascolti è una gnagna tremenda. Hail to the thief potrebbe davvero essere l’innarrivabile disco, e con tutta probabilità lo è.
Un capolavoro. Il capolavoro. Ma io scelgo Amnesiac. Perché sono fighetta. Ed è anche quello che ho ascoltato di meno, si dice così, no?
 
I Radiohead per me sono come quel monolite. Sì, insomma, stanno lì.
 
La mia migliore canzone dei Radiohead è 2+2=5, perché sono una fighetta e oltretutto sono UDQFCDSUCDRCNSNMDDR. Vale a dire Una Di Quelle Fighette Che Deve Scegliere Una Canzone dei Radiohead Che Non Stia Nel Miglior Disco dei Radiohead. Chi è nostalgico sceglie Creep, chi è originale sceglie Fake plastic, chi è tradizionale sceglie Paranoid, chi deve trovare il titolo di un post sceglie How to disappear, chi fa l’intellettuale sceglie Pyramid Song.
Pyramid Song è un trionfo. Non si capisce cos’è. Come il finale di 2001. Come il monolite. Non lo sai, dove quando e in che camera immaccolata della tua esistenza va a finire.
 
Ma 2+2 sono tre canzoni in una. Un delirio. Mio figlio la canta ancora. PAY ATTENSCIONNNN. E pensare che Luca la prima volta che gliel’ho fatta sentire aveva capito PENETRESCIOOOOON.
 
Altre cose, in ordine sparso. Non ho pretese di giornalismo musicale, me ne infischio se prevalgono le chitarre o l’elettronica, non so un cazzo di missaggio. Ho una foto di Thom Yorke sbrodolato di cioccolata sul mio frigo. E una di profilo che non gli si vede l’ochio sblisgo ce l’ho in studio. Ho un grafico che attribuisce improbabilmente frasi sconce a Thom Yorke. Penetration, sì, lui. Una volta Luca mi ha detto, e vabbè, coraggio, educami. “Ho tutti i dischi originali” gli ho detto.
Luca lavora con me.
“Ho questa cosa che con loro mi devo sedere sul divano, mica qui” dico alla scrivania.
“E dedicare quel-tempo-lì. I tempi di un divano” dico “per sentire il disco.”
 
Che, nel caso non si sappia, è il disco nuovo.
 
La mia canzone del disco nuovo dei Radiohead è Weird Fishes, vale a dire Arpeggi. Perché sono una femmina. Chi è ritmicamente avanti dice 15 steps, chi ama The Bends dice Bodysnatchers, chi è radioheadiano da una vita ha riconosciuto Nude, chi fa l’originale dal divano in ritardo dice Faust Arp, chi è innamorato dice All I need.
Arpeggi è la meno nuova, e per questo è una canzone che invecchierà. Una canzone femmina.
 
A me i Radiohead mi fanno l’effetto di Kubrick.
 
 
 
Certo che Reckoner spacca. È la mia preferita. No, avevo detto Arpeggi, gesù. Arpeggi mi morirà fra le mani esattamente fra dieci giorni, ci scommetto. Come le femmine. Quando il telecomando del vai-avanti-veloce onora il tempo speso ad ascoltare dieci volte al giorno gli stessi arpeggi e le stesse ovaie consumate, allora sì, si invecchia tutti insieme. Noi, la canzone, il telecomando. Non si consuma più niente, puntine, solchi, ovaie, no. Semplicemente si invecchia.
 
Sono invecchiata quando il videonolo sotto casa mia mi negò andreottianamente Arancia meccanica. Avevo solo diciassette anni e cinque mesi, il bollino rosso recitava chiaro. Decisi di invecchiare veloce. Invecchiai più veloce che potevo di sette mesi, perché era diventata ormai una questione di principio. Quando lo vidi, a diciott’anni e un’ora, invecchiai di botto altri dieci anni. Come in quel film con Adam Sandler, presente. Dove lui c’ha il telecomando esistenziale per andare avanti veloce fino ai momenti cruciali della sua vita ma poi si incasina e diventa vecchio all’improvviso e rimpiange un casino il lento scorrere del ciclo ovarico della moglie.
Ecco, a me Arancia meccanica mi ha fatto quell’effetto lì. Io quel giorno dal videonolo c’avevo il mio tempo tutto fra le mani.
 
Devo smetterla di andare avanti veloce e ascoltare solo Arpeggi. Sul posto di lavoro poi.
Luca sta cerchiando su Abitare Bologna Ovest appartamento semiarredato due camere sala bagno come nuovo parquet cantina posto auto stendino incluso.
“Siete in due?” gli fa l’agente immobiliare al telefono.
“Sì”
“Cosa fa sua moglie?”
“Il fotografo” risponde lui.
 
Arancia Meccanica non l’ho più visto da allora, per paura di invecchiare ancora. O di fare invecchiare lui, il film.
Però l’ho fatto vedere a mio figlio. Dai, se le infinite possibilità di accompagnarlo al cinema, per me, spaziano fra Narnia o Cars, mi dico, meglio educarlo bene fin da subito. Non si può perdere tempo con film inutilmente confezionati, blandamente educativi, roba che non ti rimane. Già mi lavo i denti tre volte al giorno, voglio dire. Mi basta, in quanto Perdita Di Tempo. Meglio accelerare, mi dico.
 
Così l’altro giorno l’ho rapito da atletica e l’ho buttato sul divano davanti ad Alex.
“A un certo punto della nostra vita, ci dice Proust” gli urlo mentre lui piange e ulula perché era nel bel mezzo di una staffetta vincente e perché effettivamente la cura ludovico gli fa un tantinello paura “a un certo punto tutti quanti noialtri staremo sui trampoli e vedremo Tutto Quello Che E’ Passato Di Noi e tu vedrai il tempo perduto nelle staffette, vedrai l’ombra di un fiore nell’amore per la Francesca di 3a B, userai le parole “cura ludovico” molto più di quanto adesso non credi, scorgerai da lassù il tempo concesso sul divano ai monoliti. Il tempo che hai passato con me sul divano non è perdita. Loro, i monoliti, non saranno invecchiati. Io invece, con tutta probabilità, avrò il catetere.”
“Ma la mia squadra stava quasi vincendo cazzo”
“Non dire parolacce. Mi ringrazierai. E già che ci siamo, guarda, segnati anche questa cosa. Quando ti chiederanno se il mondo blabla quali sono le cose blabla che ti porterai nell’isola blabla, ti consiglio di trovarti cose immortali. Non dire le cose che ami di più. Dì le cose che non ti invecchiano.”
 
E adesso ascoltami. Serio, però.
 
Allora, la prima cosa si chiama 2001. La tua nonna dice che è una palla mortale e ha ragione. Ma nella noia trovi mille motivi di esistere. Questo è quello che penso. Che sia chiaro, il mio film preferito è tipo Snakes on a plane. Ma io sull’isola blabla non mi ci voglio divertire. Voglio far passare il tempo senza invecchiare. 2001 non mi invecchia, perché come disse una volta il tuo compagno Leonardo di 1a B, le scimmie siamo noi.
E voi bambini avete bisogno della noia, per capire quanto grandi e vecchi siano i Dragonball, per esempio.
Quando sarete grandi, i Dragonball saranno come per noi Mazinga e i remix delle canzoni dei cartoni animati. Una tristezza inconsolabile. Però i Dragonball vi hanno portato avanti, vi hanno fatto fare quel gradino in più su un’eventualmente antologizzabile linea del tempo, ma tu non diventerai mai, giuramelo qui e ora, non diventerai mai uno Scrittore Antologizzabile In Una Linea Del Tempo. Tu sarai astronauta, e dirai che la prima volta che ti sentisti vecchio fu davanti ad Alex che cantava sotto la pioggia, colpa di tua madre che non ti portava ad atletica per farti vedere i film di kubrick, tua madre ormai col catetere che (non) ti aspetta (più) a casa.
 
L’inizio e la fine sono qualcosa che ostacola la natura dei monoliti. Trovatemi un inizio e una fine mosci in un disco dei Radiohead. Iniziano senza volere e finiscono senza invecchiare. Personalmente adoro i libri che iniziano faticosi. Quando alla seconda riga sembrano pochissimo seducenti. E alla terza già esclami “piuttosto Faletti”. E di norma, quegli stessi libri, finiscono struggenti romanticamente latenti, foscolianamente inquieti. Non finiscono, insomma. Ti lasciano lì, con la tua ultima amara pagina in bocca e il tempo che si avvolge pericolosamente su se stesso, il tuo tempo, qualcosa che sai che insomma continuerà a darti il tormento per tutto il resto della tua esistenzialmente telecomandata vita-del-cazzo-senza-mai-più-libri-da-leggere. Perché è ovvio, dopo che hai finito quel libro che inizia scontroso e finisce per travolgerti, alla fine insomma non leggerai mai più nient’altro.
 
Ecco, a me i Radiohead fanno quell’effetto lì.
 
“Ma perché li ascolti” mi chiede mio figlio.
“Nessuno ha bisogno di invecchiare” rispondo io. “Semplicemente non riesco a togliere lo sguardo dal monolite.”
 
La seconda cosa sono i Radiohead-Tutti-Insieme. Non posso più disonorare il mio tempo con la difficoltà di una scelta non voluta.
“Tutti insieme tutti insieme” frigno con mio figlio.
“No. Uno solo, mamma.”
“Col cazzo”
“Non dire parolacce.”
“Loro non compiono mai gli anni” dico a mio figlio. “Non spengneranno mai candeline nella loro vita.”
“Uno solo, mamma.”
“Loro finiscono senza voler finire.”
“U-no-so-lo”
“Dopo Kid A c’era per forza Amnesiac. Dopo Ok Computer c’era per forza Kid A. E così via fino a_”
“Uno. Cosa ti costa, cazzo”
“Non dire parolacce. Mica hanno finito, sai. Io lo so che non finiscono. Perché sono senza tempo. Non han mica finito, dopo Hail to the thief c’era per forza In rainbows. Dopo In rainbows c’era per forza, c’è per forza, c’è per forza_”

 

(continua)

 

Radiohead – Weird fishes/Arpeggi (MP3)