venerdì, 14/05/2010

Il punto omega del rock’n’roll

di

 

Tutto comincia, forse, all'incrocio tra East Houston e Essex St., al 217. Tra i posti di New York in cui ti capita di sentire buona musica, in questi ultimi anni, è il più piccolo e il più dimesso. Più buio e un po' più sporco della Bowery. Forse più prezioso. Forse ti trovi a New York per vacanza. Non puoi certo ripartire senza esplorare il groviglio di bar e scantinati scrostati che c'è lì intorno. L'odore è più o meno uguale dappertutto. Forse non sei in vacanza, ma ti ci hanno mandato per lavoro. Forse fai un lavoro del cazzo, ma in quel momento non è la questione prevalente. Forse quella geografia notturna, buia, sporca al punto giusto, l'hai trovata disegnata su una qualche guida commerciale, ma non vuoi ammetterlo. Ti sei convinto che New York è, tra le città che hai visto, l'unica che esiste davvero. Il vapore che esce dai tombini, ad esempio. Basta quello a sparigliare i sillogismi prudenti, cauti, noiosi, di chi non capisce di cosa stai parlando. Il vapore che esce dai tombini è fisicamente inconfutabile. Forse a qualcuno l'hai pure indicato col dito, ineluttabilmente. Forse hai usato questa parola, ineluttabile, per spiegare la differenza che c'è tra una città qualsiasi, una citta vera qualsiasi, e una città reale, una città che esiste davvero. Che poi è solo questa, ne sei convinto. Forse hai detto ineluttabile o forse hai solo indicato il vapore; o il colore di un'ombra qualsiasi.

 

Forse hai ricominciato a fumare, il che è un fallimento per il bon ton contemporaneo e un errore contro la tua placida autopreservazione. Forse la band di supporto ha finito e tu sei risalito su per la scaletta di ferro e ti sei concesso una sigaretta e stai cercando di mettere a fuoco la situazione. Forse hai la schiena poggiata al muro e c'è stata una pioggerella che lucida le traiettorie dei taxi sulla Houston. Forse vicino a te c'è la stessa ragazza che stava vicino al palco, ma in disparte, e ha l'evanescenza incurante di chi potrebbe o, con la stessa esatta precisione statistica, potrebbe non essere lì. Forse le chiedi qualcosa; o le accenni le tue idee sulla realtà di New York. Forse le dici persino la verità, cioè che lei è puramente e semplicemente trascendente. Le parli dell'esattezza statistica. Forse lei ti conferma la tua intuizione: potrebbe trovarsi lì ma potrebbe anche non trovarsi lì e sarebbe ugualmente naturale e ugualmente necessario o ineluttabile.

 

 

Il gruppetto che suona stasera, ne parlano tutti. Tutti quelli che leggi tu, almeno. Ma sai che presto ne parleranno anche altri. Hai la consapevolezza di assecondare il movimento storico della musica in tempo reale. L'evoluzione storica. Lo spirito del tempo. Hai la consapevolezza di essere un testimone oculare e anche di più. Contribuisci, in verità, a creare quello stesso movimento di cui vuoi essere testimone. La tua coscienza si nutre di quel movimento, e lo amplifica. Ne parli, ne scrivi, ti focalizzi sul momento storico. In verità, se ci pensi bene, non ne sei testimone, non lo vivi per davvero. Nessuno sano di mente vive il presente pensandone l'essenza storica, il dinamismo, vedendone il precedente e indovinandone il successore. Nessuno sano di mente vive il presente incastrandolo in una serie matematica ipotetica, un modello teorico, che ne estrae il senso relativo. In realtà, se ci pensi bene, sei uno dei tanti agenti che moltiplicano la coscienza di quel movimento. Non ti dimeni solo per il senso del dimenarsi. Non gusti il pezzo solo per il senso del pezzo. Senti e gusti altre cose. Il contesto, ad esempio. Senti il senso del contesto. Quello scantinato scrostato, quella gente. Mentre lanci un'esclamazione al chitarrista, senti anche questo: lo scantinato scrostato, la gente. Sai che questo aggiunge senso al suo assolo. Poi ti concentri sulla serie matematica. Sai che questo disco è uno snodo. Sarà uno snodo. E' un'ipotesi teorica. Vedi i dischi che lo precedono. Vedi quel disco del 1983. Raddrizzi il modello ripulendoti le labbra dalla schiuma leggera della birra. Senti anche questo, nel contesto, la birra. La marca della birra. L'accento di chi ha ti ha passato la bottiglietta. La sua t-shirt bianca. L'immaginario contemporaneo è saturo, lo sai. L'immaginario è più potente dell'esperienza elementare. Anzi, non c'è più nessuna esperienza elementare. Il vapore dal tombino, quello, esiste solo in quanto riproduzione di quello che sai già da bambino. La realtà è fantasmatica. Non riesci ad avere nessuna esperienza. Te ne sei accorto questa sera. Sapevi che sarebbe successo, sapevi della complessità che si accumulava. Ma non pensavi che avresti raggiunto il limite. Adesso senti il vincolo di quella topografia finita. Esaurita.

 

 

Forse lo dici alla ragazza trascendente, forse no. Forse le dici che Pitchfork nell'ultimo mese ha recensito centocinque nuovi dischi. Forse lei è stupita, forse no. Le dici che centocinque nuovi dischi in un mese fanno milleduecentosessanta dischi in un anno. Le dici che in dieci anni sono dodicimiladuecentosessantadischi. Le dici che non è irrealistico pensare che Pitchfork in  dieci anni recensisca centoventiseimila brani. Forse non glielo ancora hai detto, in realtà. Forse non le hai neppure detto che lei è trascendente. Stai ancora con le spalle al muro e vedi l'umido dell'asfalto che concorre al colore del movimento dei taxi. Cerchi di estrapolare un'opinione personale su questa impasse. Conti che in altri dieci anni i dischi sarebbero molti di più. Trentamila, forse. Trecentomila brani, più o meno. La storia cresce di complessità. Ogni volta che tu trai senso da un piccolo particolare del contesto – l'odore piccolo e acre della schiuma leggera della birra sul tuo labbro superiore – la complessità aumenta. La tua coscienza si complica. La coscienza dell'universo cresce. Sapevi che sarebbe successo. La geografia della complessità è finita. Forse non hai ancora tratto le tue conclusioni fino in fondo. Forse vorresti parlarle di Pierre Teilhard de Chardin, gesuita francese, e della sua teoria sul punto omega. Il massimo livello di complessità e coscienza verso cui l'universo evolve. Forse lei si è allontanata. Forse non è mai stata lì. La cosa non ti turba. Sei consapevole che la densità dell'universo è irresistibile. Forse d'ora in poi tutto accadrà e non accadrà. Tutte le possibilità sono contemporaneamente attuali. Forse, a pensarci bene, non è ancora successo nulla di tutto ciò, e lei è lì e legge qualcosa su di un quadernetto scuro tirato fuori da una borsetta di stoffa verde.

 

Eppure sai che non è semplice tornare giù per la scaletta di ferro e concentrarti sul live di questo nuovo gruppetto. Sai che la serie teorica si dipanerebbe immediatamente con tutte le sue complicazioni e ipotesi evolutive. Concentrandoti a sufficienza potresti vedere, all'inverso, sino a Old to Begin dei Pavement, da Brighten the Corners, 1997. Lo sapresti. Lo saprebbero loro, che suonano. Le note stesse, che poi sono frequenze misurabili, sarebbero fisicamente impregnate dei loro antecedenti. Facendo uno sforzo potresti ricalcolare all'inverso sino a She's so Fine dei Flash Cadillac & the Continental Kids, 1972 e forse all'omonimo pezzo dei Cleftones, 1958 e forse a Would I Be Crying dei Flamingos, 1955 e forse a Ethel Waters. Concentrando la tua attenzione, potresti calcolarne i successori probabili o necessari, profetizzare il movimento della storia. Dovresti ripulire la mente da smagliature, duplicazioni, riccioli di suono accidentale, riverberi involontari. Ogni volta è più difficile. Ci sono più strati, ingorghi. La prossima volta sarà impossibile. Nessun futuro. 

 

Dovresti rivedere al contrario la fisica di Teilhard de Chardin. Riavvolgerla su nastro. Forse lo spiegherai a lei scribacchiando delle cose su un tovaglionino macchiato di caffè, su un tavolino di un bar vicino all'Hudson. O forse sei già tornato in Italia e lei è venuta con te. O forse, più probabilmente, sei ancora là fuori, con le spalle poggiate al muro, finendo la sigaretta. Riavvolgere tutta la complessità sino a un punto dalla densità minima. Ritirarti. Semplificare. L'idea, solo il suono mentale di quest'idea, ti dà tutto il senso della libertà. Della salvezza. Capisci subito che è inevitabile e salvifico. Ritirarti dalla stratificazione, dal movimento, semplificare. Far precipitare tutto verso una densità minima, una complessità minima.

 

 

Ti libererai per prima cosa dei dischi pretenziosi. Hai capito da un pezzo che la complessità è già nelle cose involontariamente. E cresce, cresce famelica. Creare appositamente complessità è una finzione. Ti libererai per prima cosa dei dischi inutilmente complicati, fumosi, teorici. Non sarà una grande fatica. Non li ascoltavi da tempo. Forse non li hai mai ascoltati davvero, ma non potevi non averli. Ti libererai dei suoni inutilmente ricercati. Farai giustizia di tanti fenomeni sopravvalutati. Poi passerai alle eliminazioni più delicate. Intere discografie cadute in disgrazia. I Pink Floyd, ti stupisci di averli lì, impolverati. Il progressive. Fragile. Il jazz non l'hai mai capito: forse un po' ti dispiaceva anche non apprezzarlo, perchè aveva quell'allure che lo faceva sembrare degno della tua attenzione. Cadono scaffali e interi gigabyte: decine di gruppi derivativi, decine di gruppi che hai ascoltato per provare com'erano – ed erano piacevoli, a volte il ricordo è anche vivido. Cadranno prima o poi anche i tuoi gruppi preferiti, lo sai, è inutile negarlo, la densità minima aspira all'essenziale e tra l'inessenziale ci sono momenti importanti, piaceri sottili e acuti della tua storia privata. Ci saranno dei dolori che meriteranno interi giorni di convalescenza: quando finiranno nel cestino Confusion is Sex, Different Class, Kill the Moonlight, Is This It, Turn on the Bright Lights, Kid A, The Queen is Dead, Doolittle, London Calling, Marquee Moon, Let it Bleed. Ci vorranno settimane per pianificare e poi digerire l'eliminazione di Daydream Nation, Psychocandy, OK Computer, Unknown Pleasures. Però succederà, lo sai. L'inversione, la marcia di ritorno dal soffocante punto omega – la topografia chiusa e asfissiante della complessità. Eri paralizzato, ricordi? La coscienza aveva raggiunto il suo punto ultimo. Tu, gli altri. Intorno a te era tutto già accaduto, tutto già successo. Il calcolo combinatorio si era arreso alle sue finite possibilità. Nulla poteva più succedere. Non più una nota, neppure un pensiero. Eri a un passo dal buco nero. Hai dovuto farlo. Eri immobilizzato dall'impasse dell'universo intero. Eri fermo, con le spalle appoggiate al muro, guardando i taxi sulla Houston. Forse sei ancora lì, in realtà, ma sai già tutto. Sai già cosa succederà. Sai già qual è la via d'uscita, la fuga, la liberazione. Tutto si semplifica e la densità evapora. Prima la mappa si scontorna, poi interi blocchi si sciolgono. Ci vogliono giorni, ci vogliono mesi. Forse ci vogliono decenni.

 

Forse lo farete assieme, tu e la ragazza trascendente. Lei capirà. La tua insopportabile immanenza si schiarirà, giorno dopo giorno; mese dopo mese; anno dopo anno. L'universo è più semplice. Forse sarai solo, invece. Forse lei non è mai risalita su per la scala di ferro. Non è mai uscita fuori per fumare. Forse è rimasta vicino al palco, in disparte, appoggiata alla parete, in attesa del cambio del set. O forse non c'è mai stata, ti eri sbagliato: il tuo sguardo intento al momento presente, la tua mente concentrata sulla schiuma leggera della birra poggiata sul labbro superiore. Forse sarai solo. Ma sai già come finirà. Lo sai già lì, mentre finisci la sigaretta e fissi l'umido sull'asfalto della Houston. Sai già che dovrai dimenticare tutte quelle note. Non solo le copertine, il cartoncino, il vinile. Non solo il crepitio elettronico di decine di migliaia di files. L'oblio, anche. L'oblio è necessario alla rarefazione. Dimenticare le melodie e i contesti. Le birre, le marche delle birre, le suggestioni, le derivazioni. Le sigarette di chi stava appoggiato al poster degli Strokes. Le nuvole. I messaggi radio. Le telefonate dei tassisti. Le soste in macchina. I guasti. Tutte le note e il contesto e i modelli teorici che hanno definito il presente. Dovrai dimenticare il senso per riemergere dalla densità e ritrovare l'aria e respirare a pieni polmoni. Sarà dolorosissimo. Ricordi?, eri paralizzato. Forse lo sei in questo momento, mentre finisci la sigaretta, ma conosci già la via di fuga. Un giorno deciderai di arrivare a una sola voce, non tollererai di più. Non serve più di una voce, dirai. Stai andando verso il punto alfa, se vuoi chiamarlo così. Distruggerai Slanted & Enchanted. Verrà quel giorno e lo aspettavi da decenni. Non buttavi via nulla da un po', avevi bisogno di prendere tempo, raccogliere le forze. Un giorno distruggerai quel che resta di ogni altra voce e rimarrai con Bowie e saprai che è tutto quello che ti serve. Un giorno capirai di non poter sostenere tutta quella varietà e complessità. Avrai bisogno di meno. Butterai via anche Low. Butterai via anche Hunky Dory e anche Heroes e anche The Man who sold the World. Forse sai già l'ordine esatto con cui questo accadrà. Forse la densità minima, il punto verso cui tutto converge, il punto verso cui stai viaggiando, è un solo disco. Un solo disco e nulla più. Forse rimarrai soltanto con Ziggy Stardust. La sua vita e il suo declino. Ascoltarlo dall'inizio alla fine, ogni giorno. L'unico suono possibile nel nuovo universo. Pensa allo stupore. Pensa al tuo stupore e al suo stupore. Ti sei già dimenticato tutti gli altri possibili accordi. E' come rinascere. Forse il punto di densità minima è una sola canzone. Un disco intero presto sarà troppo.

 

Un giorno rimarrai solo con Five Years. Saranno le uniche note dell'universo e il resto sarà una specie di infinita potenzialità senza ricordi. Forse lo dici già adesso alla ragazza trascendente, quale sarà il traguardo di quella fuga all'indietro. Una redenzione. Forse la ragazza non era lì al concerto. Forse l'avevi vista a un tavolo dentro a quella gelateria, e lei ti aveva visto passare, così straniero, e ti aveva guardato negli occhi. Non l'avresti mai pensato, ma lei lo sapeva già. Sapeva che sarebbe stata con te, qui, dentro la fine del mondo.

5 Commenti a “Il punto omega del rock’n’roll”:

  1. A sickening wreck ha detto:

    Ma anche no.

  2. benty ha detto:

    una standing ovation basta?
     

  3. intw ha detto:

    Applausi. Spettacolare.

  4. matte ha detto:

    Mark Spitz dedica la sua magnifica biografia "Bowie" cosi':
    "For everyone whose heart still jumps with the first beat of 'Five Years' … " 

  5. matte ha detto:

    wow.  tradurlo in inglese al volo, per piacere.