martedì, 20/04/2010

Il mio internet è bello così

di

 

Cass Sunstein è un personaggio interessante. Illustre giurista, ha insegnato per anni alla Law School della University of Chicago e ha anche una cattedra a Harvard. Obama l'ha messo a capo dell'Office of Information and Regulatory Affairs, una specie di ufficio per la semplificazione (tipo questo, insomma) ma che ha anche altri compiti importanti, come quello di vigilare affinché le varie agenzie governative rispettino certe regole e certi standard nel processo di produzione di norme e decreti.

 

Sunstein è per molti versi un liberal, sostenitore delle limitazioni legali al diritto di portare armi, difensore dei diritti degli animali e impopolare cantore dei benefici delle tasse (dieci anni fa scriveva "Dovremmo festeggiare quando paghiamo le tasse […]. Senza tasse non ci sarebbe proprietà. Senza tasse pochi di noi avrebbero beni che vale la pena difendere"). Ma ha anche difeso tesi non propriamente usuali nell'ambiente democratico, come quella secondo cui per chi sostiene il rifiuto di uccidere e la sacralità della vita, vietare la pena di morte potrebbe essere moralmente sbagliato (sulla base di alcune ricerche per cui ogni esecuzione mancata porterebbe a diciotto vittime innocenti in più).

 

Tuttavia, l'area di studi che ha reso Sunstein più popolare è quella della "law and behavioral economics". In un godibilissimo libro di due anni fa scritto con l'economista Richard Thaler, Nudge (da non molto tradotto in italiano da Feltrinelli), i due sostengono la tesi del "paternalismo libertario" che cerca di combinare virtuosamente libero mercato e irrazionalità degli individui: l'homo oeconomicus dei neoliberisti, insomma, non esiste, perchè le nostre scelte (anche quelle importanti) sono condizionate da un numero di elementi imponderabili, inconsci o semplicemente assurdi. Tuttavia la libertà di scelta è bene supremo e il legislatore deve semplicemente creare i contesti di scelta più adeguati a tutelare il bene comune (in soldoni). Tra dati statistici ed economica comportamentale, Sunstein si è anche occupato parecchio di internet e delle sue conseguenze sulla democrazia. Nel 2001 scrive Republic.com, un saggio in cui si interroga, tra le altre cose, sul rapporto nocivo tra l'enorme potenziale di personalizzazione offerto da Internet e le conseguenze sulla salute del confronto democratico. Scrive:

 

Internet è uno straordinario passo avanti per la democrazia? Per molti versi lo è senza dubbio. Grazie a Internet, tutti possono imparare molto più di quanto potevano prima e possono impararlo molto più velocemente. Se ti interessano questioni di "public policy" – qualità dell'ambiente, rapporto tra salari e tempo, sicurezza nei trasporti – puoi trovare tutto ciò che ti serve sapere in pochi secondi. Se sei diffidente dei mass media e vuoi discutere certi argomenti con persone dall'approccio simile al tuo, puoi farlo, superando le limitazioni geografiche in un modo che anche solo dieci anni fa era a malapena immaginabile. [… Tuttavia], a causa di Internet e di altri progressi tecnologici, molte persone sono sempre più coinvolte in un processo di "personalizzazione" che limita la loro esposizione ad argomenti e punti di vista scelti da loro stesse.

Questo "individual design", come lo chiama Sunstein, limita fortemente due requisiti cruciali per una sana vita democratica: gli incontri inattesi e le esperienze condivise. Il potere di disegnarsi con precisione lo spazio entro cui si consuma l'informazione, l'esperienza culturale, lo scambio di idee eccetera limita fortemente il confronto con chi la pensa diversamente e riduce al minimo il numero delle "cose" condivise dalla gran parte della comunità: lo spazio pubblico si riduce, insomma, e si frammenta in nicchie predefinite per poi ridursi alla più piccola nicchia pensabile, l'individuo stesso.

 

Quando leggi un giornale locale o una rivista nazionale, i tuoi occhi incrociano un numero di articoli che probabilmente non avresti scelto in partenza. Forse non sapevi di nutrire un qualche interesse sul salario minimo obbligatorio o sulla Somalia sugli ultimi sviluppi in Medio Oriente. Ma una storia potrebbe catturare la tua attenzione. E quel che è vero per gli argomenti è vero anche per i punti di vista. Magari sei convinto di non avere nulla da imparare da qualcuno di cui detesti le idee; ma una volta arrivato alla pagina degli editoriali potresti leggere quel che hanno da dire e potresti trarre beneficio da quell'esperienza. Forse ti convincerai su questo o quell'altro punto. […] Se accendi la tv sul telegiornale della sera, apprenderai notizie su una serie di argomenti che non avresti scelto in partenza. Grazie alla loro oralità e immediatezza, le trasmissioni televisive svolgono una funzione simile a quella di un "foro pubblico", più della carta stampata. La notizia di apertura sulle reti tv è destinata ad avere probabilmente un notevole rilievo pubblico; essa contribuisce a definire le questioni centrali e crea una specie di focalizzazione condivisa per milioni di persone. E quel che succede dopo la notizia di apertura – con un menu di argomenti nazionali e internazionali – crea qualcosa di simile a uno "speaker's corner" che va oltre qualsiasi cosa mai pensata a Hyde Park. Di conseguenza, l'interesse degli spettatori è talvolta stuzzicato, ed essi potrebbero pure incuriosirsi e approfondire, magari finendo per cambiare la loro prospettiva durante questo processo.


Per Sunstein, insomma, il rischio di Internet è quella di una forte polarizzazione che, riducendo gli incontri inattesi (e magari sgraditi) con opinioni diverse o argomenti sconosciuti, ridurrebbe anche i mutamenti di prospettiva, i confronti costruttivi e lo spazio pubblico condiviso.

 

Ovviamente non possiamo desumere, dal mero fatto della polarizzazione, che ci sia stato un movimento nella direzione sbagliata. Forse la tendenza più estrema è la migliore; e infatti la polarizzazione dei gruppi ha probabilmente contribuito a molti movimenti di grande valore, come il movimento per i diritti civili, quello contro la schiavitù o il movimento per le pari opportunità tra i sessi. Tutti questi movimenti erano estremi nel contesto della loro epoca, ma estremismo non deve essere necessariamente un termine da aborrire. Se maggiori scelte nella comunicazione producono maggiore estremismo, la società in molti casi potrebbe trarne benefici. Ma quando la discussione all'interno del gruppo tende a rafforzare i punti di vista iniziali delle persone e se le influenze sociali e un numero limitato di argomenti sono responsabili di ciò, allora c'è un legittimo motivo di preoccupazione. […] La questione centrale qui è se una "sfera pubblica" con una variegata gamma di voci non sia da preferire a un sistema in cui le scelte di un consumatore isolato producono un mercato del discorso altamente frammentato.  

 

Le tesi di Sunstein sono state rapidamente ricordate da David Brooks, ieri, in una sua column per il New York Times, per metterle a confronto con i risultati di un recentissimo studio della University of Chicago Booth School of Business, dedicato alla "segregazione ideologica" online e offline. I due autori, Gentzkow e Shapiro, partono dall'idea che l'esposizione a punti di vista diversi è un obiettivo centrale della politiche democratiche sulle comunicazioni. Ma si pongono problematicamente la questione se Internet riduca o incrementi tale "diversità".

 

Internet riduce drasticamente il costo per l'acquisto di informazioni da un'ampia varietà di fonti. Ma l'aumento delle fonti disponibili può anche facilitare l'auto-segregazione ideologica limitando se stessi alle fonti da cui ci si attende una conferma dei propri punti di vista. 

 

Per rispondere alla questione, i due hanno usato uno strumento di misura usato negli studi sulla segregazione razziale, l'indice di isolamento (isolation index). L'indice di isolamento funziona più o meno così: si misura l'audience medio di una determinata fonte, diciamo nytimes.com, e si divide in due "gruppi", conservatives e liberals. Se un tizio, Gianni, ha come sua unica e sola fonte nytimes.com, la sua esposizione liberal sarà uguale alla fetta di liberal del nytimes.com. Ovviamente Gianni avrà, diciamo, 5 o 6 fonti, quindi la sua esposizione liberal (e la sua esposizione conservatrice) sarà calcolata in base alla combinazione tra le composizioni degli audience di queste 5 o 6 fonti. L'indice di isolamento (qui vogliamo complicarci la vita) è uguale alla esposizione conservatrice media dei conservatori meno l'esposizione liberal media dei liberal. Se rileggete questa roba che ho scritto, capirete che più alto è l'indice, meno varietà c'è in una data fonte.

 

Secondo i calcoli di Gentzkow e Shapiro, l'indice di isolamento di Internet è 7.5 punti. Cioè assai più alto della tv in chiaro (1.8), dei magazines (2.9) e della tv via cavo (3.3), un po' più alto dei giornali locali (4.1) e più basso dei quotidiani nazionali (10.4). Secondo i due, eliminare Internet ridurrebbe la segregazione media nel consumo di notizie e opinioni dal 4.9 al 3.8. Altra cosa interessante è che, secondo questi calcoli, la segregazione ideologica online è enormemente più bassa di quella che si riscontra in associazioni volontarie (14.5), a lavoro (16.8), nel quartiere in cui si vive (18.7) o in famiglia (24.3). Internet è anche molto meno segregato dei network degli amici fidati (30.3).

 

La conclusione è che la "segregazione ideologica" su Internet sarebbe più alta che nella maggior parte dei media tradizionali (salvo che nei quotidiani nazionali), ma parecchio più bassa che nelle interazioni "fisiche", faccia a faccia. E' anche per questo, insomma, che vi può capitare di aprire un blog pieni di voglia per il pezzo electropop del momento, il video di you-tube strano o la nuova costruzione di lego fatta da un designer norvegese tra le capanne di un villaggio africano e trovarci invece un pippone gigante che straparla di teoria dei media e misurazioni statistiche. Chissà se Gentzkow e Shapiro misureranno mai quanti davvero arrivano fino in fondo alle cose che si ritrovano sul web.

9 Commenti a “Il mio internet è bello così”:

  1. […] potenti e flessibili modi per consentire agli utenti di alienarsi sempre un po’ di più, di personalizzare il loro giardinetto virtuale. Escludendo dalla loro visuale l’inaspettato, e in generale […]

  2. esquela ha detto:

    quoto bonelli. però il link con il faccione di calderoli a sorpresa è un colpo basso

  3. Bonelli ha detto:

    piu' trino meno lego

  4. ila ila ha detto:

    trino,
    se trovi una compagnia teatrale a Bologna che potrebbe mettere in scena la tua tragedia milanese, io mi offro già da ora per essere provinata, avendo anni e anni di teatro alle spalle.
    mentre ti leggevo, pensavo proprio all'eventuale mise en scene.
    naturalmente dobbiamo trovare una parte anche per Ink… ?!
    ila
    p.s
    sorry! ieri involontariamente mi è uscita fuori una firma strana che pareva contraffatta… vabbè, la mia ammirazione era, invece, autentica.

     

  5. trino ha detto:

    ila ila, grazie. Non so in verità se ci sarà una seconda puntata del Meghebetti, anche se magari lì in giro c'è qualche lettore o lettrice che bazzica una compagnia teatrale e si ha voglia di metterci a lavorare assieme per una specie di rappresentazione – oppure basta solo che mi torni la voglia.

  6. ila ila ha detto:

    se posso esprimere il mio modesto apprezzamento: (numero) uno è trino.
    così il tuo internet non è solo bello, ma interessantissimo. complimenti!
    e a quando la seconda puntata del Meghebetti?
    I'm addicted to your posts.

    truna fan
    p.s. senza nulla togliere all'ottimo padrone di casa, ci mancherebbe!

  7. trino ha detto:

    tutti i numeri sono riferiti alla stampa nazionale americana. più in particolare (e spero che questa precisazione non riduca troppo l'interesse stuzzicato) a pag. 8 del paper si scopre che i dati sui national newspapers derivano dal chiedere agli intervistati se leggono uno di 3 quotidiani parecchio "caratterizzati" ideologicamente: NYT, USA Today e Wall Street Journal. Probabilmente un po' più segregati di Corsera, Repubblica e Stampa.

    Cosa interessante (ma non sorprendente) in internet è invece una sorta di "mobilità" del lettore di nicchia: i frequentatori di siti conservatori radicali come quello di rush limbaugh hanno più probabilità di leggere anche nytimes.com rispetto al fruitore medio di news sul web. allo stesso modo frequentatori di moveon.org finiscono in media più frequentemente su fox news rispetto all'utente medio.

  8. leo ha detto:

    Mi intriga che l'indice dei quotidiani nazionali sia più alto di quello di internet, ma probabilmente il dato è riferito alla stampa nazionale americana, che un po' meno generalista della nostra.

  9. inkiostro ha detto:

    [W O W]