mercoledì, 12/11/2008

David Foster Wallace e il Problema dello Stronzo

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La cosa che vi inquieterà, leggendo questo post, sarà scoprire che David Foster Wallace chiudeva le sue lettere scrivendo Tally Ho prima della firma. Non Cari saluti o Con amicizia o Sinceramente Tuo. Tally Ho. O, almeno, così fa nelle due lettere inedite pubblicate integralmente da Harper’s nel nuovo numero di Novembre.

La cosa che forse non vi stupirà, invece, è che quando sei sicuro che uno scrittore taumaturgo non scriverà più una sola parola, niente di niente di niente, allora ogni cosa che gli è uscita dalla penna fino a quel giorno lì guadagna un’energia strana. Anche un paio di lettere ad alcuni studenti di Yale intorno allo spinoso tema del come prendere per il culo la gente del Midwest nel rispetto dell’etica e del buon senso.

Insomma, la storia è questa. Nell’agosto del ’93, Harper’s Magazine manda DFW a Springfield, IL., per seguire la Fiera Statale dell’Illinois, un evento in cui migliaia e migliaia di persone girano per padiglioni zeppi di bestiame, sudano a 40 gradi all’ombra, si sfidano in gare di tip-tap country, cavalcano giostre pericolosissime, fanno il tifo a incontri di boxe di ragazzini di 10 anni e celebrano festosamente i Frutti della Terra dell’Illinois: dalla Pelle di Porco Fritta ai Corn Dog, dal Pollame agli atletici Stalloni.

Il pezzo esce su Harper’s nel luglio 1994 col titolo Ticket to the Fair e poi diventa uno dei reportage raccolti in A Supposedly Fun Thing I’ll never Do Again (in Italiano il pezzo è Invadenti Evasioni). 

DFW e la "Gente Rurale del Midwest" (come lui chiama i visitatori, con piglio da antropologo-con-casco-coloniale) non entrano precisamente in sintonia:

Il quindici per cento dei visitatori femmina ha i bigodini ai capelli. Il quaranta per cento è clinicamente grasso. A proposito, la gente grassa del Midwest non ha alcun rimorso riguardo all’indossare pantaloncini corti o top smanicati.*


Diciamo che la Gente Rurale del Midwest non è esattamente entusiasta del pezzo. DFW lo racconta nella prima delle due lettere inedite pubblicate da Harper’s questo mese:

Quando feci il pezzo sulla Fiera Statale, pensavo fosse un ritratto abbastanza neutrale, persino favorevole della Fiera […]. Poi, quando uscì la versione di Harper’s, ricevetti lettere di odio, lettere di odio inviate da terzi a giornali del posto. ecc. Il nocciolo delle quali lettere era: Ecco il nativo che è diventato tutto East Coast e Uptown e adesso torna e prende in giro le proprie radici. (I tizi erano particolarmente arrabbiati per i riferimenti al fatto che molta gente fosse grassa. Lo era, è tutto vero – vai a capire).


DWF spiega che nello scrivere delle critiche verso qualcuno o qualcosa, l’equilibrio che lo scrittore dovrebbe rispettare è assai delicato:

Da un lato, uno scrittore deve capire che i suoi principali obblighi di obbedienza sono verso il lettore, non verso il soggetto dell’articolo. L’eccessiva preoccupazione per i sentimenti dei soggetti possono portare a  disonestà di ogni sorta che il lettore sarà in grado di percepire (coscientemente o meno). Dall’altro lato, la vita è breve, e dura, e sembra una buona regola quella di infliggere alle altre persone il minimo dolore o la minima umiliazione possibile mentre ci trasciniamo verso la fine della giornata. In più, se il lettore si fa l’idea che il soggetto è stato riempito gratuitamente di ridicolo o di disprezzo, allora c’è tutta una diversa, più cattiva vibrazione di disonestà o di propositi nascosti che circonda il pezzo. Dunque la cosa è un po’ a trabocchetto.

In certi casi, infatti, DFW ha addirittura deciso di rinunciare a scrivere un pezzo per evitare che la persona coinvolta fosse costretta a leggere le sue critiche:

Ho dovuto lasciar perdere certe recensioni di libri, per esempio, perché mi sono accorto che avevo odiato il libro, il libro era brutto e basta, e semplicemente mi rifiutavo di spendere una settimana e 750 parole per stroncare un libro o per spiegare punto per punto perché era brutto … soprattutto perché io stesso sono stato stroncato, e so come ci si sente, e dopo una certa età non ho lo stomaco di farlo a qualcun altro. C’è una sorta di empatia narcisistica in casi come questi; non mi è del tutto chiaro se ho fatto la cosa "giusta" rifiutandomi di scrivere quelle recensioni. […] Insomma, da un punto di vista etico è tutto maledettamente grigio. Vabbè. Spero che questo abbia un po’ di senso.

Tally Ho.

/dfw/

Nella seconda lettera, prova a teorizzare una soluzione del problema:

Qui parliamo di un tipo di saggio molto specifico che è (a) critico, (b) comico, (c) descrittivo (a differenza di uno principalmente argomentativo o qualcosa del genere). […] A me verrebbe da dire che questo è un tipo di pezzo pericoloso da scrivere, perché pone alcune sfide all’Io Narrante, più specificamente il Problema dello Stronzo. Sono sicuro che l’avete presente: è un disastro se la sensazione più forte percepita dal lettore in un saggio critico è che il narratore sia una persona molto critica, o in un saggio comico che il narratore sia crudele o borioso. Di qui l’importanza di essere critici verso se stessi come lo si è verso la roba/gente su cui si stanno facendo delle critiche. Ora che lo vedo scritto capisco che sembra estremamente ovvio e stupido. Quindi boh. Forse la sfida cruciale qui è quella di dar forma e onorare un contratto col lettore alquanto rigoroso, uno che implichi onestà e non-ammiccamento (sempre che questa parola esista). Cosicché il lettore ha l’impressione generale che c’è un narratore che è principalmente impegnato a provare a Raccontare la Verità… e se la verità implica la coglionaggine di altra gente o di certi eventi, così sia, ma se essa implica la cazzonaggine dello stesso narratore, i suoi pregiudizi, limiti, mancanze, stronzate fatte durante l’evento ecc. allora queste cose vanno dette pure – perché la verità-come-la-si-è-vista è un progetto totale qui. Non ho la minima idea di come ridurre tutto ciò a una ricetta pratica – penso però che qualsiasi contratto serio e indistruttibile tu concluda con te stesso e il lettore, il lettore lo afferrerà, anche se non è un fatto conscio.

Ed è sempre strano leggere di sincerità e onestà e schiettezza in un Grande Autore Postmoderno. O, insomma, lo sarebbe. Se non sapessimo che si tratta di David Foster Wallace.

Tally Ho.

* Non ho la versione italiana del pezzo, qua con me. Le traduzioni le ho improvvisate io, anche ovviamente degli estratti delle lettere.

10 Commenti a “David Foster Wallace e il Problema dello Stronzo”:

  1. utente anonimo ha detto:

    sono io l’aragosta

  2. utente anonimo ha detto:

    anonimo, A Supposedly Fun Thing è sia il titolo del racconto sulla crociera (originariamente intitolato Shipping Out, quando uscì su Harper) sia quello della raccolta che lo comprende. Raccolta che comprende anche il pezzo sulla fiera del midwest, col titolo Getting Away from Already Being Pretty Much Away from It All (il titolo del pezzo, quando uscì su Harper’s, era come detto Ticket to Fair). Il titolo italiano dato da Minimum Fax a A Supposedly Fun Thing ecc., comunque, è Tennis TV ecc.

    trino

  3. utente anonimo ha detto:

    A Supposedly Fun Thing era sulla crociera, non sul midwest mi pare…forse tennis trigonometria e tornado comprendeva quel pezzo?

  4. utente anonimo ha detto:

    ero io, cugino :)

  5. trino ha detto:

    questa sotto era mia zia luisa. che ringrazio.

  6. utente anonimo ha detto:

    trino miglior nuovo acquisto di inkiostro 2.0 EVER.

  7. WilliamDollace ha detto:

    “La cosa che forse non vi stupirà, invece, è che quando sei sicuro che uno scrittore taumaturgo non scriverà più una sola parola, niente di niente di niente, allora ogni cosa che gli è uscita dalla penna fino a quel giorno lì guadagna un’energia strana”

    Verità 1 con la quale concordo, vedi anche Salinger e la Verità 2 è che la sensazione muta ulteriormente se lo scrittore è morto e Verità 3 come è morto, Verità 4: “sensibilità e una intelligenza che probabilmente vengono donate dal fato a un uomo ogni 100 anni”

    Molto interessante:

    “soprattutto perché io stesso sono stato stroncato, e so come ci si sente, e dopo una certa età non ho lo stomaco di farlo a qualcun altro. C’è una sorta di empatia narcisistica in casi come questi; non mi è del tutto chiaro se ho fatto la cosa “giusta” rifiutandomi di scrivere quelle recensioni. […] Insomma, da un punto di vista etico è tutto maledettamente grigio.”

    “però che qualsiasi contratto serio e indistruttibile tu concluda con te stesso e il lettore, il lettore lo afferrerà, anche se non è un fatto conscio.” cavolo se è così. é così, in ogni caso si è fregati/assolti/giudicati.

  8. trino ha detto:

    Il DFW saggista/reporter lascia semplicemente senza parole ed è senza alcun dubbio più accessibile e, in un certo senso, più piacevole del DFW autore di racconti/romanzi. Di qualsiasi cosa parli (la fiera dell’illinois o le talk radio o david lynch o la capacità di sentire dolore delle aragoste o le diverse correnti di pensiero tra i linguisti americani) ha una sensibilità e una intelligenza che probabilmente vengono donate dal fato a un uomo ogni 100 anni.

    grazie a voi per leggere i miei (lunghi) post :)

  9. utente anonimo ha detto:

    Foster Wallace forse lo preferisco come reporter e saggista che come romanziere e autore di racconti. Aveva una capacità di mettere a fuoco le cose assolutamente rarissima, e un senso dell’umorismo (verso gli altri e verso se stesso, come spiega lui stesso nelle lettere che avete tradotto) incredibile.

    Grazie del contributo, è bello vedere che passato il clamore della notizia della sua morte, da queste parti se ne parla ancora. E, anche se è un po’ da sciacalli, aspetto con ansia le raccolte di lettere e articoli rari che inevitabilmente verranno pubblicate. Speriamo presto.

  10. utente anonimo ha detto:

    GRAZIE