giovedì, 30/11/2006

Il piccolo isolazionista

In questo periodo cammino molto.

Infilo gli auricolari bianchi, rigorosamente non marchiati Apple per una sorta di buon senso anticonformista residuo degli anni del liceo, metto una giacca nera comprata qualche anno fa per pochi euro e una sciarpa di tre colori nessuno dei quali saprei definire e fendo il centro da una parte all’altra come un coltello.

Di prima mattina, quando il cielo è cupo, il sole -se c’è- freddo, e gli occhi faticano a stare aperti, di solito il mio bozzolo bianco contiene rock fatuo ed inutilmente entusiasta o indie-pop narcoticamente rassicurante nella sua prevedibilità, quasi a simulare un barlume di attività cerebrale che vorrebbe anche svegliarsi ma ha paura a farlo. Poi arrivo al lavoro, grugnisco un saluto ai miei soci che sanno che gli rivolgerò di nuovo la parola solo molte ore dopo, e accendo il computer. Un numero random di ore dopo saluto, mi infilo nell’ascensore e mi preparo ad altri 45 minuti di camminata, coi capelli mai abbastanza spettinati e lo sguardo di chi ha visto qualcosa di sconvolgente che non vuole raccontare. Il bozzolo bianco a quel punto contiene spesso e volentieri Silent Shout dei The Knife, ratificando la metafora del coltello di cui sopra in una simmetria troppo inquietante per essere meditata.

Le mie lunghe camminate soddisfatte e solitarie, col bozzolo bianco di Silent Shout e lo sguardo che attraversa i passanti ed è da essi attraversato, piacerebbero a Tommaso LaBranca, e in particolar modo alla sua versione confessional sfoderata nel corso delle 249 pagine de Il piccolo isolazionista. Nella sua, imperfetta, fusione di intimismo dichiaratamente a buon mercato, teorizzazioni di una metafisica pop sempre filosoficamente ineccepibili e divagazioni destrutturate che non avrebbero sfigurato in uno dei suoi leggendari blog, Il piccolo isolazionista fotografa le mie  inquietudini con una precisione che a volte mi spaventa. Certo, la musica non è la stessa, lo scenario periferico e metropolitano ha qui connotazioni di tutt’altro tenore e il tono dell’autore riesce sempre ad essere canzonatorio quel tanto che basta a non ricadere nell’autocompiacimento di cui commenti come quello che state leggendo, sono, invece, profondamente intrisi. Le differenze, però, non hanno altro effetto che quello di far risaltare ancor di più i punti in comune

Prima di tornare a casa, di solito, mi fermo al supermercato a fare la spesa. Mentre mi aggiro come uno zombie tra il reparto frutta e verdura e il pane, valutando attentamente quale prodotto sarà in grado di colmare il vuoto e di risollevarmi l’umore sul finire della giornata, non scambio parola con anima viva ma non riesco a fare a meno di osservare le altre persone e cosa i cestini della spesa svelano di loro.
C’è il vecchio che ha comprato solo confezioni di cibo per gatti.
C’è la signora di mezza età col petto di pollo e un po’ troppe bottiglie di Peroni.
C’è la ragazza che pare campare solo con insalata, Vitasnella e Filadelfia Light.
Ci sono gli studenti che questa sera banchetteranno con penne alle melanzane, lambrusco e saccottini.
Poi c’è un tizio anonimo, con lo sguardo perso, che ha nel cestino più o meno le stesse cose che ho preso io. Alzo lo sguardo, e mi accorgo che sto guardando la mia immagine, riflessa sul vetro degli sportelli del reparto surgelati. Non sono diverso da loro.
Prima di infilarmi di nuovo nel bozzolo bianco degli auricolari e di rimettere il pilota automatico per la strada verso casa, non posso fare finta che non sia così.

21 Commenti a “Il piccolo isolazionista”:

  1. utente anonimo ha detto:

    Ma quale è il problema? Il libro di Labranca è una descrizione acuta, intima ma ha diversi motivi per essere così lunga; tutti diversi dal fatto di essere ineluttabile o così intensa.

    Siamo tutti uguali? Una fava.

    Siamo tutti uguali se restringiamo il campo visivo attorno a noi… e più lo restringiamo (fino allo schermino del Nano) e più siamo uguali.

    E in mano a qualcuno.

    Sollevatevi.

    Inkiostro, sei possessore di una quantità di nozioni/sensazioni invidiabile (a quanto stimo da qui): non indulgere troppo nella commiserazione di uno stato particolare di una sottopopolazione particolare.

    Che peraltro puoi mutare continuamente e in ogni momento.

    Per me il tema che tratta Labranca è vecchio, ho trovato bellissimo e divertente il modo. Tutto qua.

    dago

  2. utente anonimo ha detto:

    Ipod a parte, il tuo post mi ha fatto venire in mente l’ultimo libro di Jonathan Franzen.
    Kit

  3. utente anonimo ha detto:

    non sei diverso dai surgelati o dagli altri clienti?

    cmq, bel post, un po’ lezioso, forse per la presenza dei link e la recensione del libro lasciata cadere con nonchalance in un discorso che forse meritava di rimanere intimista e basta

    ciao

    mario

    ps

    che cattivone, insinui che la signora di mezza età se le scoli tutte lei le birre…

  4. Wiseacre ha detto:

    A me invece le osservazioni di Medo sono sembrate pertinenti, e le reazioni pienamente in linea con una tendenza all’abbozzolamento.

    Insomma, ci/vi inquieta lo specchio che riflette frattalmente mille bozzoli, poi quando arriva un’ipotesi trasversale tutti a serrare le falangi oplitiche. Sono piccole xenofobie culturali con cui si fatica a crescere, diciamocelo.

  5. utente anonimo ha detto:

    mah, non sembra questa una grande civiltà, dove la rivelazione più sconvolgente sarebbe l’inesistenza di walkman, cd player, mp3player, ipod. Butta male.

    Tank

  6. fio ha detto:

    a me è il #10 che ha tolto le parole da sotto le dita (ma solo fino a dove si apre la parentesi quadra, ché quella non mi interessava più.) fab, questo post vuol dire che di nuovo ci ritroveremo come le star a bere birrozze al covo(bar) discettando di cose malinconiche?

  7. utente anonimo ha detto:

    Proprio bello. Anche se non condivido affatto il finale.

    Il commento #7 è sublime.

    Il commento #11 mi ha tolto le lettere da sotto le dita.

  8. codyallen ha detto:

    Ne dissento. Alla fine ognuno finisce per forza entropica di cose a circondarsi di persone che ritiene simili. E non c’e’ nulla di male in tutto questo. Basta soltanto cambiare frequenza alla radio per accorgersi che in realta’ il mondo e’ un po’ piu’ vasto e fatto di tante realta’, e noi siamo soltanto una goccia di olio neanche troppo rossico nel grande pattume chiamato Pianeta Terra. Soltanto molto denso e raggrumato.

  9. medo ha detto:

    tsk

  10. utente anonimo ha detto:

    a me medo sembra affetto da esuberanza giovanilista post-comunista che andava bene fino al ’95

  11. punch-drunk ha detto:

    …ma questo è il post più bello da tipo due anni a questa parte e nessuno dice niente? cavolo, io mi stavo non dico commuovendo ma di sicuro intristendo notevolmente. in senso buono, perbacco.

    [vorrei invece fare un inciso: medo, te lo avranno detto già in molti immagino, ma oltre all’onniscienza il signoreiddionnipotente in cui sono sicuro crederai ciecamente non poteva anche fornirti maggiormente della modestia? quello che dici è sempre sostanzialmente condivisibile, ma magari con qualche imperativo e assolutizzazione in meno sarebbe anche più gradevole, talvolta]

  12. dree ha detto:

    cioè al supermercato mi dovrei rompere i coglioni a socializzare?

  13. utente anonimo ha detto:

    Lo so, troppo tardi, ma oggi pomeriggio Labranca è stato ospite di un corso universitario (DAMS) qui a Bologna. Esilarante. E molto triste.

    Rowena

  14. utente anonimo ha detto:

    Un problema reale, è che in questo stato isolazionista ci stiamo parecchio bene…..purtroppo è questo che dobbiamo dire—

    Venitemi a trovare io parlo di cose più futili nel mio blog…

    http://www.paparazziamo.blogspot.com

  15. medo ha detto:

    Sull’ultimo commento.. Perdonami perchè utilizzi questo comunitario e tribale “ci stiamo”… Riprenditi la tua singolarità, chiediti se davvero ti piace o ti è utile o semplicemente se davvero ti va come singolo questo insieme di oggetti e di usi che pratichi identicamente ad altri, come un rito e che attribuisci a tuttu un gruppo che per altro dici che avrebbe una comodità, quindi un piacere da tutta questa situazione. Mentre sia il post di Inkiostro che i commenti qua in realtà denotano un sottile desiderio di cambiare, una sofferenza.

    Accettare di sentirsi soli, di essere se stessi al di là di riti o gusti comuni o altro, non credo che possa nuocere ad un essere umano: da lì si schiudono mondi di possibilità che vengono invece negati (e regolamentati molto fissamente) dal sentirsi parte di una comunità o una generazione o una tribù…

    Nell’iPod potrò mettere un miliardo di brani musicali ma quella parte del cervello in cui c’è il ricordo di Federica che mi lascia e si mette con un altro, beh non potrò che essere io, solo, a rielaborarlo per riaprirmi il mondo.

  16. kAy979 ha detto:

    il fatto è che più passa il tempo e più peggioriamo.

    ma il problema reale, è che in questo stato isolazionista ci stiamo parecchio bene.

  17. adayinthelife ha detto:

    ciao ink. se interessa a te e ai lettori, qui c’è un’intervista a labranca sul libro, fatta un mese e mezzo fa.

    però è vero: anche se mi sento lontano anni luce dagli umori del libro e del suo autore, beh, è inquietante, il tutto. ma molto.

  18. medo ha detto:

    Leggere il filosofo Maffesoli, poi leggere Sperber.

    Vi accorgerete che

    a) le contaminazioni culturali avvengono per contagio naturale e passiamo il resto del tempo della nostra vita a giustificarle

    b) la società moderna è tornata esattamente, dopo la pausa dei totalitarismi, a suddividersi in tribù ed è la stessa tribalizzazione ad aver fatto fallire il ’68 e le altre contestazioni di questo secolo.

    c) è infatti severamente dimostrato da Maffesoli che si lottava perchè un altro lottava e una volta che i leader hanno cessato la lotta, tutti gli altri hanno deposto la clava chiedendosi “perchè e contro chi lottavo? boh”.

    d) siamo finiti perchè non siamo mai cominciati.

  19. utente anonimo ha detto:

    Un commento inutile inutile…

    Inkiostro, il tuo lettore mp3 è uno Zen?

    Nel mio un posto privilegiato lo ha il live di Laura V. @ KCRW’s Morning Becomes Eclectic di cui ci avevi gentilmente omaggiato.

    Ancora grazie.

    Jaki

  20. utente anonimo ha detto:

    Siamo davvero tutti uguali? Dal l’iPod con le stesse canzoni, ai vestiti, alla spesa nel supermercato, ma la cosa che mi inquieta di più è che abbiamo anche tutti lo stesso atteggiamento!!!!

    Daniele