lunedì, 20/04/2009

A morte i negozi di dischi

[un post volutamente attaccabrighe]

 

In Italia la notizia non è girata granchè (anche perchè le iniziative organizzate non sono state molte nè di particolare richiamo), quindi forse a qualcuno di voi è sfuggito: sabato scorso è stato il Record Store Day, il giorno dedicato alla celebrazione e alla difesa dei negozi di dischi.

 

Ogni appassionato di musica ama i negozi di dischi. E’ talmente scontato che non ha quasi senso scriverlo. Ciascuno di noi ne ha frequentati tanti, si è affezionato, ha ricordi memorabili legati a questo o a quell’acquisto e ha desiderato almeno una volta nella vita di fare il lavoro del protagonista di Alta Fedeltà. I negozi di dischi sono belli. Difendiamoli.

 

Qualche giorno fa, rincasato dal lavoro, ho trovato nella cassetta della posta la piccola montagna di cd dell’ultimo ordine che ho fatto su Play.Com . Un paio di vecchi best per colmare le lacune, tre cd dell’anno scorso che non mi erano piaciuti abbastanza da comprarli subito (ma non abbastanza brutti da decidere di non comprarli affatto), un po’ di roba varia ed eventuale trovata in offerta e un paio di vecchi dischi super-indipendenti praticamente introvabili in quasi tutti i negozi della città. Costo totale: una trentina di euro, spese di spedizione comprese.

 

Non ho mai comprato così tanti dischi come negli ultimi due anni, eppure quasi non riesco a ricordare l’ultima volta che ho comprato un disco in un negozio (in Italia). Ordinare online è incommensurabilmente più comodo: l’assortimento è imbattibile, i prezzi sono molto più bassi, lo puoi fare a qualsiasi ora (io ordino praticamente sempre all’una di notte, dopo ore di navigazione certosina) e se sei incerto a un click di distanza c’è sempre un MySpace e decine di m-blog su cui ascoltare qualche pezzo, e decine di recensioni da leggere per farsi un’idea più precisa.

 

Cercate di dimenticare per un attimo quello a cui siete abituati, e pensateci: un bene immateriale come la musica è fatto apposta per essere acquistato online, anche per chi come noi non può fare a meno dell’oggetto disco. E’ la piattaforma più completa per avere un assaggio di cosa si sta acquistando, prezzi onesti che tagliano le intermediazioni inutili, disponibilità illimitata che rispecchia la sempre più sterminata produzione discografica. In un negozio si compra a scatola chiusa, si è vincolati da una disponibilità ridotta e il prezzo paga anche la distribuzione e il punto vendita che non aggiungono quasi niente al valore del disco (per tacere dell’insensata IVA italiana).

 

I negozi di dischi hanno svolto un ruolo fondamentale nei decenni passati, ed è normale essere tristi per la loro inevitabile, progressiva, scomparsa. Ma il loro ruolo è finito, i tempi sono cambiati, e i pochi negozi che riusciranno a sopravvivere dovranno inventarsi modi diversi per sostenere il proprio business. Si ibrideranno con bar e locali, oppure con boutique e negozi di design (entrambe le cose stanno già accadendo); oppure -come dice il BDD– diventeranno più simili a degli antiquari, che vendono beni di lusso che vengono da un’altra epoca. Non potranno competere con la rete per prezzo e assortimento, e a breve non avranno più neanche clienti fedeli che comprano perchè affezionati o perchè non ancora avvezzi all’e-commerce.

 

It’s evolution, baby, e combatterla è inutile. Per questo iniziative come il Record Store Day sono intrinsecamente contraddittorie e fuorvianti, oltre che incapaci di fermare il corso delle cose. Invece che celebrare un’istituzione che è ormai fuori del tempo, proviamo piuttosto a guardare avanti, e a risolvere il rompicapo dell’industria discografica, anch’essa destinata a morire ma priva di un modello alternativo realmente sostenibile che riesca a far convivere la libera condivisione dei contenuti in rete (che ormai è un dato di fatto, checchè ne dica la corte di Stoccolma) con la remunerazione degli autori dei suddetti contenuti (che permette la loro stessa esistenza). Quella è la vera sfida di questi anni.

Ai negozi di dischi va l’affetto e il ricordo di ogni appassionato, ma ormai il loro tempo è passato.

 

 

26 Commenti a “A morte i negozi di dischi”:

  1. utente anonimo ha detto:

    Io penso che ci siano problemi alla base:

    Perchè io devo comprare su Play?Certo hanno tanta roba,ma perdonatemi,se cercate una rarità di certo non la trovere su Play,Amazan,IBS o i semplicissimi Feltrinelli e Co.

    Qui ci arrivano i cari e bellissimi negozi di dischi.

    Certo,se cerco un titolo facile perchè non utilizzare IBS?Io lo uso ogni tanto,non lo nego.Ma quanto è bello andare in un negozio,scegliere stare lì un oretta e tornare a casa col tuo pezzo per la collezione?Queste cose con Play non le fai,c’è gran gusto a comprare in un negozio.

    Non mi pongo il problema del prezzo.

    Dio,me lo pongo pensando che il buco dove vado a comprarmi i dischi un giorno potrebbe fallire,a quel punto se scomparisse chiunque dovremmo comprare su Play???Ma per favore…

    Detto cio sto Play viene decantato ma cos’ha in più di un negozio?Nulla!

    Io penso che comunque i negozi rimarranno ancora,la gente ci va.Io entro in alcuni negozi(casa del disco,varese.Nashville,milano.e altri)sono pieni di gente,che dire?ma sarà vero che alla fine scompariranno?O siamo di fronte ad un complotto?

    Io sono contro Play-w i negozi di dischi!

  2. Nin-Com-Pop ha detto:

    http://delay

    [..] Il mio contributo al(le parole sul) record store day Stasera ho fatto la iena. O almeno ci ho provato. Che Nannucci avrebbe chiuso lo sapevo da quando si sa. La mia prima domanda, quando si sapeva, è stata "fanno svendita?" La chiusur [..]

  3. utente anonimo ha detto:

    Negozi di dischi:se specializzati perché no?

    Non andavo da Zabrinskie a Milano per comprare le stesse cose che cercavo da Ice Age.

    E poi:com’è che a Barcellona trovo dischi nuovi a 12Euro e specialprice fra i 9 e i 6?

    E’ solo l’Iva?

    “Li trovi anche alla Fnac in Italia”.

    Sì, ma a Barna questi prezzi li trovo anche nei negozietti (specializzati)

    E’ solo l’IVA?

    E poi:

    ma perchècazzo non c’è un cdwow o un play che sia punto.it?!

    E perché se compro online in Italia i prezzi sono tali e quali a quelli dei negozi? (e allora a sto punto vado in negozio)

    E’ ancora colpa dell’IVA?

    Tanto nel 2012 moriremo tutti.

    J.

  4. utente anonimo ha detto:

    ho come l’impressione che non riusciamo a centrare il punto, che andiamo sempre troppo oltre l’oggetto di discussione (che è, più o meno: il negozio di dischi, in tutte le sue incarnazioni possibili, ha ancora senso?), che non ci si capisca, che si abbia tutti ragione e che si sia tutti alla fine d’accordo.

    tento di chiarire: uno come me, uno nella media (è importante dire uno nella media, e quindi non un fanatico feticista e non uno che non ascolta musica) che abita in italia, tipo a milano, se esce di casa per comprare un disco non può non finire da ricordi, mondadori, feltrinelli, fnac o negozio tradizionale di dischi (è da escludere il negozietto di vinili del nonno nanni o rough trade, non fanno statistica).

    questi posti non hanno nulla dell’avamposto culturale. nulla, chiaro? sono contenitori di supporti musicali, sono dei magazzini.

    dicevo, uno come me esce, va in uno di questi posti, vede i prezzi e torna a casa a mani vuote, di solito, e si mette su play. la volta che non lo fa, torna a casa, vede i prezzi di play e bestemmia. ci sono delle rare eccezioni (cioè volte in cui compri da feltrinelli e sei contento, nagari perché quel giorno c’era il sole e in tram una ti ha sorriso) ma non contano statisticamente se si vuole fare un discorso generale.

    e non conta se in italia la gente è analfabeta, non sa fare il biglietto del treno ai dispositivi fai da te, va in agenzia di viaggi perché non sa cosa sia edreams. e va nei negozi di dischi. noi dovremmo astenerci dal sostenere questo tipo di ignoranza e dal mascherarla con un ipotetico romanticismo e soprattutto non possono, quelli, divenire la scusa per fare dire a noi “evviva tutti i negozi di dischi.

    allora, cerchiamo di distinguere. ripeto:evviva i negozietti avamposti culturali, che non saranno tanti ma fanno cultura. e già che vogliamo essere concilianti, asteniamoci pure dal velato sarcasmo di chi sostanzialmente dice che quei negozi sono specchietti per le allodole per yuppie-hipster. diamogli fiducia: sono posti genuini in cui si fa cultura: evviva. preserviamoli! teniamoceli! ma come, però? non lo so, credo che ci penseranno i gestori, con l’apporto di persone appassionate come emiliano. se è vero come dite che funzionano, perché preoccuparsi? io personalmente non ho i soldi per andare a londra o new york o anche solo bologna o roma ogni volta che compro un disco.

    per quanto riguarda gli altri negozi, sono avamposti di multinazionali i cui capi vengono sequestrati dai dipendenti inferociti e non di cultura.

    e per loro ripeto, con espressione ridicola e banale quanto vuoi: a morte.

    chi sostiene la causa di rough trade & co. non serve molto al discorso, secondo me. ci vuole qualcuno che sostenga il negozio di dischi normale, quello coi prezzi alti e nessuna atmosfera culturale, insomma, quello largamente più diffuso.

    per quanto riguarda i faith no more, ti do ragione. ma era un’altra epoca (o epica, se mi passi la citazione), avevo 16 anni, e sono contento di essere entrato in quei magici negozietti con videocassette mitiche guardate 100 volte etc etc., ma è materiale per un post nostalgico e molto personale (nulla di male, anzi, io tendo al sentimentalismo), non per l’analisi del 2009. sono cambiate troppe cose da allora.

  5. utente anonimo ha detto:

    minchia ho scritto in turco.

    ho sonno.

    perdonatemi.

    Colas

  6. utente anonimo ha detto:

    Torno in ritardo, ma ci tenevo ad aggiungere.

    Dario: forse la differenza a monte. Per me la musica è arte. L’arte produce cultura.

    Se le tette della commessa ti costringevano passare del tempo in quel negoziom e magari in sottofondo andavano – che ne so – i faith no more, è molto probabile che quelle tette abbiano avuto un ruolo fondamentale nel tipo di persona che sei diventato. Sarò romantico?

    Forse, ma mi piace pensarla così.

    A part questo, continuo a pensare che qui (nel senso di mondo “informatizzato”) si dia tutto troppo per scontato quando in realtà nel nostro paese la maggioranza delle persone si rifiuta di comprare online perché non si fida.

    Così come si parla tanto della fine del supporto quando non si tiene conto di quanto in realtà non ci sia ancora un’alternativa valida.

    Gli hard disk si rompono. Gli ipod pure.

    Vuol dire che il futuro sarà dominato dal “cotto e mangiato”? Dal tutto si crea e tutto si distrugge? Non so perché, ma ne dubito.

    Quello che mi colpisce più di tutto è come il mio post sia stato preso per quello che in realtà non è.

    Non è un post contro il comprare online o risparmiare. E neanche un post nostalgico sentimentalone. Anzi. Ho cercato di sgomberare subito il campo da quella questione e spostare l’interesse altrove.

    Sul fatto che anche chi dice di amare la musica ormai ha smesso di considerarla per il suo valore sociale e culturale. Ché è una cosa talmente superflua che se me la posso comprare risparmiando bene, altrimenti chi se ne fotte. Però nonostante non si comprano più dischi vige la regola dell’accumolo selvaggio. Una contraddizione in termini.

    Io cercavo di guardare altrove e di arrivare a capire perché anche chi vive in mezzo alla musica costantemente abbia acquistato questo sguardo così distaccato. Da cosa dipende, che tipo di ragioni ha.

    Ed accetto quelle reali, materiali ed econiche, ma il resto faccio proprio fatica a comprenderlo.

    Sempre sia lodato Play.com un posto ottimo per i guilty pleasure e per completare discografie a buon mercato.

    Ma non c’è solo quello. La musica non è solo quello.

    Forse sbaglio io, forse è perché spesso mi nutro di musica che su play e cd wow o non trova spazio o non conviene. Non so, quel che è certo è che continuerò ad usare “il grande magazzino” per quello che mi serve, ma non sono ancora pronto a rinunciare a quello che posti come Rough Trade (ma pure les hyper sound o hellnation) possono ancora dare a quelli come me. La musica ha bisogno di tutte queste cose. Di “economia” e modernità quanto di cultura. Dire che i negozi di dischi devono morire è una provocazione molto figa, ma anche tremendemente banale. A meno che non si stia parlando solo di merce.

    colas

  7. utente anonimo ha detto:

    ho già scritto qua e là alcune mie idee sulla faccenda. l’idea principale è che il concetto di cercare dischi a caso dentro un negozio, pezzo per pezzo, contribuisce a formare una cultura personale e collettiva che ha prodotto dischi ed ascoltatori migliori di quelli che stanno fuori oggi, PUNTO E BASTA, e non sono disposto a discutere con persone che la pensano diversamente su questo punto. Il problema se mai è un altro, cioè il fatto che tutte le persone che vengono citate in questo post, o intervengono nei commenti, possiedono CD originali per un minutaggio sufficiente a sparare musica continuativamente per due o tre mesi senza dover mai rimettere due volte lo stesso disco (ho fatto i conti). E allora di che cazzo stiamo a parlare? di sei euro su play contro ventidue al negozietto, come se risparmiare sedici euro su un pezzo di plastica contenente musica (nel 70% dei casi ORRIBILE) fosse testimonianza di chissà che scaltrezza? scaricarli illegalmente non costa un cazzo. un’altra idea è che non si può tenere il piede in due staffe. o sei un patetico vecchio scorreggione autoproclamatosi romantico difensore di un’integrità commerciale/etica/musicale anni novanta senza alcun fondamento o sei un patetico giovane la connessione in tiro, il culo parato e slsk sempre aperto. io sono tra i primi, ma almeno ho potuto scegliere tra le due. gnè gnè gnè.

    Kekko

  8. utente anonimo ha detto:

    Il prezzo.

    I dischi su play costano meno…

    Dipende sempre cosa intendi per costo.

    Naturalmente i prezzo dell’articolo è immensamente minore (io stesso compro su play da almeno 8 anni e lo adoro)… però…

    Se non c’è lavoro (anche avere un negozio di dischi è un lavoro!) non ci sono stipendi/guadagni e quindi la gente non spenderà soldi nella tua attività (tipo non potrà permettersi di venire in discoteca a sentirti perchè ingresso e consumazione costano troppo) quindi tu alla fine non lavorerai +… meglio spendere 25 euro che possono in parte tornarti indietro… o spenderne 9.90 che non avrai + tra un paio d’anni? In sintesi per quanti siti di e-commerce di dischi c’è spazion in Europa? a quanti posti di lavoro equivalgono?…

    Giulio

  9. inkiostro ha detto:

    Amico anonimo:

    è esattamente a questo scopo che mi esercito da anni nell’imitazione di Leonard Cohen. Quando questi sarà morto (e manca poco) e lo scenario che profetizzi si avvererà in tutta la sua drammaticità (imminente), venderò i miei servigi a peso d’oro e girerò il mondo per cantare ‘Hallelujah’ e ‘Suzanne’. Questo post è solo il primo tassello per il mio piano di dominazione del mondo.

  10. utente anonimo ha detto:

    La musica è diventata un “bene immateriale” da quando il costo dell’energia elettrica è diventato irrisorio ed il prezzo del silicio , di altri minerali per conduttori e di certe leghe metalliche è stato basso e la loro disponibilità in natura molto alta.

    “Presto” ci si accorgerà che la musica è quella che si forma nell’aria e nell’aria rimane , che esca da chitarre o da gole , come è stato fino a qualche decennio fa.

    Ma prima di quel giorno tante gole urleranno violenza e morte. I CD rimarrano stronzi oggetti inascoltabili , i lettori mp3 si accatasteranno tra la polvere. Tutto questo accadrà tra un paio di decenni al massimo ; solo pian piano vedrete un calo delle vendite inesorabile e nel giro di un paio di generazioni niente pezzi di ricambio , pile e batterie a prezzi folli e ti saluto.

    Andate a lezione di flauto o di canto se potete. E presto.

    un amico

  11. utente anonimo ha detto:

    non sapevo che aver lumato le tette della commessa di other music significasse aver prodotto cultura! comunque io sono per preservare quelle tette. di certo loro sono un avamposto.

    (momento simpatia-freschezza-distendi tensione, ora la discussione può tornare seria)

    dario

  12. ildottorGola ha detto:

    E’ interessante vedere come in tutti questi commenti il punto saldo sia “l’oggetto cd” e si discuta della vita dei negozi che vendono l’oggetto, e che chi dice di acquistare online continua comunque ad acquistare il supporto. Per noi appassionati di musica l’oggetto rimane fondamentale, ma la realtà è che non stanno morendo solo i negozi di dischi, sta morendo il supporto cd. Supporto che, a differenza del vinile, è brutto, arreda poco, lascia parecchi dubbi sulla durata nel tempo (sui primi dischi non si garantiva la durata del supporto oltre i 20 anni) è pieno di plastica e – in grandi quantità – occupa un sacco di spazio. Eppure a nessuno di noi verrebbe mai in mente di farne a meno e di scaricare da iTunes o simili. Perchè abbiamo già la casa piena di queste scatole trasparenti, e dobbiamo continuare a dargli un senso. Ho il dubbio che siamo tutti nostalgici a prescindere, ultima generazione di collezionisti di musica tangibile, e che il funerale dei negozi non sia altro che un anticipo del funerale del supporto. Amen.

  13. utente anonimo ha detto:

    buongiorno

    non trasformiamo questo simil-dibattito in questione tra passatisti tristi e modernisti(per necessità)(ma anche contenti).

    credo che il punto sia un altro.

    play e’ una grande risorsa, per via del prezzo. ma se dovessimo giudicarlo come luogo dove si produce cultura… la discussione non sarebe mai iniziata.

    a me piace pensare la musica anche come qualcosa di più che un semplice prodotto commerciale. quell’aspetto esiste-i dischi hanno un prezzo, essendo prodotti fisici, che noi paghiamo per aquistarli- non è cosa aleatoria, ma per un disco e’ altro. e diciamo che considero il mondo musica come qualcosa di più.

    non è per sentimentalismo del si stava meglio una volta-questa scorciatoia nel leggere le cose di colas o le mie o di altri amanti dei negozi mi sembra come dire…scorretta- ma i negozi di sischi hanno rappresentato spazi importanti. se rough trade e’ quello che è, non lo dobbiamo solo al fatto che vendeva dischi…ma il perche’ vendeva certi dischi, di come li vendeva, del rapporto che ha avuto negli anni con gli appassionati di musica, del come da etichetta ha interpretato il mondo musicale e blah blah.

    ci sono pochi posti del genere al mondo. io sono per preservarli. penso siano importanti ed abbiano ancora da dare. per il futuro mica per il passato. poi c’e’ la rete e tutte le sue potenzialità. ma oltre la rete c’e’ dell’altro.

    monorail di glasgow e’ la stessa roba. un luogo che altro del semplice negozio. qualcosa che non e’ solo io vendo tu compri.

    e la lista puo’ continuare.

    underground a bologna era fondamentale. peccato non ci sia più.

  14. utente anonimo ha detto:

    colas suvvia non mi pareva di aver veicolato il pensiero “me ne frego”. anzi. se c’è la possibilità vera e concreta di spendere *almeno* 5 euro in meno a disco per TUTTI, non è forse più “democratico” e popolare?

    e poi, ripeto, evviva le oasi felici. ma non funziona come discorso generale, secondo me.

    se però mi dici che comprando sostenendo donando o non so come fioriranno un sacco di negozietti bellissimi con i prezzi di play, mi ci metto subito, eh!

    fatemi sapere che c’ho il portafoglio in pol posiscion.

    (che poi non capisco, i negozietti a quanto pare resistono, evviva, no? ma se nannucci chiude è davvero un cristo di big deal, lacrime a parte?)

    dario

  15. utente anonimo ha detto:

    Beh certo: fottersene di tutto quello che non ci tocca personalmente mi pare proprio una bella soluzione.

    Dario: io sono abituato a pensare non solo alle cose che riguardano direttamente me o quelli come me.

    E mi dispiace ma non è questione di tre gatti. C’è gente che piuttosto che acquistare online ti aspetta sotto casa con la bustina dei soldi. Giuro che mi è capitato.

    Spesso diamo per scontato delle cose che a noi sembrano banalissime ma non lo sono. A leggere i blog, i forum, twitter, facebook in Italia non sarebbe passata neanche la legge 40. Il mondo reale però reagisce in un altro modo.

    Qui da noi sono ancora pochissimi a comprare online, potrei fottermene e rispondere: “Io lo faccio. Che me frega degli altri”. Ma è troppo facile e, almeno per me, non è neanche il punto centrale della questione

    Poi boh: forse siamo fortunati noi a Roma. Perché qui di negozi dove non si va solo per comprare dischi ce ne sono almeno un paio e ci si trova sempre un sacco di gente dentro.

    colas

  16. inkiostro ha detto:

    Sul discorso dell’avamposto culturale mi fido di voi, ma purtroppo non ho esperienze dirette. Nel posto in cui sono cresciuto c’erano un paio di negozi di dischi piccoli, mal forniti, con commessi ignoranti e bottegai che, quando gli chiedevi un disco che non conoscevano, ti dicevano di default “E’ finito”. Anche se non era ancora uscito.

    A Bologna ho mancato l’epoca dei negozi di dischi amici, e mi sono sempre servito in posti medio-grossi (come Nannucci) in cui non riesci a creare una relazione con il commesso o con il negozio, oppure in posti come Il Disco d’oro, la cui gentilezza e simpatia dei commessi è leggendaria (in senso negativo).

    Avessi avuto la rete e i blog ai tempi, sarei stato sicuramente un adolescente più felice e inserito (o probabilmente no; ma ne saprei molto di più di musica). E’ chiaro che un posto fisico, se gestito bene, è incommensurabilmente meglio di qualunque blog o social network (più cabernet anche per me, grazie); ma sono un’eccezione, e stanno comunque diventando fuori dal tempo.

    E’ bello e facile fare i sentimentali con cose del genere; ma o si tirano fuori delle idee forti e lungimiranti per sostenerne l’esistenza (puntando assai di più sulla promozione culturale, l’organizzazione di eventi, il bundle con oggetti assimilabili in termini di contenuto o lifestyle) oppure fare i nostalgici fa più male che bene. Alla musica e all’oggetto disco per primi.

  17. utente anonimo ha detto:

    incollo commento di bdd su stereogram quotandolo

    “ragazzi, fa davvero male al cuore vedervi così tristi e depressi… già tanta nostalgia a trent”anni? bah.”

    e coi libri non oso immaginare che valle di lacrime sarà.

    perché è chiaro che spariranno anche quelli, garantito.

    e sarà una figata girare col proprio lettore con dentro 6 libri diversi.

    e acquistarli in un secondo, con un click.

    pensiamo piuttosto a cosa cazzo fare con tutto il tempo libero che ci rimarrà.

  18. utente anonimo ha detto:

    però colas scusa hai ragione ma vale per tre gatti e per quei tre gatti è giusto che continui. mica è quel tipo di negozio a essere in discussione secondo me. cioè, voglio dire, che cosa ci posso fare io? che cosa ci voglio fare, io?

    se mi dite che esistono ancora ne sono contentissimo, ma per il resto, a morte.

    dario

  19. utente anonimo ha detto:

    confronto

    fnac

    play

    mi spiace solo che si perda un occasione di baccaglio tra gli scaffali, ma tanto ci sono i siti di incontri no?

  20. utente anonimo ha detto:

    l’ultimo commento ero io.

    colas

  21. utente anonimo ha detto:

    Ecco, il post di Jukka è esattamente il tassello che mancava al mio post.

    Un negozio di dischi piazzato in un quartiere non è solo un luogo dove si diffonde della merce, ma un avamposto culturale.

    Da quando il mio amico Marco ha aperto il suo negozietto a Frosinone lì dentro è successo di tutto, ci si sono formate band, altre ci hanno suonato, ci sono passati musicisti “noti” da tutta italia e dove non c’era un cazzo è comparso dal nulla un luogo dove condividere la musica.

    Non so voi ma io che mi faccio il culo 365 giorni all’anno per questo tipo di cosa non riesco a considerare i negozi come solo posti dove si acquista e basta.

    Sono quello, ma sono anche altro. Grazie a dio.

  22. utente anonimo ha detto:

    Anche se la realtà dei fatti potrebbe darti ragione, credo che sia un gran peccato pensarla così.

    Dalle mie parti si dice “meno internet più cabernet”. Credo che se sparissero i VERI negozi di dischi, io non comprerei più un disco.

  23. utente anonimo ha detto:

    Condivido appieno, soprattutto l’idea che l’unico modo che hanno i negozi di dischi per sopravvivere sia l’ibridarsi con altre forme di commercio, magari legate a eventi e a qualche forma di aggregazione e ‘communityizzazione’ della clientela: il record store day, in quest’ottica, è quindi un’ottima iniziativa ma potrebbe essere troppo poco.

    Tanto per fare un esempio, l’unico negozio di dischi sopravvissuto a Milano, il Nika, credo regga più che altro grazie al servizio di affitto apparecchiature e gestione dei parties anzichè grazie alla vendita dei dischi, che non può più essere il core business per tutti i motivi che hai giustamente elencato.

  24. utente anonimo ha detto:

    Il tuo discorso parte da presupposti giusti, ma da per scontato tutta una serie di cose che comunque, in un modo o nell’altro, influiscono.

    Una per tutte: se non si guarda solo alla realtà italiana la tua teoria perde un pochino corpo. Negli Stati Uniti, ma anche in Inghilterra, non c’è tutta questa disparità tra l’online e l’offline. I prezzi super convenienti dei vari CD WOW e Play lo sono proprio perché si basano e sono concorrenziali con quelli deinegozi (megastore inclusi). Non c’è tutto questo gran divario.

    La situazione italiana è diversa, vero, ma mi chiedo: solo qui a Roma esistono negozi con commessi simpatici, non scorbutici e prezzi combattivi?

    Da Radiaton Store capita di trovare dischi, anche usciti da poco, in super offerta, così come i vinili e quant’altro.

    Chiaramente è impensabile pretendere di trovare la stessa vastità di scelta del negozio online di scala internazionale ma, insomma, si difendono.

    Più che altro noi che viviamo attaccati al computer siamo portati a dare per scontato un sacco di cose.

    La gente ancora si fa problemi ad acquistare online. Non è una cosa che tutti fanno in automatico e per persone così – e non sono poche – il negozio di dischi ha ancora una valenza necessaria.

    Il problema però è che la gente non smette di comprare offline per comprare online, ma non compra. Punto.

    I negozi di dischi chiudono non perché siano fuori tempo massimo (le videoteche ci sono ancora, eppure sono ancora più “superate”), ma perchè negli anni si è creata una cultura completamente sballata che ha individuato i negozianti come i responsabili del “caro musica”.

    Un po’ come chi crede che la colpa per il costo elevato dei concerti sia dei gestori dei vari Circolo, Covo, Diteilvostrolocalepreferito, e non frutto di una reazione a catena che purtroppo finisce per genere quel tipo di risultato.

    Insomma: hai ragione. Ma non ci si può fermare a questo aspetto.

    Colas

  25. utente anonimo ha detto:

    E Venerdì Nannucci chiude.

    It’s evolution babeeeeee

  26. utente anonimo ha detto:

    Di pancia direi che ti sbagli. Non è giusto e non è bello che i negozi di dischi scompaiano. Certamente le cose nel mondo della musica non miglioreranno, e un sacco di gente ci rimetterà.

    Razionalmente invece non posso che darti ragione, la strada è segnata, e prima ci rassegnamo meglio è. Io compro i dischi sempre alla Comet perchè costano di meno, e non metto piede in un negozio di dischi se non per caso (e comunque non compro mai niente, i prezzi sono troppo alti e i commessi mi stanno antipatici).

    E’ ridicolo contribuire alla loro morte ma celebrarli un giorno l’anno.

    L.